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Severino Lodi, il Tor de Glaciers
(450 km) e l'importanza di crederci

"Vivete per esaudire ogni vostro sogno, nulla ci è proibito". Parola di Severino Lodi. L'uomo che vive dove terminano le case di Martignana di Po e inizia la golena

L’ultima casa, appoggiata al canale di bonifica laddove il paese si spegne – poco prima della piccola struttura religiosa di San Serafino – e l’orizzonte si apre all’argine maestro e alla grande golena che porta al fiume. E’ lì che vive Severino Lodi, 56 anni, con la sua famiglia. Un destino? Forse. Di certo un invito, che ogni giorno, quando arriva a casa, si perpetua. Quello di mettersi in scarpe da ginnastica e andare.

Una vita nell’atletica, prima in età giovanile, come vero e proprio atleta e poi come preparatore, impegnato per anni nella marcia con l’Atletica Interflumina del professor Carlo Stassano. Un’altra testa dura che lavora per obiettivi, che crede nei grandi sogni e poi, sovente, li realizza. Un destino pure questo, non ve ne è dubbio.

Da qualche anno Severino Lodi ha scoperto la passione per le gare più dure legate alla corsa e alla resistenza, gli Ultratrail. Prove durissime, che richiedono preparazione fisica e richiedono testa, preparazione psicologica. Ma ci torneremo. Tra l’8 e il 16 settembre l’atleta residente a Martignana di Po ha portato a termine il TOR450, il Tor de Glaciers in Valle d’Aosta. Qualche numero per far capire il senso di una prova difficilissima: 450 km, con 32mila metri di dislivello (32 mila metri in salita e 32 mila metri in discesa) da affrontare, partenza e arrivo a Courmayeur, tempo massimo 190 ore. Una prova di ultraresistenza riservata a soli 200 corridori che già avevano superato altre prove per ottenere il pass. La scelta del percorso è stata fatta privilegiando le vie e le creste poco battute e frequentate pochissimo anche dagli appassionati della montagna (le alte vie dimenticate 3 e 4), lontane dalle solite rotte degli escursionisti, per unire alla componente tecnico sportiva quella dell’avventura e della riscoperta del territorio. “Tracciati che sono frequentati solo da chi conosce alla perfezione i territori alpini – si legge nella presentazione – ama la solitudine e sa apprezzare la suggestione delle alte cime. Una prova davvero esclusiva, unica, imperdibile, da condurre in assoluta autonomia, avendo, come unici riferimenti e punti di appoggio, i magnifici rifugi d’alta quota”. Una competizione unica, messa in piedi quest’anno per celebrare la decima edizione del Tor de Géants.

Non se ne vanterà il nostro amico, ma può vantarsi di far parte del club esclusivo degli ultratrailers delle Terre Alte. Dei 200 partenti sono arrivati in meno di 80. Lui è stato tra quelli. “E’ praticamente tutto il giro della Valle d’Aosta – ci spiega – guidati solo dal GPS e dai volontari sul percorso, su sentieri pochissimo battuti. Una straordinaria esperienza estrema, fatta da gente che ci crede. Sono solo quattro anni che mi dedico all’endurance trail, anche se la passione per la montagna e per l’atletica ce l’ho da sempre. Prima degli ultratrail mi sono dedicato a persorsi impegnativi. Nepal, Himalaya, Patagonia tra gli altri. ll momento più difficile è la partenza dove sei assillato da mille dubbi: ma chi te lo ha fatto fare? Ma restare tranquillo a casa con la famiglia? Ma poi passo dopo passo prendi coraggio e quando si arriva ti dispiace che questo viaggio sia finito”.

Poi le gare di resistenza estrema: “Se dovessi dirti cos’é l’ultratrail per me é un viaggio con me stesso e dentro me stesso. Io non lo vivo come competizione contro gli altri, non faccio una gara. Avevo a disposizione 190 ore, ce ne ho messe per tagliare il traguardo di Courmayeur 180. Mi ero dato un tempo, 2,5 km all’ora che detto così sembra poco ma fatto in montagna, tra salite e discese, perché alla fine senti pesanti anche quelle, sono un ritmo faticoso, non assolutamente facile, soprattutto quando stai per arrivare in fondo. Sul percorso tre basi vita, a 150, 200 e 270 km soprattutto per ricaricare i GPS, nostra unica guida, riposare un attimo e cambiarsi e ogni 25 km un piccolo punto di ristoro. Per cui un punto di ristoro ogni 7/8 ore di percorso. Con me acqua, integratori, zuccheri da usare con la testa”.

