Fuori porta: la febbre dell'oro e la
ricerca del minerale in Val Stirone
Nei primi decenni del Novecento, come si legge anche nelle memorie del Comune di Pellegrino Parmense, grazie all’intraprendenza dell’allora parroco, Don Eugenio Nicoli, che con i pochi soldi raccolti provvedeva a delle vere e proprie battute di lavoro, prese il via una miniera per la raccolta del prezioso metallo
Non siamo certo sulle tracce di una nuova Eldorado, ma anche tra i dolci colli della Val Stirone, dove regnano pace e silenzio, c’è stato un tempo in cui si è andati alla ricerca dell’oro. Con la speranza, probabilmente, di portare lavoro e ricchezza alle genti di quelle terre.
Nei primi decenni del Novecento, come si legge anche nelle memorie del Comune di Pellegrino Parmense, grazie all’intraprendenza dell’allora parroco, Don Eugenio Nicoli, che con i pochi soldi raccolti provvedeva a delle vere e proprie battute di lavoro, prese il via una miniera per la raccolta del prezioso metallo.
Lentamente la miniera prese forma e si attrezzò come quelle che tante volte si vedono nei film, con due gallerie che entrano nel fianco della collina per circa sessanta metri, con rotaie e carrelli per il trasporto del materiale scavato. Si legge che dalle fatiche di Don Nicoli una base minerale fu trovata: 200 grammi d’argento, 12 d’oro in ogni tonnellata di terra, non certo tali da rendere giustificabile l’impresa dal punto di vista economico.
Poco alla volta l’interesse e le speranze del povero prete di campagna si esaurirono, così come le sue risorse. La miniera fu abbandonata e andò in rovina, tanto che ormai ne restano pochissime e povere tracce.
Erano gli anni Venti del Novecento e, per saperne di più, bisogna mettere mano ad altre memorie, quelle di Giuseppe Pipino del Museo dell’Oro Italiano che ricorda che Don Eugenio Nicoli era titolare del permesso di ricerca per pirite Val Stirone, in comune di Pellegrino Parmense, ottenuto nel 1923.
Secondo la Relazione del Servizio Minerario del 1925, come fa sapere ancora Pipino, vi lavoravano 32 operai e “… si sono scavati 35 metri di gallerie nei terreni di frana, oltre 150 metri di trincee… Sono in progetto dei traverso banchi a quota più bassa, alla quota dello Stirone”.
Secondo Nicoli (1931) fu scavata una galleria, lunga una cinquantina di metri sulla sponda destra del Rio della Moia, sotto Casa del Gobbo, la quale avrebbe dovuto attraversare “filoni metalliferi auro argentiferi intercalati fra gli sciti verdi o neri… con immersione pressoché verticale e con direzione da N.E. a S.O.”, contenuti in “… strati di arenaria e di calcari di natura e colorazione diversi”, ma “… si sviluppò, invece, in una faglia di riempimento che ha la potenza di 4 metri” e “… attraversò tuttavia una vena di minerale compatto della potenza di 50 centimetri”.
Non riuscendo a trovare finanziatori, nonostante la pubblicazione promozionale, i lavori cessarono. Dopo qualche anno le ricerche furono riprese, dal parroco, in collaborazione con Newton Canovi, noto imprenditore minerario e titolare del permesso di ricerca Corchia, in territorio di Berceto.
Il 20 novembre 1937 don Nicoli ottenne il permesso di ricerca per solfuri di ferro, rame argento, oro e associati, denominato “Cafferri”, in comune di Bore: nel 1940 i lavori non erano ancora iniziati e, a quanto pare, come concludono ancora la “memorie” di Giuseppe Pipino, non furono mai effettuati.
Eremita del Po, Paolo Panni