Zibello, una piccola mimosa al cancello del cimitero per tutte le donne del fiume
Una piccola mimosa, lasciata sul cancello del camposanto, non è altro che una carezza semplice e un Grazie sincero per la loro stessa esistenza: di donne, mogli, madri, sorelle, amiche e lavoratrici
ZIBELLO – ALLE DONNE DEL PO – Durante le mie camminate tra stradine sterrate, argini, pioppeti e spiaggioni, mi capita spesso di allargare l’itinerario e di entrare nei cimiteri dei nostri piccoli borghi accarezzati dal Po. Molti sostengono che siano luoghi tristi; io invece preferisco considerarli come giacimenti di memorie. Le memorie di coloro che ci hanno preceduti, hanno vissuto e fatto crescere queste terra molto prima di noi.
Ci sono entrato anche in occasione della Giornata internazionale della Donna, lasciando una piccola mimosa all’ingresso di ogni camposanto del mio comune. Un modo semplice per ricordare e dire semplicemente “Grazie” alle Donne del Po. Per quello che hanno fatto e hanno custodito, allargando questo pensiero idealmente all’una e all’altra riva del fiume.
Ancora una volta ho osservato le lapidi ed ho passato in rassegna i nomi, quasi a voler portare una carezza a tutte. C’erano Dirce e Marcellina, Clotilde e Cesarina, Tullia e Rina, Esterina e Irma, Adalgisa e Desolina.
Tutti nomi quasi scomparsi, direi passati di moda. Perché i tempi inevitabilmente cambiano, anche nella scelta dei nomi. Non può e non deve però scomparire il ricordo di queste persone. Dietro ogni lapide, spesso lasciate senza un fiore perché anche i parenti sono scomparsi o sono emigrati, sono celate tante storie di vita vissuta. Storie di figli, mogli, madri, fidanzate, sorelle e amiche.
Storie di lavoratrici che hanno spesso conosciuto i tempi della miseria o sono passate attraverso guerre mondiali o epidemie. Donna che non hanno indossato abiti firmati e nemmeno tacchi e minigonne. Donne che il mare, in estate, forse non lo hanno visto nemmeno in cartolina, impegnate nel duro lavoro dei campi, con la schiena perennemente piegata e le mani coperte dai calli, immerse nel sudore durante la raccolta dei pomodori piuttosto che nelle vendemmia.
Senza dimenticare le storiche tabacchine che, tra il Parmense e il Cremonese, seppur per un breve periodo, hanno scritto importanti pagine di storia.
Donne che spesso hanno partorito, tra mille traversie, tra le mura di casa, a lume di candela.
Donne impegnate con ago e filo, magari anche con qualche toppa, per rammendare gli abiti vissuti di figli e mariti.
Donne impegnate ai fornelli, testimoni di quegli antichi saperi grazie ai quali hanno gettato le basi di quei giacimenti gastronomici che oggi vedono la nostra cucina famosa nel mondo.
Donne che talvolta non hanno visto tornare dal fronte figli, fidanzati, padri e mariti.
Donne che hanno spesso vissuto nel silenzio e nel nascondimento, sobbarcandosi pesi, responsabilità e difficoltà non indifferenti.
Non ho potuto non pensare alle mie nonne. Una rimasta vedova a 45 anni (suo marito quando è morto ne aveva 43) con sei figli a carico (il più piccolo aveva 5 mesi, il più grande 15 anni). L’altra, più fortunata avendo avuto un matrimonio durato molto di più, che non si è mai mossa dalla campagna; solo una volta l’anno, mio nonno la accompagnava in paese, per la fiera di luglio, offrendole il gelato. Quello era il loro unico diversivo. Storie, le loro, analoghe a quelle di tante altre donne, vissute in punta di piedi, indossando sempre grembiuli e sottanoni.
Donne che in luna di miele non sono state portate ai tropici ma, magari, sulla canna della bicicletta, dalla campagna hanno raggiunto le città di Parma o Cremona: anche quello, una volta, era un traguardo.
Donne che, con i rispettivi uomini, si sono scambiate le prime effusioni, o hanno fatto per la prima volta l’amore tra i salici o i pioppeti del Po o, perché no, tra le mura di una vecchia stalla o di un vecchio fienile.
Donne impegnate nel mondo della scuola, preziose insegnanti di vita per intere generazioni.
Donne che hanno trascorso gran parte della loro vita nelle corsie degli ospedali, impegnate nella cura del prossimo.
Donne d’impresa, in tanti casi fondatrici di realtà che, nel tempo, hanno dato sostentamento a intere famiglie. Oppure, semplicemente, al fianco dei loro mariti sostenendone gli sforzi, le idee, i progetti e le responsabilità.
Donne che spesso, purtroppo, hanno subito umiliazioni e ingiustizie, soprusi ed anche violenze: restando in silenzio, ai margini.
Donne che hanno costruito, da protagoniste, il presente e il futuro delle nostre terre del Po.
Donne che sono solo passate dall’altra parte, che sono “andate avanti” come direbbero gli Alpini, ma vive e presenti attraverso le opere e gli insegnamenti che hanno lasciato.
Donne del fiume, che mai si sono spostate da queste terre, vivendo e amando intensamente.
Una piccola mimosa, lasciata sul cancello del camposanto, non è altro che una carezza semplice e un Grazie sincero per la loro stessa esistenza: di donne, mogli, madri, sorelle, amiche e lavoratrici.
Paolo Panni – Eremita del Po