Barbara Filipazzi, arredatrice. La storia di una 50enne con l'entusiasmo da fanciulla
Sembra una bambina, per quanto entusiasmo manifesta Barbara. Anche col suo carico di ricordi e di esperienze. Perché poi, in fondo, l'età non conta quando ci metti l'anima in tutto quello che fai
CASALMAGGIORE – L’entusiasmo nel raccontarsi e nel raccontare è quello – emotivo – di una ragazzina anche se Barbara Filipazzi di anni ne ha 53. E’ che a volte poi poco importa perché l’anima segue un tempo diverso da quello scandito dalle stagioni. Barbara è la seconda dei due figli di Giuseppina Finardi, sorella del più grande Umberto Stefano. Suo papà, casaro, è un esperto di grana padano, lavora per l’Iris Latte. La mamma invece è casalinga.
Gli anni dell’adolescenza per Barbara sono anni spensierati e tranquilli. La mamma era stata presa sotto l’ala protettrice di Ferrari di Gussola (quello della splendida villa utilizzata oggi per i matrimoni), un facoltoso proprietario terriero, ed era cresciuta nell’atmosfera aristocratica di quella costruzione in cui sovente c’erano feste e balli. A crescerla è Giovanna Campari, impara tutte le regole di quella ‘nobile’ vita. “Era una vita agiata – spiega Barbara – fatta di feste, di cultura, di mondanità ma anche di protocolli rigidi da rispettare. Mia mamma era cresciuta in quella atmosfera e quella aveva trasmesso ai figli”.
Barbara – dicevamo – cresce piuttosto spensierata. Il fratello, più grande di lei, diventa arredatore (ed è un artista piuttosto conosciuto), lei è la ribelle di famiglia “Sin da bambina – ricorda – facevo quello che mi andava di fare, seguivo mia mamma ma mi dedicavo poi alla mia passione più grande, che era quella di disegnare abiti. Era quello il mio sogno di bambina, diventare una stilista”.
Nell’infanzia sono molte le passioni che riesce a coltivare. Dalla danza con Nilla Barbieri (7 anni) al pianoforte che studia con la maestra Carla Azzoni a Vicoboneghisio, dalla scuola di acquerello di Gussola al tennis con l’indimenticato maestro Verzini. E’ una ragazza molto bella, una giovanissima ragazza con tanti sogni. Avrebbe voluto proseguire la danza, quando le fu data l’opportunità di provare ad andare a Milano, ma i suoi genitori non vollero. E’ una ragazza bellissima e viene scelta da Angelo Roberto Tizzi, fotografo affermato, come modella e musa ispiratrice.
Giunta all’età della scelta delle superiori, Barbara sceglie l’IPIALL a Cremona. Istituto d’arte che aveva sede dove adesso sorge il museo del violino: “Avrei voluto andare a Milano in una scuola di moda – aggiunge Barbara – ma i miei, come per la danza, non mi lasciarono andare. Allora scelsi quello che mi sembrava più vicino a quello che mi piaceva. All’IPIALL si imparava liuteria e arredamento, ed era una scuola, quella legata alla liuteria, in cui arrivavano ragazzi da tutto il mondo. Mi piaceva quell’atmosfera”.
Barbara Filipazzi paga lo scotto di ritrovarsi in un ambiente nuovo che l’affascina e di un salto importante. Ma si adegua, sulle ali dell’entusiasmo, alla nuova esperienza che l’arricchisce anche dal lato umano. Gli anni di scuola saranno all’insegna dello studio e della conoscenza.
A 18 anni, nell’ultimo anno di scuola, l’esperienza della malattia. Non una malattia qualunque, ma un linfoma, quello di Hodgkin. Inizia per lei un percorso fatto di chemioterapia pesante (non c’erano agli inizi degli anni 80 le tecniche di adesso). Una malattia affrontata e vissuta con tutta la forza e l’energia che ha. “Il ricovero al Rasori a Parma con gli anziani, un mese poi all’ospedale di Modena ed il definitivo trasferimento al centro tumori dove operava il professor Veronesi a Milano. Anche lì in ospedale continuo a vedere le cose con ottimismo. Poi l’inizio della chemio. E’ stato un periodo durissimo in cui mi hanno asportato anche la milza. Ricordo che dopo la chemio restavo chiusa in casa perché stavo malissimo. Ma il quarto giorno mantenevo la promessa che avevo fatto a me stessa quando ho iniziato la chemio. Quella che in qualunque condizione sarei andata a ballare. E così è stato: chemio, tre giorni in casa e il quarto a ballare. Ne feci 6 più 6 di chemio, e dopo la visita il tumore era scomparso. Intanto in quello stesso anno ho finito la scuola”.
