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Alice Ferrari e la pesca in apnea, obiettivo mondiale ad Arbatax: il primo aperto alle donne

Insomma, tosta la ragazza, se vogliamo dirla in gergo, viso pulito, corpo esile ma atletico e scolpito e un sorriso che lascia percepire l’amore per il mare e la soddisfazione di riuscire in questo sport

BOZZOLO – Alice Ferrari, chirurgo veterinario, titolare di una clinica all’avanguardia, tra i pochi nella zona ad operare in laparoscopia, vanta già una carriera notevole a soli 30 anni. Ci sono creature che nascono vincenti per intelligenza, intraprendenza, determinazione, volontà di sacrificio, lavoro duro e quella dote speciale che si legge loro negli occhi fin da bambini: qualunque cosa vogliano fare la fanno e la fanno distinguendosi.

E’ per caso che Alice, oltre ad essere una stimata veterinaria, diventa anche una delle poche donne in Italia a praticare uno sport che ha tutte le caratteristiche per essere prevalentemente maschile: la pesca in apnea. Ed è proprio con quella luce negli occhi tipica di chi osa volare e quel fare calmo e fermo al tempo stesso, che racconta come è iniziata questa “folle” passione: “La mia famiglia ha affittato per anni una casetta a Sestri Levante, vicino c’era un negozietto che vendeva attrezzature da sub e mio padre mi comprò la mia prima muta e un fucilino, che ho ancora, e benché fossi una ragazzina, con papà iniziai a vivere il mare non solo in superficie e probabilmente ad innamorarmene. Dopo che papà morì, quattro anni fa, rovistando mi venne tra le mani la sua attrezzatura e decisi di tornare in quei luoghi in cui non andavo da un po’. Fu alla Baia del Silenzio che di colpo, percepii forte e chiaro il mio intenso e intimo rapporto col mare e così tutto ebbe inizio”.

Alice comincia con qualche week end, qualche immersione e si iscrive a Viadana al suo primo corso di apnea. Capisce immediatamente di trovarsi davanti ad un mondo meraviglioso, vasto e ricco di cose da apprendere ma non è certo questo a fermarla. La pratica dell’apnea la conquista immediatamente: partenza all’alba, spesso fuori stagione quando non ci sono i bagnanti, quindi anche quando fa freddo. Dietro a una immersione della durata massima di un minuto e venti circa, c’è una preparazione tecnica importante, rigorosa e faticosa perché un errore può incidere sulla prestazione, ad esempio, dare una pinnata in più può voler dire restare sotto dieci secondi in meno, ma può costare anche molto di più. Quindi palestra ogni giorno, piscina e tanto, tanto training autogeno mirato alla concentrazione e all’autocontrollo.

“E’ prevalentemente un lavoro di testa – spiega Alice – anche la preparazione al tuffo necessita di un momento meditativo: si inizia rilassandosi, aiutati dai colori dell’alba che si sposano col mare, il battito cardiaco si abbassa, la mente è sgombra, e quando il corpo è del tutto disteso, tanto da essere un tutt’uno col mare, si comincia a scendere in verticale 10/12/15 mt, (a volte 20 mt, ma non diciamolo alla mamma), ci si adagia sul fondo e si prova a catturare un pesce, cosa per nulla facile all’inizio. La sensazione che da l’apnea è meravigliosa – prosegue Alice – diventi parte di quell’ambiente, della sua vegetazione, della sua fauna, respiri come i pesci, ti rilassi, senti il tuo corpo in maniera totale, ne cogli le più piccole reazioni, il cuore che rallenta, i polmoni che si stringono, il diaframma che si alza e tutto intorno ti appartiene come tu appartieni a quel mondo sommerso”.

L’inizio non è facile, si fanno tanti errori persino nell’acquisto dell’attrezzatura, ma Alice non molla, studia, si documenta, fa un anno di pratica quasi tutti i week end finché decide di fare uno stage all’Isola d’Elba, sotto la guida del campione record italiano di pesca abissale Gabriele del Bene che diventa il suo maestro. Con lui impara la tecnica, a gestire le attrezzature pesanti pensate per corpi maschili, acquisisce sicurezza e perfeziona la strategia di pesca, cosa non facile potendo restare in acqua poco più di un minuto; il pesce non è sempre ad immediata disposizione, può avvicinarsi, oppure bisogna saperlo scovare in tana.

La pesca in apnea comporta uno sforzo fisico e mentale enorme in quanto si è privi dell’ausilio di attrezzature autonome di respirazione, si scende più volte e questo comporta, oltre che la permanenza in acqua di 4/5 ore, fatica, un continuo richiamo all’autocontrollo e non da ultimo astuzia predatoria. E’ un tipo di pesca selettivo, non aggressivo, compatibile con le esigenze di tutela di alcune specie ittiche, cioè a dire che non si pesca tutto, non si pesca un pesce gravido, piccolo, non commestibile, o di specie protetta, inoltre, se si trovano sul fondale plastica e detriti vengono portati in superficie e smaltiti.

In inverno questa passione porta Alice in mari caldi ed esotici dove la vegetazione e la fauna marina son diverse da quelle patrie, Thailandia, Messico, Zanzibar nelle cui acque ha pescato un tonno di 50 kg. Dopo poco più di un anno di allenamento duro e costante Alice è contesa ed aiutata da alcuni circoli subacquei tra cui quello di Modena e di Mantova che sono però un po’ troppo lontani come sede di allenamento, dato il suo lavoro impegnativo. Nonostante questo conquista il brevetto per partecipare alle gare di pesca agonistica in apnea, arrivano i primi sponsor e il maestro Del Bene la sta preparando per i campionati italiani assoluti che si terranno il giugno prossimo in Puglia con l’obiettivo di qualificarsi per i mondiali di Arbatax, in Sardegna che per la prima volta sono aperti alle donne… Alice farà parte della quota rosa italiana!

Insomma, tosta la ragazza, se vogliamo dirla in gergo, viso pulito, corpo esile ma atletico e scolpito e un sorriso che lascia percepire l’amore per il mare e la soddisfazione di riuscire in questo sport pensato per gli uomini mentre dice: “Ovviamente cucinare il pesce pescato paga lo sforzo e la fatica ma più di tutto paga l’apnea, chi non la pratica non può capire cosa si prova, è un ritorno alle origini, al ventre materno è qualcosa di ancestrale”.

Giovanna Anversa

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