Stefano Panizza e i misteri del
cremonese: progetto in itinere
Una vita per il mistero, per l’incognito, per tutto ciò che è arcano o insolito. Il mistero studiato sul campo, sui libri, ricercato attraverso l’ascolto delle persone, dei testimoni, con discrezione e grande competenza. Dando un contributo straordinario e prezioso alla creazione di quel grande “archivio” di memorie dei nostri territori, facendo sì che possano essere custodite e conosciute, evitando che vadano disperse.
Così, in pochissime battute si potrebbe sintetizzare l’impegno che, da anni, vede in prima fila Stefano Panizza, scrittore, studioso fortiano e uomo del Po vista la sua origine di Zibello, paese al quale è sempre stato ed è tuttora particolarmente legato. Classe 1963, Panizza ha relazionato in convegni nazionali, in programmi radiofonici e televisivi. Le sue ricerche sono apparse, oltre che sul web, in diverse riviste specializzate ed ha suggellato le sue ricerche con le pubblicazioni di ormai numerosi libri dedicati ai misteri emiliani. Inoltre con le Edizioni CdL è andato in stampa il volume Misteri per un anno, volume I e II, nel quale per ogni giorno dell’anno è narrato un fatto arcano e inspiegabile.
Da pochi mesi, pere WriteUp edizioni ha inoltre dato alle stampe La trama occulta. “Io credo che lo scopo di chi scrive un libro, o anche semplicemente un articolo – spiega lo stesso Panizza – sia quello di raccontare qualcosa di nuovo. Cioè, di rivelare cose mai dette prime, oppure di parlare di cose già trattate da altri ma di esporlein modo diverso. Insomma, va ricercata l’originalità. E, per far questo, ci sono due modi. Il primo, è andare alla fonte primaria delle informazioni. Il che significa recarsi sul luogo dei fatti e consultare la documentazione originale che li descrive. Il che può anche essere complicato. Ricordo situazioni, se non di vero e proprio pericolo, almeno di disagio che ho vissuto nel raggiungere certi luoghi. Come quella volta nello scendere dal pendio su cui sono appollaiati i resti del castello di Roccalanzona, nel parmense. Sì, perché, anche complice un terreno scivoloso che rendeva instabile la discesa, mi sono ritrovato con un rampicante attorcigliato alla gola. Ed è stato solo grazie al coltello, che in certe situazioni porto con me, che ho potuto sbrogliare una situazione complicata e pericolosa. Ma, più banalmente, si pensi ai cani liberi, poco abituati in certe zone montane a vedere persone, che ti rincorrono spesso e volentieri. Meno rischioso – fa giustamente notare – è sicuramente consultare le fonti scritte, Qui, il vero problema è averne la possibilità. E spesso non è legata alla volontà del ricercatore. A volte sono eccessivamente lontane, oppure non consultabili. Quello che, invece, può, anzi, deve fare lo studioso, è capirne l’attendibilità. Cioè, un documento, anche se è il primo che racconta una certa storia, quanto è credibile? E come si fa a rendersene conto? Ci sono varie tecniche. Già conoscere l’autore è importante, per capire se ha una reputazione di affidabilità o meno. Poi, occorre vedere come espone i fatti, se punta al sensazionalismo oppure se privilegia un’esposizione precisa e razionale. E capire se altri, prima di te, hanno già studiato e analizzato i fatti così come sono stati originariamente raccontati, e se hanno dato corso a indagini indipendenti. Oppure se esistono altre fonti che parlano dei medesimi eventi”.
Grande importanza, Stefano Panizza, la dà alle testimonianze delle persone. “Il secondo modo per dare originalità ad un racconto – conferma – è parlare con i testimoni dei fatti. Perché spesso la testimonianza è l’unico strumento che ha in mano il ricercatore, anche se è un’arma a doppio taglio. Può aiutare a capire o portare completamente fuori strada. Dipende dalla bravura di chi intervista, che deve conoscere i meccanismi che stanno alla base di una testimonianza, come la visione, la memorizzazione e il recupero di un ricordo. Ma anche dalla sua abilità di porre le domande giuste nel modo corretto. E naturalmente dalla disponibilità del testimone. Sì, perché ogni persona è un mondo a sé, dove la sfera emotiva e le aspettative ne possono condizionare il comportamento”.
