Chiesa

Commessaggio Inferiore, Beata
Vergine di Loreto, 300 anni di storia

Di seguito l'ampia analisi storica e artistica di don Gino Assensi, oggi parroco di Martignana di Po e da sempre appassionato di storia.

Compie 300 anni, tondi tondi, la chiesa intitolata a S. Maria di Loreto in Commessaggio Inferiore, frazione di Sabbioneta. Un edificio di culto costruito nel 1721 sulla riva destra del canale Navarolo, di fronte all’abitato di Commessaggio. Di seguito l’ampia analisi storica e artistica di don Gino Assensi, oggi parroco di Martignana di Po e da sempre appassionato di storia.

 

IL “COMUNE DI COMESAGGIO DI SABIONETA”

La divisione del paese di Commessaggio in due entità è dovuta al fatto che la più grande di queste fa Comune a sé, mentre la più piccola (inferiore) è frazione del Comune di Sabbioneta. Divisione dalle radici antiche, quando Commessaggio (superiore) apparteneva al principato di Bozzolo mentre Commessaggio inferiore al ducato di Sabbioneta: confine naturale era il corso di quello che un tempo era chiamato “fiume Commessaggio”, mentre oggi è semplicemente indicato come “canale Navarolo”.

Dal punto di vista ecclesiastico, però, non c’è mai stata alcuna divisione e quando nei documenti si parla delle “anime” della Parrocchia di S. Albino vescovo in Commessaggio, tutt’al più si distingue tra quelle residenti al di qua del Commessaggio e quelle residenti al di là, oppure tra quelle “su l’Principato di Bozolo” e quelle “su lo Stato di Sabioneta”. Attualmente si qualificano le anime di Commessaggio inferiore semplicemente come residenti “di là del ponte” oppure “oltre ponte”.

La divisione civile rendeva talora problematico ai fedeli, che volevano accedere al paese e alla chiesa parrocchiale, il transito del ponte sul “fiume Commessaggio”; quel ponte voluto nel 1583 da Vespasiano Gonzaga (dopo che gli era riuscito di annettere al territorio di Sabbioneta quello di Bozzolo) ma che, alla morte del duca (1591), era diventato una dogana sul confine tra i due stati tornati indipendenti.

Sono documentate, in proposito, questioni circa il passaggio notturno delle persone che dovevano accedere “alla parrocchiale di S. Albino in Commessaggio stato di Bozolo e questo o per bisogno di SS. Sacramenti o per la campana in caso di qualche disgratia o per bisogni come ponno occorrere di tempo in tempo” (1714). E pensare che i parrocchiani “su lo stato di Sabioneta” già pagavano annualmente “l’affitto del transito del ponte del Comesaggio” (documenti dal 1689); e la cosa continuò parecchio visto che il bilancio parrocchiale del 1820 nei “livelli passivi” annota ancora un pagamento al “conduttore del ponte sul canale Commessaggio… onde sii libero il passaggio agli abitanti al di là del ponte medesimo come da antica consuetudine”.

Fu indubbiamente questa divisione civile a far sì che i parrocchiani residenti “su lo stato di Sabioneta” godessero di una certa autonomia amministrativa che li vide eretti in “Comune di Comesaggio di Sabioneta”, con tanto di deputati, tesoriere, patrimonio di terreni, bilancio…

Tale autonomia è documentata per oltre un secolo, tra la fine del sec. XVII e l’inizio del XIX, particolarmente da un libro dei conti intitolato “Fondo del Comune” e conservato nell’archivio parrocchiale di Commessaggio: esso riporta appunti relativi alle entrate dal 1690 al 1807 e, naturalmente, anche le uscite, però fino all’11 novembre 1751.

Con le entrate, costituite essenzialmente dall’affitto di terreni di proprietà del Comune, si pagava la quarta parte delle spese ordinarie e straordinarie della parrocchia di S. Albino.

Nelle ordinarie figurano le quote per la retribuzione del personale (campanaro, organista, levamantici, “beccamorto”, predicatore quaresimale), per il cero pasquale e il triangolo di quindici candele da usare nel mattutino delle tenebre, per la manutenzione delle campane, per la polvere pirica necessaria a confezionare i mortaretti che venivano fatti brillare durante la processione del Corpus Domini, per la cera necessaria in alcune feste parrocchiali come quella delle Sante Reliquie o della B. V. M. dei Miracoli. Nelle spese straordinarie si citano, ad esempio, i pagamenti “in far selegare la chiesa, artechiare et altre fature fatte alla medesima”, oppure “in far agiustar le vedriate”.

