Cultura

Ricordo di 2 Carnevali storici: la
festa, la musica e il nobile carro

Pagine di storia autentica, e gustosa, dei nostri territori, che meritano di essere conosciute, valorizzate e conservate. Un lavoro certosino che Gaetano Mistura, al quale va sempre un grande Grazie

Il Carnevale celebrato è festeggiato in questi giorni un po’ ovunque, con eventi voluti e promossi dai Associazioni, Parrocchie, Oratori, Comuni. Un appuntamento tradizionale che, naturalmente, ha fatto riaprire anche pagine di storia, su eventi del passato che, in altri tempi, hanno animato e rallegrato (una volta sicuramente più di oggi) i nostri paesi di pianura, dell’una e dell’altra sponda del Po.

Si è già scritto, su Oglioponews, della vecchia (ma mai dimenticata) maschera di Zibello, Stoflen, per il cui recupero sono state gettate le basi (sperando, come sempre, che alle molte parole corrispondano anche almeno un po’ di fatti). Oggi, grazie alla consueta disponibilità e sensibilità di Gaetano Mistura, più volte sindaco di Zibello e, soprattutto, insigne ed instancabile storico locale, si ripropongono ulteriori pagine di storia carnevalesca delle terre del Po. Si tratta di fatti legati a Pieveottoville, risalenti a fine Ottocento, di cui fortunatamente Mistura ha tenuto, conservato e valorizzato il ricordo che oggi si propone. Il primo è il contenuto di una lettera di don Giovanni Fulcini scritta per conto di certo Allegri Giovanni il 18 marzo 1886.

“Il carnevale – si legge – qui a Pieve invece di migliorare, pareva sulle prime più sterile e meschino; ma la nostra società, omesso il solito pranzo per la circostanza dei tempi che corrono assai miserabili, si è divertita con festa da ballo privato nelle sere del 4, 7, 8, 9 corr. coll’intervento della scelto gioventù femminile regolarmente invitata e civilmente ricevuta.

Il salone (1) è stato decorato dal nostro Magnani; l’orchestra del M.stro Capelli. L’illuminazione discreta, poco dissimile all’elettrica; dessa permetteva appena di leggere le ore sul largo disco dell’orologio, fermato alla grossa trave di mezzo. Non era del tutto decente, che taluni fumassero anche danzando, con pericolo di danno alle ballerine elegantemente vestite.

Del resto ti assicuro che la nostra società contegnosa ha addimostrato al paese che l’amore e l’unione, quanto è dolce e soave, altrettanto è utile a qualsivoglia individuo. Infatti l’Illustre Sig. Delegato mandamentale e la moglie trovatisi presenti alla festa del dì 4 fino all’ultimo ballo, nel congedarsi dissero un bravo di cuore alla pacifica società invidiabile di Pieve.

Nel martedì, delle ore 2 pom.e alle 6,30 scorrazzarono gruppi di mascherati senza allusione, come al solito degli altri anni. I concerti filarmonici di Capelli e di Allodi coi loro interpolati pezzi musicali raccolsero in piazza popolazione numerosa, pressapoco come nei dì festivi solenni appena terminate le sacre funzioni. Anche gli Zibellini ci onorarono in copioso numero lasciando deserto il loro paese, e nel lasciare Pieve partivano contenti di averci veduti fare, giù alla buona, un poco di baccano del Carnevale, malgrado la scarsità di soldi nelle tasche del popolino, che pur volle commemorare questo giorno con allegria sì, ma limitata, onesta e secondo il proposito.

Si doveva fare l’ultimo ballo sulla fossa del carnevale, e s’udì fuori gridare: – Evviva i Culoni! (2) Si temeva che potesse, ad ora tarda, qualche ubriaco disturbare gli invidiati nostri piacevoli trattenimenti, ma invece fino ad un’ora dopo mezzanotte fuvvi la solita quiete. Si doveva fare l’ultimo ballo sulla fossa del carnevale, e s’udì fuori gridare: – Evviva i Culoni!… Noi stemmo silenziosi, ma sentendo ripetere più volte l’evviva i “Culoni”, uscimmo gridando: evviva i Supploni! (3) Evviva!- Fra lo scambio di queste fragorose evviva, ci unimmo tutti nel salone, ma ben presto scoccarono le ore due, e il povero carnevale, favorito dal bel tempo, finì sua vita nel sepolcro dei Culoni. Questo fatto ci ha consolati e ti assicuro che la nostra società acquisterà certamente in numero. Ti chieggo perdono del tempo che hai perduto, leggendo questo ragionìo, e ti saluto caramente anche da parte dei fratelli Vicini, dichiarandomi Tuo aff.mo Amico Allegri Giovanni Pieve Ottoville 18 marzo 1886 Fulcini D. Giovanni per commissione”.

Qui occorrono alcune precisazioni. Per quanto riguarda il punto (1) va specificato che il festoso evento ebbe luogo nella villa Marchi, oggi Bocchi, dipinta da Gerolamo Magnani. In quanto al punto (2) per “culoni” si dovevano intendere coloro che al giorno d‘oggi chi scrive queste righe chiama “quelli dal deretano piatto e pelato”, o che altri definiscono “dal culo grosso”, perché lavorano poco. Infine il punto (3) ecco che per “supploni” venivano identificati i poveracci, quelli che in luogo delle scarpe calzavano i “supei” ossia gli zoccoli. In questa ironica disputa ricchi e meno ricchi si sbeffeggiarono a vicenda, come può accadere proprio in occasione del Carnevale quando “ogni scherzo vale”.

