Cultura

Sorbolo, che bella la storia dei ribelli
d'Oltretorrente di Gianluca Fogliazza

Gianluca Fogliazza decide di narrare la storia immaginandosela come fosse una partita di pallone. Una squadra di 11 giocatori contro un portiere, peraltro monco

Non era semplice raccontare la storia adattandola ai ragazzi. Una storia, quella delle barricate del 1922 dell’Oltretorrente di Parma, più complessa di quanto sia stato narrato e scritto, e molto più cruenta di quanto la narrazione scenica non abbia riportato sul palco. Gianluca Fogliazza – ardito del disegno e pure ottimo elemento narrante – c’è riuscito. C’è riuscito romanzandola pur mantenendo gli elementi cardine nelle figure popolane che animavano il borgo, e c’è riuscito mantenendo l’intreccio narrativo adatto ai ragazzi, nella consapevolezza che ciò che è adatto ai ragazzi è adatto agli adulti.

Avrebbe potuto soffermarsi, e concentrarsi sulla storia di Guido Picelli, l’eroe di quelle giornate d’agosto in cui, forse unico caso in Italia, in cui un manipolo di 300 arditi respinse il tentativo di Italo Balbo di marciare su quella parte di città più intimamente legata al popolo. E invece, Gianluca Fogliazza decide di narrare la storia immaginandosela come fosse una partita di pallone. Una squadra di 11 giocatori contro un portiere, peraltro monco. Un Davide, se vogliamo, contro un Golia. E decide di fare protagonista non l’organizzatore degli arditi, ma un ragazzino, un 14enne, garzone e innamorato del pallone che scopre presto cos’è la vita. E la morte.

La vita, e la morte. Fogliazza resta in equilibrio, come il trapezista, pur scegliendo di narrare la vita quotidiana. Non tralascia la morte – nell’ultima parte – ma la fa scorrere. Ne narra come di un tratto di quella storia, in una maniera lieve. Fa parte del tutto. Come del resto ogni altra cosa.

Era stracolma la sala civica di Sorbolo ieri sera nell’ultima delle iniziative dell’ANPI locale. Ma ciò che ha stupito maggiormente è che tanti erano i ragazzi, gli under 18 in sala. Ribelli come il sole (100 di queste barricate) è adatto a loro. Traccia la vita del borgo, i suoi personaggi, in maniera semplice come fossero tutti figli di un disegno. C’é il prete, le amicizie, le osterie. C’è la forza delle donne, il gioco delle sassate, la povertà. C’è la narrazione e la ribellione di una parte di città – la parte ribelle – poco incline all’obbedienza e alla prevaricazione. C’è la vita, narrata, romanzata ma pur sempre credibile, pur sempre non lontana dal vero.

Una storia, quella messa in scena da Gianluca Fogliazza, che si lega (fatte le dovute proporzioni, non essendo l’intento dell’artista quello della ricerca storica approfondita) alla Nouvelle Histoire di Jacques Le Goff, quella attenta alla vita, alla sensibilità ed alla mentalità popolana, agli uomini comuni e alla vita quotidiana. Quella storia che recuperava i personaggi come le donne, i contadini e i poveri, in genere i marginali che la storiografia tradizionale considera ai margini della grande Storia, rendendoli protagonisti. Un popolo senza generali resta un popolo, un generale senza un popolo é niente.

l sogno innocente di un ragazzino di 14 anni dell’Oltretorrente – dice del proprio spettacolo lo stesso Gianluca Fogliazza – si trasforma nella consapevolezza di una partita, quella per la vita, molto più importante del suo desiderio di diventare un calciatore. Gino, detto Soghèt, vive le Barricate del 1922 strappato alla sua innocenza dal cinismo della realtà. La vita nei borghi, la musica, il fascismo che nasce e si consolida, la figura straordinaria di Guido Picelli, l’orgoglio e la ribellione di un popolo nel popolo, quello dell’Oltretorrente, che nel 1922 diviene protagonista di un fatto unico in Italia: uno scontro impari come fosse una partita di pallone 11 contro 1, diecimila fascisti contro 300 Arditi del Popolo. Vincendo. Tutto questo raccontato dallo sguardo di un ragazzino, che la realtà ha cessato di essere proprio su quelle barricate, ma che la licenza della narrazione teatrale consente di far vivere, per onorarne la memoria e quella degli Arditi del Popolo, perché gli occhi di un ragazzino sappiano far vedere soprattutto ai più giovani una storia troppo sconosciuta, ma con somiglianze all’attualità straordinarie, e che ritrovata sia d’esempio per riscattare il presente e il futuro”.

Un atto unico, accompagnato sovente dalla chitarra di Emanuele Cappa. Un tavolino, un antico pallone di pelle di quelli duri da utilizzare ma utilizzati dai più abbienti, e un altro di pezza, quelli usati dai ragazzini del borgo. Un tavolino, una lampada, i fogli e il pennarello di Gianluca con la sua mano veloce a tratteggiare i personaggi della sua storia, a renderli immediatamente accessibili ai ragazzi, e a tutti. Un’ora assolutamente piacevole in cui, tra dialetto ed italiano, la storia scorre narrando del popolo dell’oltretorrente e di una vittoria, che si chiude con quell’ultima tavola in cui il disegno è quello di una scritta irriverente e beffarda. Balbo, hai passato l’Atlantico ma non hai passato il Parma.

Al termine sono proprio i ragazzi ad avvicinarsi al palco e a portarsi via quei disegni lasciati a memoria della narrazione. La generazione degli smartphone e dei tablet irretita da un pennarello, da una palla di pezza e dalla vita di un ribelle, di tanti ribelli. Da una vita semplice, da tante vite semplici eppure straordinarie. Ed è questa l’immagine più bella che ci portiamo via da Sorbolo. Quella di un racconto che apre porte. Anche quelle all’apparenza più difficili da aprire.

Nazzareno Condina

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