Recensioni: C'è ancora domani,
uno spaccato di storia d'Italia
Una donna invisibile come tante, le cui giornate si svolgono nel quartiere tra un lavoretto e l’altro, i pettegolezzi delle comari e una chiacchiera con l’unica amica per poi rientrare nella sua prigione e tornare a subire ciò che il destino le ha riservato
Nell’Italia del dopo guerra, in una Roma in bianco e nero che mostra tutti i suoi colori, nei quartieri popolari, nei suoi mercati, nelle vie e nelle chiese si consuma la vita di Delia, sposa e madre di tre figli. In un ambiente famigliare dominato dal maschio, nel quale le è concesso di esistere solo in quanto serva e svuotapalle di Ivano, un marito che poraccio, sta nervoso perché ha fatto du guere, servizievole verso un suocero più crudele del figlio ma più astuto, Delia accetta un destino che per lei pare non poter cambiare.
Una donna invisibile come tante, le cui giornate si svolgono nel quartiere tra un lavoretto e l’altro, i pettegolezzi delle comari e una chiacchiera con l’unica amica per poi rientrare nella sua prigione e tornare a subire ciò che il destino le ha riservato. Ma la figlia Marcella no, lei è ancora in tempo; saranno allora pochi gesti coraggiosi e potenti, avvenuti per mano sua, invisibile quanto lei, a salvare il futuro di Marcella da una vita che rischiava di replicare la propria.
Un’esplosione commissionata che allontana un fidanzato benestante ma con la stessa orrenda visione di Ivano sul ruolo che la donna deve avere, una busta coi risparmi, sottratti di nascosto, poco alla volta, destinati all’abito da sposa per Marcella, come si conviene a una giovane donna e che invece le serviranno per studiare e finalmente il voto, inizio di un riscatto per sé e regalo di speranza alla figlia.
E così, quella madre sempre in grembiule, soggetta alle costanti angherie del marito, cambierà in silenzio le sorti della giovane che la credeva incapace di ogni reazione.
La fotografia assieme alla sceneggiatura mostra uno spaccato dell’Italia e della Roma di allora reale e vero, in cui gli equilibri dipendevano dall’accettare in silenzio ruoli per le donne decisi dagli uomini. Gli attori sono perfetti per figura e per talento, lei pazzesca icona ed eroina di quel concetto di famiglia che fece così male a tante nostre nonne e che ancora oggi prova ad imporsi, Mastrandrea sublime nel ruolo del duro di marzapane, che se non avesse la società a supporto del suo essere aggressivo, sarebbe niente se non un groviglio di frustrazioni e infine bravissimi i giovani attori nella parte dei figli così come tutte le figure di contorno.
E ancor più grande è la finezza usata nel rappresentare i soprusi in una danza diabolica e angosciante in cui gli schiaffi fisici e morali colpiscono direttamente lo spettatore, veri e dolorosi grazie ad effetti scenici che aiutano ad introiettare la violenza come se scendesse da un flacone di farmaco, goccia dopo goccia.
E infine, un mondo femminile, in un modo o nell’altro vessato come Delia, che decide di non sentirsi mai più dire “STAI ZITTA!” andando a votare, senza il grembiule ma con indosso la camicetta bella. Sul finale, mentre Delia sorride dopo aver votato, par di sentire la voce di Anna Magnani dire: “Nun c’è niente de più bello de na persona in rinascita. Quanno s’ariarza dopo na caduta, dopo na tempesta e ritorna più forte e bella de prima. Con qualche cicatrice in più ner core o sotto la pelle, ma co la voglia de stravorge er monno, anche solo co un sorriso.”
Giovanna Anversa