Cultura

Dal campo profughi alla Biennale passando per Bozzolo: la favola di Petrit

Un percorso nel segno, lui musulmano convinto, anche di Don Primo Mazzolari, scoperto col libro “Tu non uccidere”. Che parla di guerra, una guerra diversa da quella vissuta da Petrit ma parimenti lacerante. In un messaggio che ricompone religioni che oggi paiono lontanissime.

BOZZOLO – E’ una storia di riscatto, quella di Petrit Halilaj, di integrazione e di sogni inseguiti e realizzati. Tra Bozzolo, in pieno comprensorio Oglio Po, Pristina, capitale del suo Kosovo, e Berlino, capitale dell’arte contemporanea. L’ha raccontata, sulla Voce di New York, Stefano Albertini, che proprio nella Grande Mela opera e che di Bozzolo è originario.

Una storia anche di sofferenza, all’inizio, ma soprattutto di tenacia. Petrit Halilaj, che oggi di anni ne ha 30, arrivò infatti a Bozzolo a fine anni ’90: anni di guerra in Kosovo, e quel che è peggio di pulizia etnica verso le minoranze. Uno psicologo bozzolese, Giacomo Poli, parte per i Balcani inserito nella missione Arcobaleno e nel campo profughi di Kukes in Albania viene sorpreso dai disegni di Petrit, che raccontano il suo mondo, fatto di sofferenza, ma anche i suoi desideri. Quando Poli torna a casa ha il merito di non dimenticarsi di quel ragazzino, di fare conoscere a Cremona, che gli dedica una mostra e poi a tutto il mondo, le abilità artistiche di Petrit. E proprio il comune della città del Torrazzo a pagare al giovanissimo una borsa di studio per l’unico liceo artistico attivo in Kosovo. E così Petrit diviene, senza accorgersene, una celebrità, tanto che pure Kofi Annan, segretario generale dell’Onu, in visita al campo profughi, lo vuole conoscere.

L’Italia, però, è evidentemente nel destino di Petrit Halilaj, e non solo per la sua vicinanza geografica. Il ragazzo conclude il suo percorso di studi in patria ed entra all’Accademia di Brera, a Milano. Uno con le sue capacità non poteva essere ignorato. Tra Bozzolo, dove viene accolto dal sindaco dell’epoca Giorgio Mussini e naturalmente dalla famiglia di Giacomo Poli, e Rivarolo Mantovano si trova a casa: la tranquillità della campagna gli regala la serenità, la prima visita nel capoluogo meneghino gli fanno respirare l’aria della metropoli. Petrit non scorda, e non mette tra parentesi, né la prima né la seconda lezione, trovandosi a casa sia nelle personali organizzate nei piccoli paesi del comprensorio, sia nelle mostre che col tempo allestirà anche a Berlino, Parigi e Los Angeles.

Dopo Milano, con la laurea a Brera, il terzo capitolo della storia del giovane enfant prodige partito da un campo profughi passa da Berlino, capitale dell’arte contemporanea europea e pure mondiale. E qui Petrit si afferma fino all’ultimo premio, una installazione alla Biennale di Venezia che merita la menzione speciale della giuria: gli animali, in questo caso grandi falene, lo hanno sempre affascinato. Le falene, in particolare, raccontano la sua storia, che a Bozzolo è sempre molto legata. Qui infatti Petrit continua a lavorare con il fabbro Ernesto Sanguanini, un vero e proprio maestro, e con il vetraio Andrea Ferrari e con il giovane architetto Pietro Minelli. Nel segno, lui musulmano convinto, anche di Don Primo Mazzolari, scoperto col libro “Tu non uccidere”. Che parla di guerra, una guerra diversa da quella vissuta da Petrit ma parimenti lacerante. In un messaggio che ricompone religioni che oggi paiono lontanissime. Un messaggio che va oltre l’arte, anche quella del più alto valore internazionale, come riconosciuto dalla Biennale di Venezia.

G.G. 

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