Martignana Po, in golena
torna la transumanza
Scriveva del suo Abruzzo Gabriele d’Annunzio quando – preso dalla nostalgia profonda per tutti quei gesti dal sapore antico – ricordava il rito della transumanza.
Settembre, andiamo. E’ tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.
Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d’acqua nafia
rimanga ne’ cuori esuli a conforto
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d’avellano.
E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!
Ora lungh’esso il litoral cammina
la greggia. Senza mutamento è l’aria.
Il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciaquìo, calpestìo, dolci rumori.
Ah perchè non son io co’ miei pastori?
Scriveva di greggi che dalla montagna, al giungere dell’autunno (allora giungeva un po’ prima di adesso, son cambiate un poco le stagioni) s’approssimavano al mare, percorrendo gli antichi tratturi, guidati da saggi e valenti pastori, scriveva dell’arrivo alle sabbie con una velata nostalgia. Del tempo, delle guide e di quegli esseri lanosi che, rischiarati dalla luce del sole, si mischiavano quasi a confondersi con sabbie in lontananza.
Qui non siamo in Abruzzo, e dalla pianura si viaggia – per sterrate nei campi – alla pianura. Siamo già a novembre, ma poco importa: il freddo non si è fatto mai pungente e gli armenti non ne hanno sofferto. Gli armenti: pecore, qualche capra, montoni, ma anche asini, almeno un cavallo, mucche e gli imprescindibili cani che, all’arrivo degli estranei, spingono il gregge verso il centro del campo, si frappongono fra l’estraneo e i capi di bestiame ed iniziano ad abbaiare minacciosi. E’ il loro mestiere, nessuna meraviglia, e lo fanno con dedizione assoluta.
In questi giorni, chi ha percorso le strade di golena scendendo da San Serafino a Martignana e spingendosi sino a dove la strada, da malmessa striscia d’asfalto diventa sterrata, ha notato il variegato gregge e la roulotte del pastore che resta, di notte, a dormire al loro fianco. Non c’era – il pastore – quando siamo passati. Ci sono i cani, almeno quattro, in sua vece e di quelli lui si fida. Sono i suoi occhi, le sue braccia e la sua voce in sua assenza. Possiamo presumere che sia lo stesso degli anni passati, che stia ripetendo il tragitto di sempre, che si affidi come sempre all’aiuto di qualche agricoltore della golena che presta un campo affinché possano restare – opportunamente recintati – al sicuro. E’ sempre un prestito proficuo: sono campi giunti al termine della stagione, gli animali lo ripuliscono da quello che resta e intanto lo concimano e – quando se ne saranno andati – al proprietario non resterà che arare in attesa della nuova stagione senza aver perso nulla. Anzi, avendoci guadagnato pure qualcosa.
Gli animali sono il più possibile al sicuro. Ci sono le volpi in golena, e i cinghiali. E forse qualche lupo. Ma i cinghiali – ci aveva spiegato l’anno scorso il pastore – non si avvicinano alle pecore, ne hanno timore. Le volpi mirano ai piccoli, ma i piccoli restano protetti. E poi ci sono i cani. Abbiamo ascoltato, qualche anno fa e proprio in Abruzzo, in quella terra amata da D’Annunzio (e infinitamente pure da chi scrive) storie di guardiani impavidi che, pur di non darla vinta ai lupi, hanno lottato come leoni sino a soccombere, rincorrendo i nemici delle greggi sino a dentro il bosco. A guardare quelli che difendono il gregge di Martignana non abbiamo dubbi che farebbero altrettanto.
Boschi qui non ce ne sono, invero non ci sono più neppure molte piante, ed è un po’ più semplice controllare la situazione. Lo sguardo può correre – non senza una certa nostalgia di filari ed aree umide – sino alle soglie dell’orizzonte.
Il pastore non è arrivato, è mattina e forse dorme nella sua roulotte. O forse è andato in paese – come nelle scorse volte – a prendere qualcosa da mangiare ed una bottiglia di vino per scaldarsi nella lunga notte di golena. Notte senza luce in cui gli occhi però si abituano al buio e lo penetrano – sino a dove è possibile.
Sino a ieri pomeriggio il gregge era il golena. Partirà da qui a poco, verso altri campi, verso altri pezzi di golena. E’ la transumanza: un rito antico. E qui, nelle terre sempre più brulle e spoglie di golena ancora si ripete. Come in Abruzzo, solo con altre prospettive ed altri orizzonti. Le pecore “vanno pel tratturo antico al piano, quasi per un erbal fiume silente su le vestigia degli antichi padri” anche qui, dove il fiume accarezza terre piatte e dove il sole si alterna a nebbie e brina mattutina. Da secoli sempre allo stesso modo. E con la stessa infinita poesia e bellezza…
N.C.