Altra “pillola” storica è quella relativa all’incontro di due maschere con Messer Dsevedo Salà che stringe la mano a Giliobello Stofflen (o Stoflen, ma c’è anche chi sostiene che in realtà potrebbe essere Stuflen) considerandolo come alleato nel consorzio delle maschere italiane il 21 febbraio 1871.

Negli annali di Pieveottoville sono riportati anche altri storici Carnevale, con racconti pervenuti dalla viva voce degli anziani, tramandati di generazione in generazione, giunti a noi tramite Pov, il giornalino parrocchiale in circolazione a Pieve negli anni ’80 del secolo scorso. Frammenti di vita che rievocano il modo di vivere di un tempo. Ecco quindi il racconto di un altro carnevale degno di essere ricordato.

Verso la fine del 1800 il Marchese Pallavicino era ancora proprietario di molti poderi tra Busseto e San Secondo ed erano pure suoi i terreni che dal nostro argine maestro si estendono fino al Po: Ghisiolo, Ghiare grandi, Ghiare piccole, e Ghiare basse. Qui nelle case ora diroccate o crollate vivevano gli amministratori e molte famiglie addette ai lavori dei campi e all’allevamento del bestiame.

Al Ghisiolo c’era un allevamento di cavalli di razza con una stazione di monta, i cui stalloni erano acquistati a Torino. Ciò costituiva motivo di curiosità e di vanto per i pievani, anzi i ragazzetti si sentivano onorati se il marchese, tramite suoi amministratori, li assumeva, gratis, per condurre i cavalli a ‘prendere aria nel bosco’.

Si racconta che in un anno di fine secolo il marchese fece lavorare tutti i suoi dipendenti maringon, frér, cavalér…, contadini per allestire un carro di Carnevale a forma di torre. Il carro era tirato da pariglie di bellissimi cavalli con finimenti “dai buton d’or”, lucidati a furia di unto di gomito e coperti da lussuose gualdrappe.

Nella torre erano sistemate persone mascherate che, affacciandosi alle finestre a balconcino, dovevano lanciare frutta alle persone che assistevano al passaggio. Seguivano il carro i suonatori Capelli e Allodi, le carrozze del marchese, dei suoi familiari e degli invitati, a piedi tutti gli addetti ai lavori.

II corteo, partito dalle Ghiare e oltrepassato al “Pont da ‘i ali” percorse l’attuale via Marcellina Frondoni fra due ali di folla curiosa, vociante e allegra, mentre il marchese ascoltava, osservava, gongolava e si degnava di rispondere ai saluti. Ma…, svoltando a sinistra per imboccare la strada della piazza, la punta della torre urtò contro i fili del telegrafo, si spezzò e crollò a terra. Confusione generale: urla, fischi, risate, imprecazioni, rabbia vergogna…

I ragazzetti si buttarono a capofitto sulla frutta e fecero piazza pulita. Il marchese, livido di rabbia per l’accaduto, si scusò con gli invitati, scaricando magari la colpa sui suoi dipendenti i quali erano più dispiaciuti di lui per il timore di perdere il posto di lavoro. Anche allora un posto di lavoro era il pane assicurato, ma quell’anno il corso mascherato finì male.

Tuttavia il marchese non si diede per vinto e qualche anno dopo fece allestire un altro carro. Vi lavorarono tutti i dipendenti impegnati, in un modo o in un altro, a rifarsi dello smacco subito. Fu allestito un grande carro a forma di un’enorme anguria rivestita di stoffa smagliante, tirato da pariglie di cavalli bardati in modo impeccabile.

Il carro, seguito dalle numerose carrozze degli invitati, arrivò in piazza e silenziosamente fece un solo giro attorno al paese fra la meraviglia dei presenti che notarono la mancanza dei suonatori: “un Carnevale senza suoni ed allegria non è Carnevale !” Commentavano sommessamente: “Mancano i suonatori, come mai?” “Al marches l’arà bravà con lur (il marchese avrà avuto da dire con loro). Non avrà pin soldi !” Ad un tratto il carro si fermò) e Angelo Fionda, persona istruita che godeva della fiducia del marchese e della stima dei compaesani, con un enorme coltello tagliò l’anguria. Si senti una musica e da ogni fetta usci un suonatore. L’orchestra si mise a suonare a l’allegria tornò fra tutti. Il marchese si era rifatto! Per alcuni anni si parlò del successo di quel carro, ma per non sciuparne il ricordo non se ne fecero altri.

Pagine di storia autentica, e gustosa, dei nostri territori, che meritano di essere conosciute, valorizzate e conservate. Un lavoro certosino che Gaetano Mistura, al quale va sempre un grande Grazie, fa da sempre, tenendo viva quella storia che è quella dei nostri padri e dei nostri nonni, che ci hanno preceduti.

Eremita del Po, Paolo Panni

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