Cronaca

"La mafia è già dentro casa": dati
choccanti dalla serata di Gussola

Il convegno sulle mafie è stato organizzato a Gussola dai Circoli Arci Bassa e Arci Persichello, assieme a Noi Ambiente Salute e a Salviamo il Paesaggio. Con Prandini, autore di “Mafie all’ombra del Torrazzo”, era presente anche Luigi Gaetti, vicepresidente della Commissione Antimafia parlamentare durante l’ultimo Governo. GUARDA IL SERVIZIO TG DI CREMONA 1 E IL VIDEO INTEGRALE

“Prima ci accorgiamo che la mafia non è a mille chilometri, bensì a 100 passi da casa nostra, prima possiamo combatterla: perché la mafia è persuasiva ed inclusiva e ha una struttura economica molto solida”. Con queste parole Stefano Prandini ha scosso il convegno sulle mafie organizzato venerdì a Gussola dai Circoli Arci Bassa e Arci Persichello, assieme a Noi Ambiente Salute e a Salviamo il Paesaggio. Con Prandini, autore del libro inchiesta “Mafie all’ombra del Torrazzo”, era presente anche Luigi Gaetti, vicepresidente della Commissione Antimafia parlamentare durante l’ultimo Governo.

Un momento intenso e per certi versi choccante, ma corroborato dai dati raccolti dalla ricerca Cross dell’Osservatorio coordinata dal professor Nando Dalla Chiesa, che ha collaborato proprio con Gaetti, riguardante il quadrilatero delle province Cremona-Mantova-Brescia-Piacenza. “La vera azione antimafia si fa creando un terreno repellente non fuori dal giardino di casa, ma dentro casa – ha esordito Prandini – affinché la mafia non attecchisca. Purtroppo ci si è mossi tardi e si continuano a chiudere gli occhi: nel 2014 abbiamo realizzato un libro che mostrava come Cremona non fosse un’isola felice. Dopo il processo Aemilia, anzi nonostante il processo Aemilia, si è continuato a fare finta di nulla. Già nel libro “Mafie all’ombra del Torrazzo”, unendo i puntini, abbiamo scoperto 200 episodi di mafia tra Cremona e provincia collegati tra loro. Ma a Cremona nessuno ha parlato. A Mantova sì, perché la provincia è stata lambita dal processo Aemilia, ma non a Cremona. La lotta alla mafia non è solo un dovere etico, ma anche un’azione di difesa alla nostra economia”.

Lo stesso Gaetti ha illustrato dati molto interessanti sul fenomeno ndranghetista che non è più solo di infiltrazione ma di radicamento. Nuovi metodi, nuovi settori, dall’edilizia ai servizi all’usura grazie al grande quantitativo di liquidità, anche se a fare più danno sono i settori in cui la Ndrangheta si infiltra senza quasi dare nell’occhio, potendo così riciclare. “Dobbiamo pensare che a Milano si consumano 100 kg alla settimana di cocaina. Questa viene comprata a 1000 euro al chilo a Bogotà e viene rivenduta a 100mila euro. In un anno, soltanto a Milano, la Ndrangheta porta a casa con il solo spaccio di cocaina 500 milioni di euro, che entrano nell’economia legale tramite il riciclaggio. Un boss di spicco è stato dichiarato capace di spostare 500 miliardi di euro: di fatto un terzo del PIL italiano. Numeri che fanno impressione, ma certificati”.

Gaetti ha poi ricordato il caso Montante, il potentissimo capo di Confindustria Sicilia, “condannato a 8 anni di carcere per associazione a delinquere, ma non per reato di mafia, nonostante indirizzasse le decisioni della Regione, scegliesse gli assessori, facesse stipulare contratti, creando fittissime relazioni. A Caltanissetta è però accaduto un fatto strano: il processo Montante è stato unificato col processo Montante-bis così entrambi andranno in prescrizione: questa è una mafia che c’è e si vede, dato che nel processo ci sono tanti nomi pesanti, che fanno parte del tessuto economico regionale tra supermercati, smaltimento di rifiuti, con discariche regalate, e non solo. La mafia in Sicilia non è più quella dei Corleonesi: è diventata presentabile, assumendo sembianze istituzionali ma mantenendo antichi patti e relazioni. Si arriva ad un punto in cui dalle mafie si può arrivare a dipendere dal punto di vista economico. Oggi dall’infiltrazione si è passati, come ha detto il procuratore Lucia Musti a Bologna, all’insediamento e al radicamento: la cosiddetta violenza a bassa intensità, con intimidazioni e metodi mafiosi, viene portata da tempo anche agli imprenditori del Nord”.

