Cronaca

James Taylor, le sigarette, una
tastiera: quattro amici per Nazza

SI FA PRESTO A DIRE AMICI

Nazzareno ed io (a dire il vero il diminutivo Nazza non mi è mai piaciuto) non eravamo amici, o quanto meno il nostro rapporto non aveva le caratteristiche di quella che io ritengo debba avere l’amicizia nel senso epico del termine.
Non ho condiviso con lui praticamente nulla: né le stagioni dell’età, né le tappe che i giovani intraprendono per diventare uomini, né nessuna notte insonne a parlare di tutto e di niente. Ho condiviso gli spazi comuni della nostra cittadina, gli oratori, gli argini, i campetti da calcio e qualche veloce caffè al bar della piazza quando magari ci si incontrava il sabato mattina. Decisamente poco, quasi niente.
Mi permetto di parlarne dunque in altra veste, quella di conoscente, lasciando ai suoi amici veri e alle persone a lui care, i pensieri più alti e i ricordi più belli, e dio non voglia che mi spacci per ciò che non sono stato, perché mi sentirei veramente bugiardo.

Eravamo conoscenti, si, ma conoscenti di una razza particolare, conoscenti di penna: lui la sua, da professionista del giornalismo, io la mia, da narratore di piccole storie.
Come dire, la nostra era una vicinanza per interposta scrittura e per questo necessariamente meno viscerale, più ponderata, a tratti sottile, spesso impalpabile.
Al di là della casalaschitudine, ci accomunava dunque il desiderio di scrivere; scrivere per il piacere di raccontare, da parte sua probabilmente scoperto già in giovane età come meta di vita, da parte mia molto molto più tardi. E fu bastante.
Eppure, a fronte di ciò che non ci accomunava e nonostante le rade parole che ci siamo scambiati, come so che lui era avido della lettura dei miei scritti, parimenti io lo ero dei suoi, come se ci cercassimo a vicenda non tanto nella fisicità degli incontri quanto nella ricerca dell’altrui personalità tramite gli articoli suoi e le storie mie.
E allora si, proprio attraverso il tramite della scrittura ho sentito la nostra vicinanza. La condivisione di un certo spirito nel raccontare storie e la soddisfazione nel poterle trasmettere ci riempiva l’animo e ciò è stato bastevole per farci percepire, dopo poco tempo, una rispettiva concreta stima.
Di altro non ci siamo mai detti; anche se poi ci si cercava: io nei luoghi fisici o virtuali dove scriveva, lui ogni tanto chiedendomi se avessi qualcosa di “nuovo” da dare in pasto ai suoi lettori.

Non vorrei aggiungere altro perché altro non ho da aggiungere, se non un pensiero di quelli che so gli sarebbero piaciuti: forse qualcuno conoscerà l’equazione di Dirac in tema di fisica quantistica. Ebbene questa legge, in una alquanto sommaria e veloce definizione, dice che, ovunque nell’universo, se due particelle hanno l’occasione di incontrarsi, esse continueranno ad influenzarsi anche dopo essersi distaccate, ed in un qualche modo esse continueranno a condizionarsi reciprocamente.

Io non so se Nazzareno fosse credente o meno e nemmeno mi importa; e nemmeno mi è dato conoscere se esista ancora in altra dimensione, se viva in altro mondo o altra spirituale condizione, oppure se tutto il suo essere si sia esaurito o pervaso in tutto o in niente, ma so che nel nostro rapporto l’equazione di Dirac ci sta benissimo, e so che la tua conoscenza, ma di più i tuoi scritti e quindi tu stesso, sei venuto in contatto con me, sei stata particella e mi hai benevolmente influenzato; e questo mi pare un bel pensiero per sentire, nel futuro che da oggi e per non so quanto io potrò avere, che tu sarai ancora con me.

    Giampietro Lazzari

 

RICORDI E PENSIERI IN LIBERTA’, PER UN AMICO

Arrivare, tardi o presto, non faceva alcuna differenza.

Le grandi compagnie degli oratori, delle piazze, dei bar di quella Casalmaggiore avevano tempo. Tempo di aspettare, andare, dividersi a gruppetti e poi ritrovarsi, più tardi o il giorno dopo, per i racconti e i commenti, sulla giornata, il pomeriggio, la serata

Il tempo giovane, quel tempo Nazza, sembrava infinito. Tempo che fluisce perdendosi, ma che tante volte ritroviamo nel racconto, nei ricordi. Tanto tempo Nazza, hai fatto ritrovare, a me e a tanti altri, tu che, del racconto, eri infaticabile cultore, da sempre e per sempre fino all’ultimo respiro…

Non ti è mai mancato il coraggio.

