Fase 2? 'Non sarà liberi tutti' Confcommercio e Fipe chiedono il 'take away'
“È un primo passo per un ritorno alla normalità – dichiara Vittorio Principe, presidente provinciale di Confcommercio – Una misura che consente di rispettare le due delle 4D (ma le alte non sono di pertinenza delle imprese) indicate dal governatore Fontana, garantendo la massima sicurezza".
Non è ancora chiaro come sarà la «fase 2». Senza dubbio non sarà un «liberi tutti». In particolare la Lombardia sembrerebbe costretta a partire al rallentatore, ancora gravata da un carico di contagi troppo elevato. Confcommercio e Fipe chiedono che, da subito e al massimo con l’inizio di maggio, si preveda per le imprese della ristorazione, di poter effettuare liberamente il «take away».
“È un primo passo per un ritorno alla normalità – dichiara Vittorio Principe, presidente provinciale di Confcommercio – Una misura che consente di rispettare le due delle 4D (ma le alte non sono di pertinenza delle imprese) indicate dal governatore Fontana, garantendo la massima sicurezza. Ma, allo stesso tempo, sarebbe una opportunità per le imprese. Inoltre consentirebbe alla comunità di avere un servizio, di rendere meno severa questa quarantena senza fine”. “Si tratta – continua il presidente Principe – di una misura adottata in moltissimi Paesi europei, dunque in situazioni di difficoltà comparabili con quelle con cui siamo costretti a convivere”. Confcommercio e Fipe, in particolare, hanno verificato che il servizio di take away è attivo in Francia, Germania, Danimarca, Regno Unito, Irlanda, Lituania, Malta, Svizzera, Turchia, Olanda e Finlandia. “Perché – chiedono i vertici di Palazzo Vidoni – in Italia dovrebbe, al contrario, rimanere proibito?”
“Pensiamo che per le imprese della ristorazione il ritorno alla normalità -afferma il segretario generale Paolo Regina – sarà particolarmente diluito e lungo. Innanzitutto per il rispetto delle norme sulle distanze. Ma poi, anche, perché la gente dovrà ritrovare il coraggio e il desiderio di tornare in un luogo pubblico. Per questo abbiamo chiesto, ad ogni livello, di prevedere questa nuova modalità di erogazione del servizio. Alcune imprese, già in questa fase, si sono organizzate con la consegna a domicilio. Ma si tratta di una operazione particolarmente complicata e costosa. Affiancare il delivery con il take away sarebbe un incentivo ad una ripartenza”. “Non possiamo dimenticare – conferma Regina – che i costi di questo momento sono stati, per il settore, particolarmente gravosi. Basta pensare non solo ai mancati introiti, ad esempio per la Pasqua, ma anche alle spese fisse e al deterioramento o alla scadenza di quegli alimenti che non hanno potuto essere utilizzati”.
“Già nei primi giorni dell’emergenza – richiama Principe – prima che si venisse introdotto il blocco delle aperture, Fipe aveva calcolato un calo della clientela pari all’80%. Ed è ipotizzabile che la volontà di rispettare il «distanziamento sociale» condizioni anche i comportamenti nei prossimi mesi. La nostra sfida, in questo momento, è dare al consumatore ancora più fiducia sul cibo che non ci si prepara a domicilio”.
Sull’urgenza di copiare le buone pratiche adottate nel resto d’Europa per scongiurare la morte della ristorazione italiana è intervenuta, a livello nazionale, la Fipe, Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi. “L’intero comparto – ha scritto il presidente nazionale Lino Enrico Stoppani – rischia infatti di perdere oltre 28 miliardi di euro nel 2020, con circa 50.000 imprese che rischiano di non riaprire, con perdite di posti di lavoro per altre 300.000 persone”. “A differenza di altri settori, che se anche in emergenza operano o che hanno organizzativamente o patrimonialmente posizioni migliori – conclude Stoppani –, i ristoratori hanno bisogno di lavorare per poter sopravvivere. Per questo è indispensabile adottare ogni provvedimento, come la possibilità di effettuare vendite per asporto, per consentire un minimo di liquidità, vista anche la complessità e i ritardi dei provvedimenti attesi per sostenere il comparto”.
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