Da qui la decisione di creare uno studio con diversi indicatori. “Il primo è il numero dei fallimenti – ha spiegato Gaetti -. L’aumento dei fallimenti dal 2002 al 2017 è andato di pari passo con l’inserimento di ditte che avevano padroni o gestori provenienti da Cutro o da Isola Capo Rizzuto, cresciuti del 9.50%. Quando però abbiamo presentato questo dato alla Camera di Commercio di Mantova, nessuno ha mosso ciglio, e invece siamo di fronte a un indicatore matematico e a una diversificazione della presenza mafiosa, passata dall’edilizia, ai servizi all’assistenza alla persona, alla gestione rifiuti, alle professioni da colletti bianchi. Nel quadrilatero Cremona, Mantova, Piacenza e Reggio Emilia molti sono gli imprenditori ionici. Molto spesso l’iniezione di capitali mafiosi viene fatta in imprese pulite, proprio perché serve essere visibili e presentabili. Abbiamo creato un nuovo indicatore, che ha dimostrato come in questo quadrilatero le imprese con titolari crotonesi fatturavano 30mila euro in più di media – dai 64mila euro in più a Reggio Emilia ai 14mila euro in più di Cremona – rispetto alle imprese autoctone, ovviamente dello stesso ramo e delle stesse dimensioni.

C’è poi un nuovo schema anche nella corruzione: le gare sono taroccate e qualcuno ci rinuncia. Negli anni ’80 la politica dava l’appalto all’impresa, che poi restituiva una percentuale al politico o al partito, come Mani Pulite ha dimostrato. Oggi invece in molti casi l’impresa è a partecipazione diretta del politico, mediante un prestanome. Questo studio è stato portato avanti con l’Università di Milano: io ho scelto di devolvere a loro il mio TFR da senatore come forma di ringraziamento. E ho chiesto, all’inizio di questa avventura, di essere vicepresidente della Commissione parlamentare proprio perché sono del Nord”.

Ha poi ripreso la parola Prandini. “Cosa Nostra e Ndrangheta hanno trovato un equilibrio ora, ma anche da noi c’è stata tra il 1991 e il 1992 una guerra di mafia con omicidi e lotte intestine tra la famiglia Dragone e la famiglia Grande Aracri. Oggi si è arrivati appunto a un equilibrio e questo è pericolosissimo: intanto perché la dipendenza dalla casa madre c’è sempre ma c’è maggiore autonomia sui territori lontani dalla Calabria. In secondo luogo perché molti pensano che la mafia non esiste più perché non ci sono più omicidi. Ma è proprio quando ha minor bisogno di uccidere che la mafia è più potente, perché riesce a imporsi lo stesso pur con una violenza inferiore. Nel 2020-2021 abbiamo avuto ancora affari loschi nella zona cremonese, con smaltimento di rifiuti tossici e non solo. Eppure il processo Aemilia, che avrebbe dovuto aprire gli occhi, c’era già stato. E poi c’è l’usura: chi ha tanti liquidi a disposizione, si muove da usuraio e il mafioso fa questo. L’augurio è che questa serata sia un punto di partenza, non di arrivo, per tirare fuori la testa da sotto la sabbia”.

Gaetti ha raccontato anche un paio di aneddoti. “Quando ero vicepresidente della Commissione Antimafia mi invitarono, a Roma, a bere il caffè con alcune persone. Io però a certa gente, che era indagata, non ho voluto nemmeno stringere la mano, e queste persone erano invece riverite da altre. Dirò di più: nel 2002 a Curtatone, mio comune di origine, venne istituita via Calabria. Lessi la delibera, chiesi il motivo e qualcuno mi fece capire che 600 calabresi avevano preso residenza e che con quei 600 voti si vincono le elezioni”.

E’ intervenuto anche il sindaco Stefano Belli Franzini, con un pensiero particolare sulla sburocratizzazione. “So che Salvini ha proposto di togliere o alleggerire la burocrazia nelle gare d’appalto. Io sono favorevole ma a metà. Vogliamo togliere le carte? Questa gente le carte le sa fare bene perché è abituata, perché è il suo terreno. Non si possono però togliere procedure e controlli, perché è soltanto lì che può uscire il sommerso. E le cosiddette Black List non bastano più”.

QUI SOTTO LA RIPRESA INTEGRALE DELLA SERATA

QUI IL REPORT DELL’UNIVERSITA’ DI MILANO

Giovanni Gardani

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