Sei stato l’unico, quel giorno che abbiamo accompagnato l’ultima volta il nostro White ad avere il coraggio di avvicinarti al microfono e riuscire a parlare, lasciandoci, ancora più di quanto non fossimo già, muti e in lacrime.

Eravamo ancora giovani, dopo quei giorni lo fummo di meno, ma con più coraggio affrontammo mestizie e domande.

Poi, ancora di recente, il tuo racconto ha accompagnato e lenito altre perdite, Lele, Giorgio e i tanti di cui hai scritto l’umanità e il cammino, temperando dolore e cordoglio di amici e parenti creando, con la parola, comunità di sentimenti.

Coraggio che ti è servito, nel corso degli anni, superando malanni ed astratti giovanili furori in un crescendo di apertura e capacità di connettere e comunicare.

La ragione e il senso della tua grande forza sta nella strada che hai percorso, nei dubbi, nelle domande, negli ostacoli alla fine superati.

In un crescendo di forza e coraggio, fino all’ultimo respiro…

Don Lorenzo, Don Primo, Don Paolo, poi don Angelo, Don Marco, Don Giuliano…

Nel titolo di una pubblicazione recente, datata 2023, di Papa Francesco ci dice che il Cuore ci parla di Dio. Nelle note del retro di copertina Padre Arturo Sosa Abascal chiosa: “Fa’ come Dio: diventa uomo.”

Diventare uomo per te Nazza, come per molti di noi, ha significato confrontarsi con le grandi domande di senso, cui ciascuno, nel tempo ha dato le risposte.

Altrettanto fascino, forse di più, hanno sempre esercitato su di noi questi uomini, che ad una parola davano piedi, mani testa, carne insomma, a volte anche sangue.

Nella sequela di Don Paolo, seguace di Don Primo e Don Lorenzo, hai sperimentato la parola e l’azione profetica, la fatica del bene e il servizio agli ultimi.

Nel Dio che si fa Uomo hai trovato la vicinanza alla sofferenza come all’allegria.

Non hai più scordato questa pratica e questa lezione, proseguita con racconto, parola e pratica solidale, i mezzi che ti erano consoni e cari, fino all’ultimo respiro…

Ora dopo ora, i ricordi si accavallano, a volte nitidi, a volte come vecchie foto, ingiallite e fuori fuoco… Una corsa per Vienna, per recuperare una preziosa borsa in una birreria, un risotto a tarda ora, un vino speciale per l’ultimo dell’anno, le melanzane sott’olio della mamma, un vecchio disco della costa ovest, la Molly sul divano, un abbraccio a Cristina.

Ora dopo ora memoria e dolore si intrecciano, come fiumi carsici si inabissano, per poi, all’improvviso, risalire in superfice.

Chiedere cose facili prima a te stesso e poi agli altri non era nel tuo stile. Hai chiesto un sorriso, un brindisi, una canzone per ricordarti. Difficile in questo momento, difficilissimo.

Resta il tuo esempio, che ha regalato parole, sentimento, sorrisi e coraggio, fino all’ultimo respiro.

Mai mollare. E mai hai mollato.

Mai come adesso una notte quasi autunnale restituisce atmosfere a te famigliari. Il silenzio della sera, quasi notte, pochi rumori. Una macchina che passa, lontano. Il rumore di una tapparella, il guaito di un cane. Un bubbolio di tuoni, un lontano temporale, il ticchettio della tastiera, la luce bluastra dello schermo. Quante volte avrai vissuto questo tempo, nel quale i tuoi scritti prendevano forma.

Qualcosa d’altro però prendeva forma, l’ultima lezione, la parola stampata sul tessuto e nell’anima.

ANDOM, prima persona, plurale.

Prima persona perché ciascuno risponde di sé, di ciò che fa e dice.

Ma non basta. Ciascuno deve agire per e con gli altri, per uno scopo comune, che non può essere che il bene.

“Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia.”  Chiosava Don Lorenzo, in un celebre scritto.

Con una parola hai indicato, in sintesi, il significato della politica secondo te, il governo della polis come azione collettiva volta al bene comune.

