Prescrizione, falso
problema: la riforma
ignora lo stato di diritto
Egregio Direttore,
in merito alla riforma della prescrizione penale, prevista nel disegno di legge “anticorruzione” stiamo assistendo ad una rappresentazione da teatro dall’assurdo di una parte del governo che ha suscitato, a ragione, la dura reazione dell’intero mondo dell’avvocatura e la cittadinanza fatica a comprendere la vera portata della novella.
In particolare, la proposta del Ministro della Giustizia prevede l’abolizione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado ed il ritorno alla disciplina precedente al 2005 quanto agli effetti della prescrizione sul reato continuato. Quindi, per la stabilità del governo si è raggiunto l’accordo per il quale la novella sulla prescrizione verrà approvata subito nel DDL anticorruzione ma entrerà in vigore solo nel 2020, probabilmente dopo l’approvazione della riforma del processo penale la cui legge delega scadrà nel dicembre 2019.
Per di più, per giustificare tale riforma, il guardasigilli, avvocato, si è abbandonato ad epiteti di dubbia classe rivolta alla categoria forense. Il Collega ministro, infatti, per mero populismo e sensibilità strumentale ha indebitamente offuscato l’immagine degli avvocati per colpe dello Stato stesso e del Ministero che regge.
In verità, il principale problema della giustizia penale non è l’istituto della prescrizione e la sua riforma non appare la priorità per i cittadini; i processi Italia non durano tanto perché c’è la prescrizione né questa matura perché gli avvocati hanno tecniche dilatorie bensì per problematiche organizzative legate all’eccessiva mole di lavoro nonché alla carenza di organico del personale amministrativo. Ecco dove stanno le criticità.
Infatti, e sono dati oggettivi, sopraggiunge la prescrizione dei reati in circa il 9% dei procedimenti penali ed il 60% della prescrizione dei reati matura nelle indagini preliminari, quindi prima della sentenza di primo grado (casi sui quali la riforma non inciderebbe). Gli effetti della riforma saranno quelli di allungare ulteriormente, potenzialmente in eterno, il tempo di processi già troppo spesso irragionevole.
L’istituto della prescrizione, che non presenta alcuna oggettiva emergenza, è diventato uno strumentale tema politico, ma che necessiterebbe di una valutazione soprattutto sull’impatto giuridico della riforma. La prescrizione non è un espediente o una via di fuga dei colpevoli, è un caposaldo del diritto penale liberale, una garanzia in favore dell’indagato e dell’imputato (per la presunzione di innocenza) nei confronti del potere punitivo dello Stato e del suo possibile abuso.
È un istituto neutro, garantisce il rispetto del diritto fondamentale della persona di non restare a tempo indeterminato (sia come imputato, assolto o condannato in primo e secondo grado, sia come persona offesa dal reato), in balia del sistema giudiziario. Dopo un lasso di tempo eccessivo, infatti, viene meno la pretesa punitiva dello Stato essendo cessato l’allarme sociale provocato dal reato e perché la pena colpirebbe una persona diversa da quella che ha commesso il fatto.
Pertanto, tale riforma che significa ignorare, scientemente, lo stato di diritto, appare devastante, contraria ai principi costituzionali ed alle norme sovranazionali che garantiscono la ragionevole durata del processo e la presunzione di non colpevolezza. Un cittadino non può rimanere sospeso per anni nel limbo di un processo in corso, con tutte le conseguenze pregiudizievoli che ne derivano e paradossalmente, potrebbe essere proprio chi ha davanti una prospettiva di condanna a non preoccuparsi.
Così come resterebbero insoddisfatte le esigenze della vittima o della persona danneggiata dal reato. La priorità deve essere un processo giusto in tempi ragionevoli perché il processo non deve divenire esso stesso una pena ma soprattutto ogni riforma sul tema non deve essere una riproposizione di una visione giustizialista del procedimento penale incentrata sull’inasprimento delle pene e realizzata con l’abbattimento delle garanzie.