Cronaca

Pomponesco piange Anselmo
Gilioli, era stato sul fronte russo

Nel dopoguerra una vita di fatica, prima nei campi e poi nel mondo dell'edilizia. Lavorava sette giorni su sette per badare alla sua famiglia.

POMPONESCO – Non parlava quasi mai della sua esperienza di guerra, se non quando, una volta all’anno, si trovava con gli altri reduci. Troppo il dolore e i ricordi. Aveva visto la morte, affrontato il generale inverno in Russia, sentito sibilare i proiettili della Katiuscia. Si è spento, nella casa di riposo di Viadana, Anselmo Gilioli.

Classe 1922, di Pomponesco, era partito con la II Divisione Alpina Tridentina per il fronte russo giungendo sul fronte del Don. Le divisioni tedesche erano motorizzate, gli italiani furono mandati allo sbaraglio, senza l’idoneo equipaggiamento, stretti poi nella morsa del freddo e della fame, costretti ad una ritirata durissima in cui la maggior parte degli uomini perse la vita. “Tutto quel dolore – ci spiega il figlio – se lo è sempre tenuto dentro”. La lunga ritirata a piedi e con mezzi di fortuna. Ogni tanto qualche particolare usciva da quella storia. Si nutrivano con quello che trovavano, anche i ratti venivano buoni. In ritirata, ormai allo stremo, trovò rifugio in un villaggio in cui fu accolto e rifocillato. Il popolo russo ce l’aveva soprattutto con i tedeschi, gli italiani erano spesso poveri cristi e qualche volta venivano aiutati.

Tornarono in pochi da quel fronte, pelle e ossa “Pesava 35 chili quando arrivò in Italia”. Appena in Italia Anselmo decise di appoggiare la lotta di liberazione. Trasportava armi da Pomponesco in barca a Boretto ma fu catturato e portato a Dobbiaco, in attesa di essere trasferito in un campo di concentramento tedesco, etichettato come prigioniero pericoloso. Anche il padre di Anselmo fu interrogato più volte e torturato.

Aveva raccontato di Dobbiaco, degli interrogatori, degli ordini in tedesco. Dei suoi compagni di prigionia messi con la faccia al muro, delle domande a cui nessuno rispondeva e degli spari. Nessuno vedeva quello che succedeva, ed ogni volta che partiva un colpo cresceva la paura. Non rivelò mai i nomi dei suoi compagni, nonostante gli interrogatori e le torture.

Da Dobbiaco però, fortunatamente, non partì mai per la Germania. Fu il console Chizzini, che lo conosceva, a garantire per lui e a portarlo fuori dall’inferno. Tornò a casa e per tanti anni quella esperienza lo lacerò. Aveva gli incubi e tanti ricordi pesanti da portarsi addosso.

Nel dopoguerra una vita di fatica, prima nei campi e poi nel mondo dell’edilizia. Lavorava sette giorni su sette per badare alla sua famiglia. Una volta all’anno, e sino a che ha potuto, il figlio lo accompagnava nelle commemorazioni dei reduci. Solo allora si apriva un poco, con altri che avevano vissuto la sua stessa esperienza, prima di ricalare nel silenzio.

Anselmo Gilioli si è spento, all’età di 98 anni, nella casa di riposo di Viadana. La moglie si era spenta nel febbraio scorso. Anselmo lascia il figlio Giuliano con Elvina, i nipoti Marco con Annalisa e Sara con Marco, i pronipoti Nicholas, Dario e Andrea. I funerali – a cura dell’impresa funebre Millennium – si svolgeranno domani alle 10 a Pomponesco, dove poi la salma del caro Anselmo riposerà per sempre.

N.C.

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