Le spese, però, non erano solo di carattere ecclesiastico; di fisso, come s’è detto, si versava annualmente la quota “al fittabile del ponte… per il passo di detto ponte”; spesso, poi, c’era da pagare una non meglio precisata “tassa reale”; nel 1734 sono registrate imposte “per le truppe Francesi”.

Ma la ragione di vita del Comune consistette principalmente nel costruire questa chiesa della B. V. di Loreto, voluta “sotto il nome del Commune e non altrimente”. Le complesse vicende che precedettero la sua costruzione testimoniano di una comunità vivace e determinata, fatta anche di persone intraprendenti, colte e generose.

Nel 1749 il ducato di Sabbioneta passò formalmente sotto il dominio austriaco e l’imperatrice Maria Teresa d’Austria vi introdusse riforme di carattere giuridico e amministrativo che portarono anche alla soppressione del “Comune di Comesaggio di Sabioneta”; s’è detto, infatti, che il libro dei conti registra le uscite fino al 1751; i beni della comunità furono incorporati a quelli dell’oratorio costruito trent’anni prima.

 

ORIGINE E VICENDE DELL’ORATORIO

Risale al 10 marzo 1665 la più antica testimonianza della volontà di costruire l’oratorio: si trova nel testamento del sacerdote Alessandro Tromboni, cappellano della Confraternita di S. Rocco in Sabbioneta e originario di Commessaggio Inferiore. Considerando la buona disposizione nutrita dai suoi compaesani di costruire un oratorio, il testatore volle l’istituzione di un beneficio per la celebrazione di messe da morto nel nuovo edifico di culto; in dote al beneficio assegnò 13 biolche di terra. L’istituzione del beneficio era legata alla condizione che l’oratorio venisse costruito entro quattro anni (si precisava il 1669); in caso contrario il beneficio doveva essere eretto nella chiesa di S. Rocco in Sabbioneta. Benché il testatore avesse disposto tutto con atto pubblico, al fine di non dar origine a liti o controversie dopo la propria morte, le cose andarono diversamente, con tali complicazioni e lungaggini che solo nel 1722 si arrivò ad una composizione tra le parti; in quell’anno, infatti, i Reggenti dell’oratorio riuscirono ad ottenere quanto disposto ben 57 anni prima.

Il 12 febbraio 1710 Camillo Sartori e i suoi fratelli fondarono un beneficio nella chiesa parrocchiale di Commessaggio “con obbligo, e condicione però, che quando mai ne’ futuri tempi fosse fabricato, ed eretto un Oratorio nel Commessaggio detto di là nello stato di Sabbioneta, tal Beneficio sia trasferito, e trasportato in detto Oratorio”.

Ma alla buona disposizione e alle nobili intenzioni degli abitanti di Commessaggio Inferiore si opposero quelle che, più tardi, gli stessi abitanti definiranno le “stravaganze dei tempi” così che la realizzazione del loro desiderio veniva costantemente differita. Chissà, poi, come fu messa a dura prova la loro tenacia quando, nel volgere di nemmeno un decennio, videro sorgere ben tre oratori sul territorio parrocchiale: ai Ronconi nel 1685, a S. Antonio nel 1691, alla Bocca nel 1694 e ancora nel 1707.

