Politica

Rive Gauche: "Quattro
proposte per crisi Fir Nidec"

La questione Fir Nidec, come visto anche negli scorsi giorni, smuove anche la politica. Ora tocca al movimento Rive Gauche di Casalmaggiore e Piadena Drizzona analizzare la situazione, facendo anche alcune proposte e prima di tutto chiedendo di preservare tutti i posti di lavoro a rischio (che ad oggi sono 36).

“Ci permettiamo, come circolo Rive Gauche – si legge – di intervenire in merito alla vicenda dei lavoratori di quello stabilimento che chiamiamo, come molti casalaschi,” ex fabbricone” e di cui  varie volte ci siamo occupati nei decenni precedenti. Anche perché, nel tempo, tanti nomi e tante sigle si sono succedute, tanto da perderne il conto e il ricordo nei meandri della memoria. Fondi americani, poi giapponesi, come va molto di moda adesso anche tra i cosiddetti progressisti”.

“Quello che non abbiamo perso è la consapevolezza di quanto anni di delocalizzazioni, di industrializzazione e finanziarizzazione dell’economia abbiano prodotto danni immensi, ovviamente pagati dai lavoratori e dai territori, che si impoveriscono sempre di più. E il conto salato stavolta potrebbe toccare a tanti cittadini e lavoratori di Casalmaggiore. Questi nomi complicati, queste dinamiche economiche complesse sembrano lontane dalla realtà quotidiana”. 

“Rive Gauche ha sempre combattuto queste logiche in nome del “pensare globale e dell’agire locale”, soprattutto dove questi processi economici diventano maledettamente reali e concreti quando, come in questo caso,  una fabbrica viene venduta ad una proprietà finanziaria, magari legata a fondi di investimento speculativi, e, per  ragioni quasi mai legate alla produzione, si decide di delocalizzare, chiudere e licenziare. Capire questi processi è fondamentale per cercare di affrontare, e forse risolvere, quello che sta succedendo a Casalmaggiore”.

Parte da qui l’analisi del contesto. “Il Gruppo Nidec, considerando le  tre sedi di Varano, Montebello, Creazzo e Casalmaggiore, impiega circa 350 operatori. A Casalmaggiore tra la storica sede di Via Roma e l’unità produttiva di via Vanoni, con  le tre tipologie di prodotto, lavorano circa 125 persone, di cui 112 in via Roma e 13 in via Vanoni. Pare che negli ultimi 6 mesi del 2023 e i primi sei mesi del 2024 l’utile del gruppo sia stato di 11.700.000 euro. Quindi parlare di crisi appare quantomeno strano. L’azienda ha dichiarato di voler chiudere la sede di via Roma, proponendo a 36 lavoratori di trasferirsi a Pordenone, 76 si trasferirebbero in via Vanoni aggiungendosi ai 13 già presenti in loco”.

Cosa succede ai lavoratori?, è la domanda che si pone Rive Gauche. “A 36 lavoratori è stato proposto il trasferimento nello stabilimento di Pordenone, con un contributo/affitto per alcuni mesi. Chi non dovesse accettare entrerebbe direttamente in Naspi con una decurtazione dello stipendio di circa il 25/30% destinata a diminuire ancora di un 3% dopo 6 mesi per chi ha meno di 55 anni e dopo 8 mesi per chi ha più di 55 anni d’età. L’azienda propone d’integrare la Naspi per coloro che hanno meno di dieci anni d’anzianità in azienda ma solo per un anno. Per coloro con più di dieci anni di anzianità in azienda i mesi d’integrazione diventerebbero 15.

Appare chiaro che proporre ai lavoratori uno spostamento a centinaia di chilometri di distanza e con retribuzioni non certo da manager corrisponda ad una induzione alla rinuncia. Chi accetterebbe una simile opzione? Impraticabile e, diciamolo chiaramente, inaccettabile. Quindi nella peggiore delle ipotesi, che va combattuta con tutte le armi possibili a disposizione, potrebbero esserci, a breve, 36 lavoratori da ricollocare, molti dei quali in una fascia d’età che potrebbe risultare problematica“.

“Tra l’altro, forse un’anomalia nel settore, la percentuale di lavoratrici è decisamente rilevante. Aggiungiamo a tutto ciò un danno certo anche per l’indotto locale: pensiamo a fornitori, artigiani  e a tutto ciò che gravita economicamente attorno ad un’unità produttiva. Pensiamo alle gravi ripercussioni sui bisogni primari, per chi abbia mutui, o un carico famigliare pesante”.

