Cronaca

Miracolo al Samaritan: Maria Pia, 74 anni di Cappella, dimessa dopo 33 giorni tra la vita e la morte: "Non scorderò mai l'applauso dei medici"

Maria Pia che si rialza, fa qualche passo fuori dalla tenda, i medici che fanno ala e applaudono. Il figlio Fabio che, così come quel pomeriggio maledetto di 33 giorni prima, quasi non trova la forza per capire, quasi non trova la strada di casa. Non capita spesso di assistere a una risurrezione. Ma questa storia vi somiglia molto.

CAPPELLA (CASALMAGGIORE) – E’ uscita dall’ospedale dopo 33 giorni di ricovero, la signora Maria Pia Sacchelli. E per chi crede, viene subito da associare quel numero agli anni del Signore: perché in fondo è Quaresima e pensare ad una mano dall’alto non è certo peccato, senza con questo sminuire il grande traguardo centrato in questo caso dalla medicina. Gli stessi medici che l’hanno dimessa, nel primo pomeriggio di giovedì, con una sola frase hanno chiarito come scienza e fede spesso possano anche andare a braccetto: “Noi l’abbiamo aiutata, ma questo è stato un vero miracolo”.

Maria Pia ha 74 anni, vive a Cappella, frazione di Casalmaggiore. Il figlio Fabio ricorda due flash di tutta questa esperienza: “Quando l’ho portata in ospedale, all’Oglio Po, la dottoressa dopo cinque ore di attesa mi ha detto di andare a casa e di pregare tanto. Il suo sguardo diceva tutto. Tornando a casa, non ricordavo quasi la strada. Ho pensato che non l’avrei più rivista”. La seconda fotografia è quella che chiude il cerchio: “Sono andato a prenderla al Samaritan Purse, a Cremona, giovedì alle 15: i medici e gli infermieri, all’uscita dalla tenda, hanno fatto ala e l’hanno applaudita: “Well done” diceva qualcuno. “Ce l’hai fatta Maria” le hanno detto altri. Per mia mamma è come tornare a nuova vita, ma anche per me, che sono il suo unico figlio, è un po’ la stessa cosa: quella telefonata, dove mi diceva di andarla a prendere, è stata una benedizione”.

Maria Pia non è mai stata intubata, ma le sue condizioni erano davvero disperate. “Prima del ricovero ho passato giornate strane: ho avuto un po’ di febbre, bassa a dire il vero, poi non avevo fame, dopo tre giorni la moglie di mio marito, Katiuscia, con l’applicazione del saturimetro sul suo cellulare ha visto che i valori erano sballati e ha dato l’allarme. Io non ragionavo più, dicevo frasi senza senso, il cervello non connetteva – spiega la 74enne -. Abbiamo chiamato l’ambulanza, sono arrivata al pronto soccorso dell’Oglio Po, c’era pure don Claudio Rubagotti, ma questo me lo ha detto mio figlio successivamente, perché io non riuscivo a riconoscerlo, ero semi incosciente. Mi hanno provato l’ossigenazione, era a 28. E di solito si dovrebbe portare a 95-100”. “Era più di là che di qua – sottolinea senza giri di parole Fabio – e i medici lo sapevano: mi hanno chiesto di andare a casa e di tenere le mani giunte. Dopo pochi giorni è uscito anche il verdetto: mia mamma era positiva al Coronavirus, ma francamente non avevamo dubbi”.

I giorni peggiori, Maria Pia, li descrive senza paroloni o termini medici, ma alla sua maniera, immediata, verace. “Mi hanno messo addosso questo gran mascherone e una canna in bocca. Per sei giorni non ho mangiato, bevevo due volte al giorno ma avevo le labbra che si rompevano dall’arsura. E’ stato un inferno: i sei giorni peggiori della mia vita. A letto sono rimasta venti giorni senza muovermi, sempre all’Oglio Po. Dopo i primi sei giorni mi sono un po’ ripresa, ma non potevo certo dirmi guarita. Quando mi davano l’ossigeno stavo meglio, ma niente riusciva a stabilizzare i miei valori: una volta che mi veniva tolto il respiratore, l’ossigenazione scendeva a 84, un valore ancora troppo basso”.

Maria Pia è sempre stata devota alla Madonna della Fontana. “Ho pregato tanto. La mia Madonnina in primis. Poi ho pianto, pensavo di non tornare più a casa. Mi tranquillizzava il fatto di riuscire a parlare con Fabio, ogni tanto, mediante videochiamata. I medici non erano ottimisti, me l’hanno pure detto a un certo punto: quando sono entrata, nessuno avrebbe scommesso un euro su di me. Invece ce l’ho fatta”. La svolta, dopo il lieve miglioramento all’Oglio Po, è giunta con il trasferimento al Samaritan Purse, l’ospedale da campo di Cremona. “Gli americani hanno completato il miracolo – sottolinea Maria Pia -. Senza più maschere o caschi, mi hanno messo una semplice cannuccia in bocca, simile a quella della Coca Cola, e tre volte al giorno per cinque minuti mi hanno dato ossigeno, trovando la gradazione giusta e la quantità perfetta. In tre giorni sono tornata a 97 di ossigenazione e soprattutto restavo stabile, proprio perché l’ossigeno mi veniva somministrato solo per cinque minuti ogni tot ore. Non credevo di migliorare così in fretta: dopo tre giorni a Cremona, mi hanno dimessa”.

Maria Pia che si rialza, fa qualche passo fuori dalla tenda, i medici che fanno ala e applaudono. Il figlio Fabio che, così come quel pomeriggio maledetto di 33 giorni prima, quasi non trova la forza per capire, quasi non trova la strada di casa. Non capita spesso di assistere a una risurrezione. Ma questa storia vi somiglia molto: da 28 di ossigenazione, “più di là che di qua”, a 97, “well done Maria”. Il calvario della 74enne, con lieto fine e senza arrivare al Golgota, è un assist alla speranza. In tempo di Quaresima ai miracoli, anche per chi non ha fede, è giusto credere.

Giovanni Gardani

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