Cultura

Bozzelli e Favagrossa prima di
Patagonia: il senso dei loro corti

L’evento è stato organizzato dal Collettivo Onda Queer, nato come reazione all’attacco omofobo subìto la primavera scorsa da una coppia di ragazzi, colpevoli di passeggiare tenendosi la mano, e diciamolo, una delle poche concrete reazioni a un atto di ingiustificata violenza. GUARDA LA FOTOGALLERY

Domenica 17 dicembre, presso il Centro Primavera di via Formis, sono stati proiettati i cinque cortometraggi di Simone Bozzelli due dei quali in collaborazione con Tommaso Favagrossa. Ricordiamo che Simone è il regista di Patagonia, film premiato a Locarno, la cui sceneggiatura è di Tommaso e che a distanza di quattro mesi è ancora nelle sale cinematografiche.

L’evento è stato organizzato dal Collettivo Onda Queer, nato come reazione all’attacco omofobo subìto la primavera scorsa da una coppia di ragazzi, colpevoli di passeggiare tenendosi la mano, e diciamolo, una delle poche concrete reazioni a un atto di ingiustificata violenza. Onda Queer sceglie questo nome, spiega Jennifer Maia, perché vuole essere un’onda positiva e non omologata, che travolge e fa la differenza, un’onda a salvaguardia dei diritti, fatta delle diversità di ognuno che si incastrano come pezzi di un puzzle o i colori dell’arcobaleno.

Il collettivo è formato prevalentemente da giovani ma sta attirando anche parecchi “boomer” o “babbioni“ che dir si voglia, a sostegno dei loro intenti e delle manifestazioni culturali e ricreative che organizzano, la cultura infatti è lo strumento principale con cui operano per diffondere informazione e valori essenziali di convivenza. Domenica è stata dedicata al cinema e a due autori che hanno incantato i presenti. Cinque cortometraggi stupefacenti che mettono a nudo l’anima di entrambi.

Nei primi tre “Mio Fratello” “Loris sta bene” e “Amateur” ancora Tommaso non è presente ma sono già preludio del lavoro che svolgeranno insieme, delle intenzioni artistiche, della maniera di osservare le relazioni, di esternare le emozioni e dell’esigenza di leggere l’umanità senza filtri per esorcizzarne il lato malo e meschino che alberga in ognuno di noi. I corti sono legati da un fil rouge che definisce l’intero percorso narrativo del regista nel quale si inserisce, ad incastro perfetto, Tommaso in “J’ador” e “Giochi”.

Dal primo al quinto si coglie un crescendo di cognizione e maturità come se i corti fossero una sorta di prequel di Patagonia, il primo film, il primo lungometraggio, opera che li rispecchia e che sta ricevendo grande consenso. A fine proiezione Emanuele Piseri ha condotto una intervista che si è rivelata intensa e che ha messo in luce due giovani artisti coraggiosi, veri e nudi, di forte levatura emotiva e tecnica.

“La mia formazione liceale tecnico-informatica mi porta ad avere una visione dell’amore molto economica – spiega Bozzelli – come nell’economia anche l’amore è un continuo alternarsi di domanda e offerta, un gioco in cui spesso si perde, tutti quanti”. E in questo gioco altalenante tra prevaricazione e sadomasochismo, nella smania di voler essere accettati da un leader, da un parente o da un amante prepotente e vessante fino a metterlo in crisi tramite la stoica sopportazione delle sue angherie, nell’apparente immobilità emotiva, Tommaso si inserisce in perfetta sintonia coi temi e gli intenti che sente anche suoi dando vita a un prospero sodalizio artistico.

Regista e sceneggiatore hanno reagito alle incalzanti domande di Piseri con la maturità e la naturalezza di chi ha alle spalle anni di carriera a dimostrazione che il cinema è assolutamente la strada che devono percorrere. “Quando ho conosciuto Simone – racconta Tommaso – sono rimasto immediatamente catturato dalla sua personalità, dal suo modo di ispezionare le relazioni, dalla sua grandezza, dalla sua estrema onestà e capacità di mettersi a nudo e dal saper trovare, anche nei comportamenti biechi e abominevoli, un fondo di umanità. Guardando i suoi corti si passa attraverso le sue ossessioni, che poi sono anche le mie e mi trovo allineato alla sua visione dell’arte e del raccontare. Chi crea personaggi, deve amarli tutti, anche i più spregevoli, non esiste giusto o sbagliato nell’arte, questi sono concetti che appartengono alla società, alla politica, non all’arte”.

Il dovere del cinema, per loro, è anche mettere di fronte lo spettatore a immagini che non siano sempre consolatorie, rassicuranti o addirittura una coccola, la via di mezzo del “sì dai, è un film carino” per loro non è contemplata, preferiscono un giudizio tranchant piuttosto che una mezza approvazione. Per questa ragione la loro cinematografia non vuole nascondere il peggio, l’aspetto violento, crudele e irriverente, sia fisico che psicologico, della natura umana perché esso esiste e va guardato, va scovato se vogliamo allontanarlo, l’arte che racconta il peggio di noi fa da specchio dell’anima e ci rende consapevoli.

Mettere in storia sentimenti e pensieri non solo li accumuna ma li priva di una parte intima che non appartiene più solo a loro, ma viene data in balìa del sentire e del giudizio degli altri, è un mettersi totalmente a nudo, senza vergogna ma con pudore ed alto carico emotivo. Nelle opere di Simone e Tommaso manca il finale ad effetto, i personaggi si raccontano per come sono, mostrano la loro natura, suscitano interrogativi e non danno risposte cosicché la visione non finisce coi titoli di coda e lo spettatore si porta a casa i fotogrammi, le domande e prova a trovarne le risposte.

I loro personaggi passano attraverso percorsi discutibili e quello che alla fine raggiungono è la consapevolezza; si può anche accettare una relazione malsana purché se ne sia consapevoli e decidere se la gabbia che costringe è un limite o è salvezza. Nessuna soluzione quindi, nessun finale che rassicura bensì una proposta di viaggio fuori e dentro sé stessi, perché al contrario di una risposta preconfezionata, la domanda dà modo di esplorare.

Da cosa deriva questa necessità di raccontarsi? – chiede infine Piseri: “Non mi bastava la seduta settimanale dallo psicanalista”, risponde con ironia Simone, ma in verità è un processo terapeutico, uno sfogo, un modo di espellere le scorie e mettere ordine nelle varie stanze dell’io attraverso una passione comune, è catarsi. La complice intesa si avverte moltissimo negli sguardi, nell’annuire mentre l’altro parla, nelle parole di stima reciproca, nel ritenersi fortunati di avere un co-partner con cui capirsi al volo, elementi che creano il terreno per lavorare in totale libertà.

L’intreccio di uguali vedute, del sentire quasi all’unisono, il rapporto di sintonia artistica e di profonda amicizia danno ulteriore risalto al talento di questi due giovani cineasti emergenti le cui produzioni toccano – come ha sottolineato Piseri – atmosfere alla Pierpaolo Pasolini. Ci si chiede spesso, anche con fare critico e presuntuoso, cos’hanno nella testa le giovani generazioni senza osservare la loro anima che trabocca di domande e di pensieri, di sentimenti ed emozioni che spingono per uscire.

Giovanna Anversa

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