Il casalese Bruno Arcuri in moto verso la fine del mondo: "Patagonia, terra unica"
“Il particolare che più mi ha toccato dentro è stato il vento. Anzi, dirò che in Patagonia la regina è la natura e il vento è il suo re. Mi sono sentito un granello di sabbia in mezzo all’immenso, davvero. Ho provato commozione davanti al Perito Moreno".
CASALMAGGIORE – Per ciascuno di noi esiste un richiamo. Più che altro serve saperlo ascoltare. E Bruno Arcuri quell’eco lo ha avvertito diverse volte. Una vita vissuta come su un tavolo da ping pong, avanti e indietro tra Italia e il paese d’origine. “Sono nato in Argentina, a Nord – racconta Bruno – ma mio padre era un calabrese migrato a 18 anni proprio in Sudamerica. Io ho completato la rotta inversa, in pratica, spostandomi in Brianza nel 1982 per lavoro, portandomi dietro la famiglia, e poi a Casalmaggiore, dove vivo da 15 anni”.
Non una rotta fuori dall’ordinario, tenendo conto che un’ampia percentuale dei cognomi del paese sudamericano tradiscono origini della nostra penisola. Stra-ordinaria, casomai, è stata l’avventura che Bruno, a 55 anni compiuti, ha deciso di vivere dal 21 dicembre allo scorso 7 gennaio. Perché il richiamo è arrivato. “Quando a inizio anni ’80 ho lasciato l’Argentina i quattrini erano pochi e soprattutto la dittatura dei militari di Videla non consentiva grandi libertà. Sì, conoscevo il mio paese, ma non lo avevo mai esplorato a fondo. Ora qualche euro l’ho messo da parte e così ho realizzato il mio sogno: tornare a casa, a bordo della mia moto Honda XR650, per esplorare la sconfinata Patagonia. Ho coperto 4174 chilometri nel mio viaggio, l’ho fatto per conoscere una zona dell’Argentina, nel profondo Sud, dove non ero mai stato, a 4mila chilometri (l’Argentina è grande nove volte l’Italia, ndr) da dove sono nato”.
Dieci paia di mutande, un paio di zaini, qualche maglietta, qualcosa di pesante perché in alcune parti del mondo col termometro non si scherza. “Sono partito da Puerto Montt con 24 gradi e sono arrivato a Ushuaia, la fine del mondo, con 3 gradi. Gli ultimi cento chilometri, poi, li ho affrontato con la pioggia battente e sferzante, ma è stato bellissimo comunque, perché pur nella solitudine, non mi sono mai sentito solo: ricordo Passo Garibaldi, gli ultimi metri, quando ho pensato al viaggio, a ritroso. E’ stato come ripercorrerlo di nuovo, anche se solo mentalmente”.
Una moto, oltre 4mila chilometri e tanto calore umano. “Ho fatto altri viaggio simili a questo, in Bolivia, in Marocco, e non solo: ma questo ti resta nel cuore. Un po’ perché sono argentino, ma credo anche perché ho realizzato uno dei progetti che da più tempo stavo studiando. E’ sempre stato un problema spedire la moto, come potete immaginare, ma quest’anno finalmente ho trovato il passaggio, e il container, giusto. Mi sono comunque dovuto preparare otto mesi prima, per studiare il percorso, per mettere tutto in conto. Certo, poi, un’avventura vive soprattutto di improvvisazione, ma quando percorri tappe da 200-250 km senza incontrare nessuno, non è una passeggiata. Ho prenotato qualche pernottamento qua e là, magari nelle cittadine un po’ più grandi, poi per il resto mi sono lasciato accogliere da quel mondo. E ho avuto l’impressione che la gente avesse grande rispetto di me e, in generale, di chi intraprende un viaggio del genere, che in fondo è anche un percorso dentro se stessi. Qualcuno mi chiedeva cosa stessi facendo e, quando hanno saputo del mio tentativo, tutti mi hanno fatto coraggio e si sono offerti di darmi una mano. Nessuno si è tirato indietro”.