Le cose giunsero a maturazione quando l’arciprete di Sabbioneta don Pietro Tromboni, nipote di don Alessandro, interpose i propri uffici. Il 18 maggio 1718 riunì in casa propria i capi famiglia di Commessaggio inferiore, suo paese natale, e con loro stese i “capitoli per la costruzione del nuovo oratorio”. In essi i convenuti stabilirono di chiedere all’autorità diocesana e a quella ducale l’assenso e il patrocinio per la costruzione; che l’oratorio fosse “di longhezza e grandezza capace per il popolo d’esso Commune, e non una machina soprabbondante”; soprattutto che “sia semplice” oratorio, forse per rassicurare il parroco di Commessaggio che fiutava aria di secessione da parte degli abitanti di là del ponte. Si stabilì, inoltre, che i capi famiglia del Comune eleggessero “due o tre persone capaci” cui dare “ampla autorità di fare, commandare, trattare… quello che occorerà per detta fabrica”, con l’obbligo di “far radunare tutto il Commune” qualora si dovessero affrontare “cose di non poco rilievo”. A chi s’era reso disponibile per il finanziamento della costruzione si chiese di chiarire “quello [che] intende di fare e in quanto tempo e così esso signor Prevosto per poter prendere le misure sicure”. Infine si affermò con chiarezza “che la licenza che si dovrà ottenere dalli supperiori per far detto oratorio sia in nome del Commune medesimo, e non di qual si sia particolare, perché si chiama Oratorio del Commune e non altrimente”; era conseguente, dunque, “che nissuna persona che concorerà, si con denari come con robba, possa aver pretensione di commandare, far lavorare a suo capricio, far da patrone ec. Ma che tutto passa sotto al commando delli deputati elletti e sotto il nome del Commune e non altrimente”.

La signora Isabella Bennati Bettoni donò al Comune il terreno indispensabile per la costruzione, inaugurando con questo una lunga serie di gesti che la videro benefattrice dell’oratorio e non solo.

La facoltà di erezione fu concessa dall’autorità ecclesiastica il 5 ottobre 1718. Il documento, rogato nel palazzo vescovile di Cremona, era indirizzato al Comune e agli abitanti di Commessaggio, stato di Sabbioneta, e ravvisava i motivi giustificanti l’erezione nella miglior comodità e sicurezza degli abitanti; approvava, inoltre, il progetto dell’oratorio e la dote costituita per il suo mantenimento. Naturalmente la facoltà era concessa a patto che tutto avvenisse senza pregiudizio di alcun diritto parrocchiale.

Ma sui diritti parrocchiali vigilava attentamente il parroco Vincenzo Pasotti il quale, non giudicando opportuna per vari motivi l’erezione dell’oratorio, avrebbe fatto di tutto per impedirla, anche quando era già in corso. Di tale ostilità parla un documento indirizzato dal Comune al Vescovo e nel quale “li huomini del detto Comessaggio di Sabioneta”, non solo affermano di voler “col beneficio della stagione perfecionar l’opera incominciata”, ma con argomentazioni chiare e incalzanti confutano le motivazioni del “Parocho che con zelo indiscreto et ingelosito dal proprio interesse tenta divertir tal santa rissolucione”.

L’oratorio fu comunque terminato e il Comune supplicò il Vescovo per ottenerne la benedizione inaugurale.

Per questa il Vescovo incaricò l’arciprete di Bozzolo, Alessandro Baranzoni, vicario foraneo allora competente sulla parrocchia di Commessaggio, il quale già nel 1720 aveva donato al Comune una reliquia probabilmente da destinare all’erigendo oratorio.

Nel giugno 1722 i deputati del Comune significarono al duca Antonio Ferdinando Gonzaga l’opportunità di individuare alcune persone abili a gestire l’oratorio; in risposta il duca incaricò il podestà di Sabbioneta di dar corso a quanto richiesto. Così, la domenica 21 giugno, “li signori et huomini del Comune di Comessaggio di Sabioneta radunati nella sala delli Elefanti del ducal palazzo alla presenza del… dottor Giuseppe Carlo Zambelli… ducal podestà di Sabioneta” scelsero “il signor Giacomo Sartori, il signor caporale Francesco Cessi e Angelo Ghidoni”. Due giorni dopo arrivò l’assenso ducale all’elezione.

I reggenti dovevano gestire il patrimonio (divenuto ragguardevole nel tempo) dei benefici e dei legati che ben presto vennero eretti o trasferiti nell’oratorio.

L’operato dei reggenti è consultabile nel “Libro dei conti” compilato dal 1726 al 1777.

Le entrate erano costituite dagli affitti di case e terreni; per un certo periodo di tempo la gestione era così favorevole da permettere anche la concessione di prestiti ad interesse.

Nelle uscite la prima voce riguardava sempre una “ventura”, cioè la rendita annuale del legato Isabella Bennati, che serviva a procurare la dote ad una nubenda sorteggiata (da qui il termine “ventura”) tra quelle povere. Altre uscite fisse erano per “far cantar la Messa e vespero il dì 10 decembre festa della B. V. M. di Loreto”, per la celebrazione di altre Messe, per la cera (il cui fornitore era solitamente l’ebreo Forti Foà). Naturalmente tante spese riguardavano l’oratorio, gli stabili e i terreni di sua proprietà che richiedevano interventi di ordinaria o straordinaria manutenzione; non ultime le tasse di vario genere.

