Cronaca

Trattamento anti piralide per salvare i mais: ma quali sono alla fine i rischi?

Un certo effetto ad esempio lo ha fatto, sulla gente che passava giovedì mattina lungo la provinciale per Vicomoscano, vedere un trattore impegnato in un'operazione di strana irrigazione. Ciò che usciva da un cilindro posizionato sul mezzo agricolo non era infatti acqua ma una indefinibile sostanza vaporosa.

CASALMAGGIORE – Capita di chiedersi spesso da cosa dipenda la grave espansione di malattie tumorali che investe la società moderna. Si pensa possa essere l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo o il cibo che mangiamo. Certo l’alimentazione ha un peso determinante in rapporto alla diffusione di certe patologie, specialmente se riflettiamo sui metodi di coltivazione dei prodotti agricoli.

Un certo effetto ad esempio lo ha fatto, sulla gente che passava giovedì mattina lungo la provinciale per Vicomoscano, vedere un trattore impegnato in un’operazione di strana irrigazione. Ciò che usciva da un cilindro posizionato sul mezzo agricolo non era infatti acqua ma una indefinibile sostanza vaporosa lanciata sopra le pianticelle di un campo di mais. Un intervento durato alcuni minuti ed accompagnato da un forte sibilo sonoro, udibile anche a distanza. L’operazione, spiegano i tecnici, si effettua anche due o tre volte durante il periodo del raccolto e serve a distruggere una delle peggiori malattie del mais, la piralide che insieme alla diabrotica può causare danni ingenti.

Si procede quindi con questo trattamento chimico che non tutti gli agricoltori però effettuano, primo per i costi elevati, secondo (ma questa dovrebbe essere la ragione principale del rifiuto) per l’elevata dose di veleno che lo spargimento crea nell’ambiente. Fonti qualificate sostengono che una grave mortalità si manifesti tra la fauna con avvelenamento di lepri e fagiani, in seguito al trattamento e che neppure l’operatore a bordo del trattore ne trarrebbe benefici. Allora quale sarebbe la soluzione per evitare la distruzione del mais da parte di larve voracissime? L’unico rimedio parrebbe quello di cambiare la destinazione d’uso del terreno mettendoci, a rotazione, colture differenti.

Rosario Pisani

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