Dario Ricci ricorda i campioni migranti e quelli che hanno vinto per chi ha lasciato l'Italia
Organizzata in Fondazione Sanguanini e aperta dal vicesindaco Mariella Gorla, la serata era collegata alla mostra “Solo Bagaglio A Mano” allestita presso Palazzo del Bue, sempre a Rivarolo Mantovano. “I campioni dello sport non sono estranei al loro tempo” ha spiegato Ricci.
RIVAROLO MANTOVANO – Ci sono migranti le cui storie restano sconosciute ai più. E ci sono migranti che diventano grandi all’estero, tenendo però alta la bandiera del paese d’origine. Il giornalista del Sole 24 Ore Dario Ricci, vincitore nel 2015 dell’Oscar al giornalismo sportivo, è tornato a Rivarolo Mantovano, dove ormai è di casa.
Così come hanno fatto i campioni dello sport che, partiti dall’Italia, si sono ambientati talmente bene all’estero, dopo avere cambiato vita, da essere reclamati poi dal Belpaese. Ma in qualche caso la vittoria in trasferta è stata anche motivo di vanto, in particolare, per i tifosi italiani migrati all’estero a cercare miglior sorte e miglior vita. Il libro di Ricci, scritto a quattro mani con Carlo Santi, “Oro Azzurro”, racconta in realtà tutte le medaglie più pesanti vinte dagli azzurri alle Olimpiadi: ma tra queste tante narrano storie di emigrazione, in via diretta o indiretta.
Organizzata in Fondazione Sanguanini e aperta dal vicesindaco Mariella Gorla, la serata era collegata alla mostra “Solo Bagaglio A Mano” allestita presso Palazzo del Bue, sempre a Rivarolo Mantovano. “I campioni dello sport non sono estranei al loro tempo” ha spiegato Ricci, citando l’esempio del ciclista Mario Ghella, che nel 1948 vinse le Olimpiadi di Londra, con gomme prestate da un venezuelano e poi si trasferì per una scelta di vita, e un volere del destino, proprio a Caracas a lavorare. E ancora la storia di Ercole Baldini, oro sempre nel ciclismo stavolta a Melbourne nel 1956, ma soprattutto degli emigrati italiani in Australia che, quando l’inno italiano non venne suonato in occasione di quel successo, lo cantarono commossi rimediando all’errore tecnico. Per gli emigranti italiani una vittoria di un azzurro sul suolo che li ospitava era davvero un’emozione particolare, quasi una forma di riscatto: si pensi che in America, i migranti dopo la quarantena veniva indirizzati dalle autorità, senza possibilità di libero arbitrio e quasi sempre verso lavori umili.
Passando ai giorni nostri, Ricci ha ricordato il judoka Ezio Gamba, bresciano, che nel 1980 a Mosca, nell’Olimpiade boicottata per l’invasione dell’Afghanistan dai gruppi militari, decide di congedarsi dai carabinieri e vinse poi l’oro. Oggi proprio Gamba è ct della Nazionale russa di judo. Una lezione che questi pochi esempi – e tanti altri sono stati snocciolati da Ricci nel corso della serata – hanno contributo a portare a chiunque creda che lo sport, con le sue favole, non sia altro che un paradigma della vita.
Giovanni Gardani