I reggenti, d’intesa col parroco al quale presentavano i conti pressoché ogni anno, gestirono l’oratorio fino al 1806. Quell’anno, con decreto del Prefetto del Mincio, fu istituita la Fabbriceria della chiesa parrocchiale di Commessaggio alla quale spettava il compito di gestire la costruzione della nuova chiesa parrocchiale. Per ovviare al problema dell’endemica mancanza di fondi, il Sindaco di Commessaggio non trovò di meglio che consigliare al Prefetto del Mincio di autorizzare il prelievo dei beni di pertinenza “della sussidiaria chiesa, vulgo oratorio di M. V. di Loreto”, per di più, a suo dire, mal amministrati dai tre reggenti in carica; “in tal modo – concludeva – si toglierebbero quelle scissure che purtroppo sovente sono insorte tra l’uno e l’altro ramo del popolo”. Il Prefetto, aderendo di buon grado al consiglio del Sindaco, decretò d’accorpare il patrimonio del “chiesolino” con quello della chiesa parrocchiale in costruzione e di affidarne la gestione alla neonata Fabbriceria. Ovviamente la superiore decisione non incontrò il favore dei reggenti. Nell’ottobre 1806 diverse lettere furono indirizzate dai “fabbricieri alla Reggenza cessata dell’oratorio della B. V. di Loreto” con la richiesta di consegnare “cassa, libri e quant’altro era di ragione del sudetto oratorio”. Dopo un certo tempo improntato alla resistenza passiva, i reggenti consegnarono quanto richiesto; così cessò l’indipendenza amministrativa dell’oratorio che – da quel momento – fu definito “chiesa sussidiaria”. Singolare destino, visto che le si dava il titolo di sussidiaria della chiesa parrocchiale ancora in costruzione e della quale stava svolgendo le funzioni dall’anno precedente. E le svolse, tali funzioni, fino al 1813.

Nel corso del XIX secolo l’oratorio fu usato, unitamente alla casa attigua, come lazzaretto durante le periodiche epidemie di colera. Dalla primavera del 2002 a quella del 2009 ha svolto nuovamente le funzioni di chiesa parrocchiale, in attesa che il grande edificio di Luigi Bianzani fosse riaperto al culto dopo i lavori di consolidamento statico e di restauro.

 

ILLUSTRAZIONE DELL’ORATORIO

L’oratorio si presenta con slanciata architettura, in posizione isolata sull’argine destro del Navarolo.

La facciata si sviluppa su due ordini (tuscanico quello inferiore, ionico quello superiore); la corona un timpano triangolare con tre acrotèri.

Sul fianco destro aggetta una delle due cappelle laterali; quella di sinistra è inglobata nella casa del custode. Lesene rilevate e corrispondenti ai pilastri interni, muovono con equilibrio le murature dei fianchi e dell’abside, accentuando la verticalità tipicamente settecentesca.

Un campaniletto “a vela”, prolungamento del pilastro sinistro che raccorda la navata al presbiterio, accoglie tuttora la campana “data per carità” (cioè regalata) da Antonio Ferdinando Gonzaga; il gesto del duca è ricordato dalla scritta fusa nel bronzo.

A navata unica, l’interno è semplice e solenne ad un tempo, scandito dalla regolarità dei pilastri appaiati e dotati di fini capitelli in stucco. Su un elegante cornicione, sagomato in corrispondenza di ogni pilastro, è impostata la volta a tutto sesto.