Per la giovane Barbara inizia il periodo di lavoro. La prima esperienza a Parma, un anno di praticantato gratuito, ad occuparsi di mansioni varie. Il lavoro le piaceva ma, come spesso capita, dopo un anno non fu riconfermata. La seconda esperienza lavorativa è sempre a Parma, a San Pancrazio, come arredatrice di negozi. Un altro anno, poi il lavoro cala e si cambia ancora. Torna a Casalmaggiore dove lavora nello studio del geometra Pirotti. Un anno di lavoro “Dove usavo poco la creatività, per cui mi stancai presto”. Poi ancora dall’architetto Daolio che a quel tempo lavorava parecchio. Tanta esperienza, e nessun rimpianto “Perché tutto alla fine serve. Certo, più mi piacciono le cose, più entusiasmo ci metto, ma quello è naturale, credo”.
Nel frattempo Barbara segue la mamma. Giuseppina. Quella mamma che, in tarda età, aveva deciso di iscriversi ad una scuola di pittura. La ‘Pina’ per Gussola. Una donna d’altri tempi, amante della cultura e dell’arte (“Una cosa che ho appreso da lei”), delle composizioni floreali imparate a villa Ferrari (“La seguivo da bambina e mi affascinava, perché sapeva fare cose meravigliose”) e della cucina. Sono in tanti a Gussola ad aver goduto delle sue torte, di cui non svelava mai le ricette. “Non le diceva neppure a me, era molto gelosa. Però regalava torte a tutti”. Quella di Pina è sempre stata una casa aperta “Abbiamo aiutato tanta gente, non solo italiana perché mia mamma era così. Sono sempre stata aperta a nuove esperienze”. La mamma si è poi ammalata ed è spirata, mentre il papà si era spento anni prima. Li ha seguiti entrambi, e sino alla fine. Oltre al lavoro, oltre alla famiglia (un marito ed un figlio),
L’esperienza lavorativa intanto continua: 4 anni alla Mobilarte di Sospiro, a fare la vera e propria arredatrice. “Furono anni bellissimi perché facevo finalmente solo quello per cui avevo studiato. Erano gli anni del tecnigrafo e poi dei computer, ma io continuavo a disegnare a mano perché la trovavo una maniera più ‘calda’ per essere vicina al cliente. Trovavo triste dover disegnare con una macchina. I clienti apprezzavano, e così continuai. Mi chiamò allora l’IMCA di Sabbioneta ed accettai il trasferimento, in fondo mi avvicinavo a casa”. Fu un altro anno di lavoro sino all’ultimo, quella che poi l’ha vista protagonista per 23 anni, al mobilificio Campanini di Casalmaggiore, sino alla sua chiusura. Da un anno Barbara è in cerca di lavoro “Ho ancora un anno di mobilità ma nel frattempo vorrei lavorare ancora”. Barbara è un’ottima venditrice, oltre che arredatrice.
Cerca lavoro Barbara. Cerca ancora di vivere un qualche sogno nascosto: “Mi piacerebbe viaggiare all’estero, vedere, confrontarmi con altri stili di vita. Ho ancora voglia di conoscere e di andare. Seguo ancora quando posso la danza e le mostre d’arte. E mi piacerebbe trovare lavoro”. E’ convinta di poter dare ancora tanto (abbiamo visto le sue composizioni floreali e incontrato il suo entusiasmo e non ne abbiamo dubbi) e qualcuno in giro che cerca un’arredatrice di gran gusto e leggerezza ancora c’è.
Sembra una bambina, per quanto entusiasmo manifesta Barbara. Anche col suo carico di ricordi e di esperienze. Perché poi, in fondo, l’età non conta quando ci metti l’anima in tutto quello che fai.
Nazzareno Condina