“Abbiamo superato sei colli oltre i 3000 metri e lambito tutti i più famosi ghiacciai della valle d’Aosta. Percorso molto difficile solo GPS con tratti attrezzati con corde e ferrate. Di notte sotto la luce delle stelle e aiutati solo dalle luci frontali, emozioni indimenticabili. Nel silenzio di valli meno famose dove ancora si assapora il vero spirito della montagna fatto di lavoro, fatica, sudore ma ancora di tanta reciproca stima e aiuto”.

“Le emozioni che si vivono in un ultratrail? Si passa dall’esaltazione allo sconforto, si pensa comunque a casa e ala famiglia, al momento dell’arrivo, quando ad accoglierti ci sono due ali di folla con campanacci e trombe ch chiamano il tuo nome, la bellezza di avere l’aiuto e il conforto dei tanti volontari che permettono l’esecuzione di queste manifestazioni e in più durante il percorso nei momenti di sconforto e maggior fatica l’aiuto dei compagni di gara. In questi eventi si formano forme di solidarietà che spesso poi diventano amicizie. Da regolamento stesso poi è obbligo per gli atleti portare aiuto e soccorso se si vedono altri atleti in difficoltà pena la squalifica”.

Alle due iniziali considerazioni sul destino se ne unisce una terza. Severino Lodi ha rischiato, dopo aver ottenuto il pass ed essersi iscritto al Tor de Glaciers, di non poter partecipare. “Due mesi prima della partenza – ci racconta – sono caduto e l’esito è stato di due costole rotte con frattura scomposta. Ho pensato di non farcela, che non avrei mai fatto in tempo a ristabilirmi e ad allenarmi. Ma devo dire grazie alla mia famiglia, che mi ha spronato a provarci ugualmente e mi sono sempre stati vicino. Appena ho potuto ho ripreso l’uscio di casa ed ho ricominciato ad alenarmi. Qualche dolore durante il persorso poi l’ho sentito, ma ho stretto i denti ed ho sempre pensato a casa mia e alla famiglia. E sono arrivato in fondo”.

Le considerazioni da fare sarebbero tante. Le fa, con estrema semplicità e con il sorriso Severino: “Spero di trovare altri appassionati nella mia zona magari per creare un gruppo. Noi non viviamo in montagna, ma è altrettanto interessante correre in golena, riscoprire il nostro territorio che ha comunque tanto da offrire. Cosa serve? Tanta buona volontà, voglia di sacrificio ed un po’ di impegno. E serve carattere. Uno pensa che la cosa più importante sia la prestanza fisica, ma voglio raccontarvi una cosa. Tra i 200 iscritti al Tor de Glacier l’età media era alta. Più le gare sono difficili, ho notato, più l’età media si alza”.

E’ questione di testa. Dove il fisico e la forza cominciano a mancare sale l’importanza della testa. “E’ proprio così. Auguro a tutti di poter fare esperienze come la mia, di poter vivere sempre di più all’aria aperta in maniera attiva, e non passiva. E soprattutto auguro a tutti di credere nei propri sogni. E’ in noi stessi, sempre in noi stessi che dobbiamo trovare la forza di andare, di crederci, di muoverci. Anche nel nostro territorio, in fondo anche se non ti allontani, le possibilità le trovi anche qui”.

“Vivete per esaudire ogni vostro sogno, nulla ci è proibito”. Parola di Severino Lodi. L’uomo che vive dove terminano le case di Martignana di Po e inizia la golena. Un destino il suo: quello di aprire la porta e andare, senza scontrarsi con nessuno, senza darsi limiti se non con se stessi. E’ quello che fa lui ed è quello che – ognuno per quel che ha e per quel che può dare – possono fare tutti. Anche questa è vita. Una vita vissuta mettendoci tutto, e credendoci davvero.

Na.Co.

 

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