La cappella maggiore è intitolata alla B. V. di Loreto. Rialzata di due gradini rispetto alla navata, è raccordata con questa dall’arco trionfale e chiusa dall’abside semicircolare. Nel piccolo presbiterio campeggiano – con armonia di proporzioni e grazia di forme – il prezioso altar maggiore e l’ancona in marmi policromi; sono opere, frutto di un disegno unitario, realizzate nel 1772 dallo scultore cremonese Carlo Giudici. Nella nicchia dell’ancona, però, mancava ancora l’immagine della Vergine Lauretana. Nel 1774 i reggenti deliberarono “di compiere l’opra facendo colocare nella detta nichia una statua rapresentante la B. V. di Loreto da farsi di scagliola immitante un marmo di Carara”; affidarono il compito a Stefano Salterio, “raffinato e rapido esecutore di statue in stucco” d’origine comasca, che in quel tempo stava offrendo prova di sé nelle chiese di Breda Cisoni, Vicoboneghisio e Vicobellignano. Questi realizzò nella nicchia marmorea la statua commissionata: tenuto probabilmente a rifarsi al modello ormai stereotipo della statua lauretana, il Salterio ha dovuto sacrificare un poco l’inventiva tipica della sua arte; ma i volti della Vergine e del Bambino sono comunque particolarmente espressivi.

Come tutte le opere di questo artista, peraltro ancora visibili nelle chiese citate in precedenza, anche questa era di colore bianco, appunto perché “immitante un marmo di Carara”. Ma nel 1803 si ordinò all’artigiano Francesco Obbici di Sabbioneta: “La suddetta immagine unitamente alla sua nicchia dovrà essere colorita e dipinta”. Con ogni probabilità, il fatto che la Madonna “nera” per eccellenza, come è quella di Loreto, a Commessaggio fosse bianca, non deve aver lasciato tranquilli i reggenti del tempo che, a nemmeno trent’anni dalla sua realizzazione, la fecero dipingere così com’è tuttora.

Di mano del Salterio deve essere pure la grande testa d’angelo alato, in stucco, che sta sotto l’ancona marmorea.

A sinistra dell’altar maggiore sta la cappella di San Sebastiano. La dedicazione a questo martire si spiega col fatto che egli era il patrono del ducato; per questo, ogni anno, il Comune pagava la spesa “in far cantar Messa e Vespero et altre messe celebrate nel giorno di S. Sabastiano” (20 gennaio).

La pala esposta nella cappella raffigura insieme a Sebastiano anche S. Rocco, naturale compagno nell’iconografia dei santi invocati in tempo di pestilenze. In alto stanno la Madonna e il Bambino, porgenti – ambedue – lo scapolare carmelitano; la devozione alla Vergine del Carmine, molto viva in Sabbioneta, trovava qui un’eco significativa.

Nel bilancio del 1724 il tesoriere del Comune annotava d’aver pagato “al rev.do padre Giacinto Stancari lire ottanta quattro e queste per l’intiero pagamento del quadro di S. Sabastiano”. Nel 1741, poi, l’intagliatore Angelo Maioli realizzò l’ancona.

A destra dell’altar maggiore sta la cappella di S. Caterina vergine e martire. La pala esposta in essa raffigura la santa che, insieme a san Girolamo dottore, contempla Gesù bambino tenuto in braccio da Sant’Antonio di Padova. La scelta dei santi si spiega col fatto che i coniugi Girolamo Cavalli Lanfredi e Caterina Alghisi avevano commissionato la pala ed eretto un beneficio intitolato a S. Antonio proprio all’altare di questa cappella. In basso, a destra, la pala reca la scritta “Girolamo Cavalli Lanfredi fece fare. Marcantonio Ghis[l]ina fece in Casalmaggiore 1722”.

Le citate tele di S. Sebastiano e di S. Caterina sono legate all’origine di questa chiesa, mentre altre due – collocate in navata – sono giunte qui in epoca imprecisata. Quella esposta sulla destra raffigura La Vergine col Bambino, S. Giuseppe, S. Teresa d’Avila?, S. Andrea Avellino? e S. Antonio di Padova?: è opera di distinta fattura, nonostante il precario stato in cui versa e che rende difficile l’identificazione di alcuni santi.

La tela esposta a sinistra, raffigurante la Santa Famiglia con S. Carlo Borromeo, è identificabile in quella descritta da un inventario (1755) della vecchia chiesa parrocchiale.

Nella celebre opera “Origini e vicende di Viadana e suo Distretto” (anno 1895) lo storico Antonio Parazzi dedicò sei righe a questo oratorio (vol. III, pag. 79) definendolo “ampliamento di quello che vi esisteva già, con l’aggiunta di 4 cappelle”. In realtà nessun oratorio era mai stato costruito prima di questo e le cappelle sono 2 e non 4.

Più ampio e documentato, invece, è il testo pubblicato da Gino Assensi nel 2012 (reperibile presso l’autore).

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