Proprio tutte queste considerazioni lo hanno portato a scrivere due generi di libri. “Il primo – evidenzia – legato ai misteri in generale. E ricordo con piacere l’ultimo che ho pubblicato, uscito l’anno scorso, e intitolato La trama occulta, dove per la prima volta pongo sullo stesso piano le grandi tematiche del mistero. Infatti, il testo, figlio di anni di ricerche e di riflessioni, cerca di rispondere a due domande che ritengo fondamentali ma che nessuno, in realtà, sembra porsi. E, cioè, “esiste un filo conduttore che unisce le più importanti materie del settore e, cioè, la demonologia, l’ufologia e lo spiritismo?”. E se questo legame esiste, “che cosa potrebbe sottintendere?”. Un approccio che reputo originale, dove cerco di dimostrare che parlare di diavoli, alieni e fantasmi è solo una questione di etichetta, perché spesso si tratta dello stesso fenomeno visto da prospettive diverse. Il secondo genere di libri che amo scrivere, anzi, devo dire che è il mio preferito – aggiunge – è quello che parla dei misteri dei territori. Così, da emiliano, nel 2015 ho dato corpo ad un progetto che vuole, per ogni provincia della mia regione e per molti, se non tutti, i suoi comuni, parlare di storie insolite, enigmatiche e sconosciute. Quindi, si va dai misteri classici, come gli Ufo, i fantasmi, i diavoli e le leggende, a quelli più “concreti”. Mi riferisco ai misteri archeologici, che si possono toccare con mano, perché il reperto è lì a disposizione di tutti. Credo – fa notare – che nessuno abbia mai fatto per l’Emilia un lavoro così preciso ed organico, figlio di tantissimi viaggi nelle zone di cui scrivo. Per vedere e per parlare con la gente. Ed è grazie soprattutto alle persone che ho intervistato che sono uscite delle storie tanto strane da risultare incredibili ai più. Ma io credo vere, quando si dà a questo termine un significato che non sia assoluto, cioè valido per tutti. Sono vere, concrete e tangibili per chi li ha vissute. Il che non è poco. Certo, ci sono anche i burloni, o i pazzi, ne ho incontrati pure io, ma ormai l’esperienza mi è sufficiente “per separare il grano dal loglio”.
Ed ecco il valore di questi libri. Raccogliere storie originali e raramente raccontate, che altrimenti andrebbero perdute per sempre, perché destinate a morire con chi le ha vissute, visto che non le confessa al primo che capita (anche saper raccogliere velocemente la fiducia delle persone è un talento e un’arte allo stesso tempo).
“Insomma – confida – mi piacerebbe che questi miei libri fossero una sorta di cassa della memoria, dal valore anche antropologico, di un vissuto delle persone, sicuramente particolare ed eccezionale, ma sempre di un vissuto si tratta. E le storie che racconto non sono mai eccessivamente lunghe, per non stancare il lettore, ma anche per invogliarlo ad andare personalmente nel luogo dei fatti. Per toccarli con mano. E, così, dopo gli otto libri pubblicati sulle terre emiliane, e il nono, Misteri di Modena, in uscita nei prossimi mesi, il mio sguardo è ora rivolto alle terre cremonesi”.
Dopo tanti studi, ricerche, scritti legati all’Emilia ecco giunto, per Panizza, il momento di oltrepassare il Grande fiume e portare ora il suo impegno e le sue competenze in terra lombarda, partendo dal cremonese. “In fondo – dichiara – mi sento legato a questa gente perché mio padre era di Cremona. E sono sicuro che pure qui le sorprese non mancheranno (e già ne ho già avuto conferma da un primo approccio). Quindi, se qualche lettore di questa pagina dovesse incontrare un tipo curioso che fa strane domande, ma sempre con tatto e rispetto, ecco, potrei essere io quella persona”.
Certamente, in terra lombarda, non gli mancheranno i motivi, le occasioni ed i fatti per andare alla scoperta e ad indagare i misteri cremonesi (e casalaschi) e, per i territori di qua e di là dal Grande fiume e dall’Oglio sarà una ulteriore occasione di promozione e valorizzazione, nel segno dell’identità.
Eremita del Po, Paolo Panni