Da soli è avarizia e tu Nazza sei stato il contrario, generoso fino in fondo, fino all’ultimo respiro…

     Giancarlo Roseghini

 

CHE FORTUNA E’ LA TUA AMICIZIA

Non smetterò, mai di cercare il tuo cuore per continuare a scrivere insieme. E so che lo troverò….. nel vento, in una canzone di James Taylor e in tutto ciò che splende. Stasera è tardi, come spesso accade, tu hai da poche ore concluso un viaggio per iniziarne un altro e Alexa mi regala You’ve got a Friend di James a volume basso.

Ti penso ancora, come me, davanti al PC a scrivere cose perché non è ancora ora di andare a dormire. Perché mai ha così tanto fascino la notte? Perché di notte il mondo è tutto a tua disposizione, perché di notte il silenzio ha un bel rumore caldo e soffice, perché non devi spiegare niente a nessuno e nessuno ti interrompe, perché la pace della notte ti fa svenire tra le braccia di Morfeo all’improvviso o semplicemente perché ha quel bel colore blu puntinato d’argento.

Mi piace pensare che alcuni amici sentono la notte come me. E sarà lì, davanti a uno spicchio di luna o alla danza di Sirio che continuerò ad incontrare la tua anima bella,la tua infinita bontà, la tua intelligenza, la tua forza, la tua complicità, il tuo supporto, il tuo inchiostro colore del cuore, la rarità del capirsi al volo e di incoraggiare i reciproci sogni. Che fortuna è la tua amicizia!!!
Non smetterò mai di rincorrere la tua anima e quel tuo cuore miscredente dal palpito così cristiano che non poteva che battere in una creatura di nome Nazzareno.
Riposa amico mio sebbene io sia certa che già qualcosa dall’altra parte ti sta impegnando in un andòm eterno.

 Giovanna Anversa

 

DELLA GRATITUDINE

Per anni il mio rapporto con Nazzareno è stato da semplice lettore; i suoi articoli erano qualcosa di più della nuda cronaca, erano spesso affreschi di un Mondo Piccolo, per dirla alla Guareschi.

Il prete, il carabiniere e il Sindaco, la gente comune, gli “ultimi”, termine ormai abusato ma non da Nazzareno, perché lui aveva il pregio di riportarli in primo piano, forte della “scuola” di Don Paolo. I suoi scritti non lasciavano indifferenti, o, per meglio dire, non lasciano indifferenti, perché sono e saranno lì da leggere. Ammirare la sua prosa non voleva dire, per me, essere automaticamente e sempre d’accordo con lui, non voglio farne un ritratto apologetico. I personaggi, le persone uscite dalla tastiera del suo Mac, è come se ad un certo punto, dopo aver preso forma, conquistassero una vita autonoma, ma era lui ad averli fatti sbocciare, come una levatrice che fa nascere il bambino e lo affida al futuro.

L’ho sempre visto come un giornalista old style, a macinare strade, ad assecondare il fiuto che lo portava sulle vie meno battute. Pur essendo quasi coetanei non ci siamo mai incrociati in gioventù.

La prima volta che lo incontrai fu quando, con l’associazione di cui faccio parte, decidemmo di affidarci a SportFoglio per un inserto speciale, ci incontrammo nella sede di via Marconi. La sua “postazione” era leggermente rialzata rispetto all’ingresso, e questo mi incuteva un senso di soggezione. Ma durò un attimo, perché lui era così, ti metteva immediatamente a tuo agio, si metteva a disposizione, in ascolto.

Con il tempo poi scoprimmo le tessere di un mosaico che per alcuni frammenti era affine, la nostalgia comune per il settimanale satirico “Cuore” (quando parlava della “sua” Bologna gli si illuminavano gli occhi), l’interesse per le battaglie sui diritti civili (il suo sostegno alle iniziative sulla raccolta firme sul fine vita fu puntuale ed incondizionato).

La nostra collaborazione iniziò in maniera quasi casuale; una mattina all’alba andai a fare delle foto al ponte sul Po, chiuso per le ragioni che sappiamo. Mi chiese una foto per corredare un pezzo e da lì cominciammo uno scambio di foto e brevi scritti. Io mi sentivo sempre un po’ inadeguato, ma lui mi ha sempre dato fiducia. È questo il tratto più saliente della sua personalità , per quanto mi riguarda. Mi ha dato consapevolezza e la forza di provarci, di mettermi in gioco. Conserverò per sempre i suoi incoraggiamenti, i suoi attestati di stima sono per me un patrimonio inestimabile. Cercherò di meritarmeli. Tutto quello che scrivo, che fotografo, non è che un modo per restituire quello che mi ha donato.

     Stefano Superchi

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