Treni, cresce la rabbia e il malumore: "Siamo ben oltre il tollerabile"
"Penso che non sia rispettoso di nessuna regola costringere delle persone a viaggiare in quelle condizioni. Penso che Trenord dovrebbe rimborsare i viaggiatori e far dimettere i responsabili"
CASALMAGGIORE – Gente stipata all’inverosimile, anche nei bagni e tra un sedile e l’altro. Viaggiatori come bestie, con la differenza che sui carri bestiame c’è un limite fissato per legge, e sui treni la regola non vale.
Si sale, ci si indigna e nell’era della tecnologia, si scattano immagini che fissano a perenne memoria l’inadeguatezza di un servizio che fa acqua da tutte le parti. Tutta la politica passata dal casalasco negli ultimi mesi – da quando il ponte Po é stato chiuso al traffico – ha lasciato fumose promesse o scaricato la responsabilità su altri. Per la Regione la colpa è dello Stato, che non ha mai fatto investimenti sulla linea. Investimenti che però da altre parti ci sono, e non li fa lo Stato. Per lo Stato il Casalasco e più in generale tutto il territorio che va dal bresciano al Parmense non è che un punto su una cartina, un area (per quel che concerne i trasporti) depressa senza essere riconosciuta come tale. Terra di desaparecidos, che diventa importante solo alla vigilia di elezioni. Per Trenord la responsabilità è di RFI che dovrebbe potenziare la linea, nonostante un contratto che la lega indissolubilmente alle proprie responsabilità. Per RFI non si sa di chi è la colpa, ma sarà probabilmente di qualcun altro. Una terribile partita a palla avvelenata in cui la palla va costantemente rigettata in campo avverso. In cui a pagare, alla fine, è solo una categoria: quella dei viaggiatori. Che sono studenti e pendolari del lavoro. Che hanno famiglie e storie da raccontare, che hanno disagi ed urgenze a cui nessuno, al momento, può o vuole dare risposte.
Nessuno se ne prende le responsabilità. “E’ diventato impossibile andare avanti così” ci racconta Paolo Conti, che a Casalmaggiore gestisce in bar. Il problema è della moglie, che lavora a Colorno. Costretta ad andare in macchina o a spostarsi in treno. La scelta è tra la padella e la brace. “Dalla chiusura del ponte è cambiato tutto, lei lì a Colorno ed io con l’attività, non abbiamo più orari definiti. E il problema ricade soprattutto sui bambini. Io ho la fortuna di avere un suocero che ci dà una mano, ma penso a tutti quelli che non hanno nessuno”. Già, una storia come tante in queste disgraziate lande. “Ho lasciato a casa quattro operatori – racconta Elena Visioli – da quando il ponte è chiuso”. Lei gestisce un centro di educazione cinofila. Anche questo è un segno della crisi profonda. Un’altra storia come tante altre. Potremmo andare avanti a raccontarne per giorni.
Tornando alla ferrovia è bastata la chiusura di un ponte per rendere ancor più seria una situazione di degrado – quella della linea Brescia Parma – che ha radici ben più profonde di quel maledetto 7 settembre 2017. Ha radici in una linea che non viene più (o forse non lo è mai stata) considerata strategica. Non lo era prima, non lo è adesso, nonostante i problemi, nonostante passeranno almeno due anni prima di rivedere un ponte aperto, nonostante l’isolamento in cui tutta l’area del casalasco sta precipitando. “Potevate occuparvene anche prima” è l’accusa ai media che qualcuno – pochi invero, ma ci sono, inutile negare – muove. E’ vero, ci si poteva occupare anche prima con più vigore della questione. I media hanno, in passato, puntato più gli occhi sul degrado senza capire – e senza scrivere forse – che quello era solo un segno dell’agonia di una vecchia linea in ferro sulla quale il tempo ha portato solo ruggine e nuvole, nella quale nessuno ha voluto investire in attesa di progetti faraonici (TiBre) o in quella di un pensionamento forzoso ottenuto per indifferenza. Ma la stampa – c’è pure questo da dire – non è la miracolosa madonna di Lourdes, non smuove montagne così come non le smuove neppure la politica che protesta e che s’indigna.
Due mesi di indignazione, i problemi sono rimasti pressoché gli stessi. A crescere è stato soltanto il nervosismo e quella sensazione del limbo in cui si attende ancora che qualcosa possa cambiare. “Prendo il treno tutte le mattine – ci racconta una quindicenne studentessa – ed adesso è diventato ancora più difficile. Era già difficile prima, adesso dobbiamo spingerci per salire sul treno. Seduti? Se sali a Casalmaggiore puoi dimenticarlo adesso. C’è un po’ meno gente quando torno a casa, se riesco a tornare a casa presto”. Quello degli orari è un altro problema che va avanti da tempo. Quando i treni (capita, più spesso di quanto umanamente sopportabile) non vengono soppressi lasciando a piedi decine, se non centinaia di persone a cui non resta che attendere il successivo o spostarsi chiamando in causa qualcuno che le possa portare a casa.
Lo stesso sindaco di Casalmaggiore Filippo Bongiovanni, nell’ultimo consiglio comunale che si è tenuto in auditorium ha onestamente ammesso che la linea ferroviaria è inaffidabile. Inaffidabile è il termine esatto: ci si affida a qualcosa di certo, non al destino, non alla pena. Soprattutto quando hai impegni improrogabili, famiglie da accudire, una vita a cui dover far fronte. “Se devo fare sacrifici io va bene, ma non devono essere i bambini a pagare” ci diceva qualche giorno fa Laura Accomando, che sin dall’inizio sta cercando di lottare per un futuro migliore. Non tanto per lei, e non solo per lei che comunque sacrifici ne fa, quanto per i suoi tre figli, che si trovano loro malgrado a subire le responsabilità dei grandi.
E non è la sola. Mamme, papà costretti, quando va bene, ad affidarsi ai nonni. Bambini che – da un giorno all’altro – si sono trovati in balia degli eventi. La quotidianità che va – ci si perdoni il francesismo – a ‘puttane’. Sembra un problema da poco, ma non lo è affatto. “Io sono sempre per il rispetto delle regole – scrive Pierluigi Pasotto sul suo profilo facebook – ma adesso penso che non sia rispettoso di nessuna regola costringere delle persone a viaggiare in quelle condizioni. Penso che Trenord dovrebbe rimborsare i viaggiatori e far dimettere i responsabili tecnici e politici di questa scandalosa situazione. Siamo oltre il tollerabile”. Di situazione indecente aveva parlato qualche giorno fa – agli antipodi della politica di chi ha parlato prima, essendo vicino a Forza Italia – Orlando Ferroni. Perché poi, quando la testa osserva con obiettività la situazione non può che convergere su un’unica triste consapevolezza: il servizio fa acqua, da tutte le parti. “Se questo è un paese civile – scrive un’altra utente di facebook – oltre il danno di avere un servizio pessimo, la beffa di non saper esattamente chi prendere per le orecchie e a calci in culo”. Al di là della violenza verbale il sintomo di un nervosismo via via crescente.
Il sintomo di un disagio che merita tutte quelle risposte che – al momento – nessuno ha saputo, o voluto dare.
Nazzareno Condina