Seguono poi le proposte da parte di Rive Gauche. “In una situazione tanto grave, nella quale, va chiarito, le leggi consentono all’azienda di fare quanto pianificato senza troppi problemi, ognuno ha un suo ruolo specifico. Ce l’hanno i sindacati, ce l’ha anche l’amministrazione, ce l’ha l’azienda e pure i lavoratori.

Lo possono avere anche la comunità di Casalmaggiore, le aziende, le associazioni di categoria  e perché no, anche gruppi di cittadini. Per questo motivo, sperando che ognuno alla fine possa fare quanto in suo potere, noi ci limitiamo a spiegare, concretamente, quello che faremmo se amministrassimo ora Casalmaggiore, senza tirare nessuno per la giacchetta. Alla fine si faranno tutte le valutazioni”.

Prima proposta: il vincolo di bonifica. “Commissioneremmo immediatamente  un’accurata indagine di parte  sulle condizioni dell’area di insediamento dell’azienda in via Roma. Su di essa insiste un “vincolo di bonifica” a carico dei proprietari, che, anche in anni passati, a nostro parere, ha “disincentivato” le vecchie proprietà a delocalizzare, permutare, alienare l’area o magari a tentare di riclassificarla per altri scopi. Ci risulta che dal 2016 qualcosa sia stato intrapreso per la bonifica dell’area, ma il tutto dovrà essere verificato con certezza e, secondo noi, questa potrebbe essere un’arma davvero decisiva, perché i costi, per la proprietà, potrebbero essere molto elevati”.

Seconda proposta: i bilanci famigliari. “Individueremmo risorse in bilancio per affrontare le conseguenze della diminuzione di stipendio (25-30%) nei nuclei famigliari, anche monoparentali: mutui, bollette, affitti, spese mediche, rette scolastiche vanno affrontate in modo concreto, perché con la solidarietà, a parole, non si arriva a fine mese. Una simile emergenza, forse anche più globale, fu affrontata a Casalmaggiore nel periodo fine 2008/2010 (amministrazione Silla), quando, a seguito della bolla speculativa scoppiata in America nel 2006, anche l’Italia fu investita da una profonda crisi, che mise in ginocchio i bilanci di tante famiglie. In quell’occasione fu costituito un fondo di 100.000 euro, che, in collaborazione progettuale con le parti sociali, servì ad attutire le difficoltà di molti cittadini. In questo caso la cifra potrebbe essere sicuramente più contenuta, ma va messa a disposizione”.

Terza proposta: ricollocazione. “Attivare, da subito, in collaborazione con le forze sindacali , le associazioni di categoria e le aziende del territorio un tavolo e una banca dati che possano portare, in tempi brevi alla ricollocazione di quanti più  lavoratori e lavoratrici possibili. Al riguardo esistono anche contratti specifici (di espansione), che permettono di usufruire di scivoli in uscita fino a 5 anni, ma a quello, conoscendoli, penseranno sicuramente le forze sindacali. Per le lavoratrici  andrà speso ancora più impegno, perché le dinamiche che purtroppo regolano il mondo del lavoro tendono ancora a penalizzarle in modo inaccettabile. E siamo nel 2024, mentre si parla di andare a vivere su Marte”.

Quarta proposta: indignazione e  mobilitazione. “Per ultimo, ma non in ordine d’importanza , il “fattore umano”. Di fronte a dinamiche “economiche” come queste, che considerano gli esseri umani, concittadini, amici, come semplici numeri di matricola, la comunità di Casalmaggiore deve trovare la forza d’indignarsi. Mettiamo da parte la vuota solidarietà di maniera da pacca sulla spalla. Con quella non si mangia. Mettiamo da parte la filosofia del “tanto non tocca a me” o “non è compito mio”. Domani la ruota potrebbe girare e vederci nelle stesse condizioni. Gli indicatori economici prospettano tempi difficili per il breve-medio periodo, quindi il problema dei lavoratori e lavoratrici Nidec dovrà diventare il problema di tutti noi. Se loro dovessero perdere, perderà Casalmaggiore, perderemo tutti”.

redazione@oglioponews.it (video Alessandro Osti)

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