Quando parla di Natale e Capodanno, Bruno ricorda due tavolate festanti. Ma le chiama, col suo accento che tradisce chiaramente le origini linguistiche spagnoleggianti, “tavolozze”: forse è un problema di traduzione, di certo rende bene l’idea di quanto possa essere pittoresca l’improvvisazione. “Il 25 dicembre, a El Chalten, dopo essere partito da Puerto Montt il giorno prima di un grande terremoto, mi sono ritrovato in mezzo a una cena organizzata con 25 persone. A Capodanno, invece, ero inizialmente solo, a Calafate e al Perito Moreno, il più bel ghiacciaio del mondo, ma essendo zona turistica mi sono presto unito a ragazzi belgi, francesi e israeliani. Che lingua abbiamo parlato? Non lo so, ma c’era una regola: ognuno portava qualcosa, io ho messo il panettone e la serata si è animata subito. E’ stata molto italiana, come cosa, se ci pensate”.
I momenti difficili, naturalmente, non sono mancati. “Sì, ma non li ho subiti. In particolare nei passi tra Cile e Argentina, dove devi guidare per lunghi tratti di fuoristrada, e dove magari ti può attraversare il sentiero uno struzzo, un armadillo, un lama, beh, non è facile. Ma quando ti rendi conto, come mi è successo, di essere un nulla, un briciolo, rispetto alla grandiosità della natura, capisci che i problemi sono altri e tutto è risolvibile. Anche le forature, ad esempio: mi fosse successo in un’altra situazione, avrei maledetto chissà chi. Invece ho capito che le soluzioni si trovano, spesso in modo più rapido di quanto non si pensi. Ero al Passo Carrillo e sono rimasto senza benzina. Ho trovato due carabinieri del posto, hanno chiesto di cosa avessi bisogno e subito si sono offerti di portarmi con la loro jeep a riempire una tanica. Hanno capito il momento: ecco, questo episodio è l’emblema della solidarietà che ho trovato lungo tutto il percorso. C’erano famiglie che mi offrivano da mangiare, e questo accade spesso se sei da solo e magari non in gruppo, perché la gente ti osserva, ti rispetta, vuole partecipare alla tua impresa. Sono arrivato in un paesino che era la metà di Agoiolo per chiedere aiuto, sempre per la benzina: la prima famiglia non poteva fare molto, ma si è attivata per cercare qualcuno che potesse darmi una mano. E’ stata una catena umana di solidarietà che mi ha molto colpito”.
Ma non è l’unico grande ricordo. “Il particolare che più mi ha toccato dentro è stato il vento. Anzi, dirò che in Patagonia la regina è la natura e il vento è il suo re. Mi sono sentito un granello di sabbia in mezzo all’immenso, davvero. Ho provato commozione davanti al Perito Moreno, che è letteralmente choccante, nel senso migliore del termine, per chi lo osserva per la prima volta. E ho percepito la nostra stupidità quando ce la prendiamo per quisquilie. No, non è stata solo una vacanza. Me ne sono accorto quando, stando così a lungo solo con me stesso, ogni volta che si presentava un contrattempo, anziché prendermela, sorridevo. E mi è capitato spesso”.
Alla fine del mondo tutto è possibile.
LE TAPPE DEL VIAGGIO
Puerto Montt
Parco Nazionale Nahuel Huapi con i Sette Laghi
Ruta Nacional 40
Futaleufù
Coyhaique
Ruta Nacional 7 (detta anche Ruta australe)
Passo Roballos (confine Cile-Argentina)
El Chalten
Perito Moreno
El Calafate
Passo Carrillo
Puerto Natales
Passo di Magellano
Porvenir
Rio Grande Ushuaia (la fine del mondo)
Giovanni Gardani