Cronaca

Strage a Parigi,
il pensiero di monsignor
Alberto Franzini

Nella foto monsignor Alberto Franzini, ex parroco di Casalmaggiore

CREMONA/CASALMAGGIORE – Come a Casalmaggiore, anche a Cremona monsignor Alberto Franzini, ex guida spirituale del Duomo casalese, non manca di fare sentire la propria voce su eventi di portata internazionale e in particolare sul recente attentato alla sede del giornale satirico francese Charlie Hebdo, con sede a Parigi. Un pensiero pubblicato dalla Diocesi di Cremona sul proprio portale che qui riportiamo integralmente.

“L’attentato di Parigi è l’ultimo di una catena di efferatezze che hanno colpito il nostro Occidente in questi ultimi anni: dalle Torri gemelle di New York agli atti terroristici di Madrid, di Londra, di Bruxelles, senza dimenticare la strage di Fiumicino nel 1985. I messaggi e i tweets di solidarietà alle vittime, di condanna del gesto omicida e di difesa della libertà di espressione sono stati un fiume in piena, che si è ingrossato nel corso delle ore e ha scatenato un profluvio di commenti televisivi e giornalistici che si protrarranno per i prossimi giorni. Il portavoce vaticano, riferendosi al pensiero di papa Francesco, ha detto che «la violenza omicida è abominevole, non è mai giustificabile, la vita e la dignità di tutti vanno garantite e tutelate con decisione; ogni istigazione all’odio va rifiutata, il rispetto dell’altro va coltivato». E aggiungo: quel grido dei terroristi «Allah è grande», mentre compivano il loro gesto omicida, è agghiacciante. È una blasfemia esecrabile, da condannare senza se senza ma. L’atto efferato di Parigi mi suggerisce, a caldo, due considerazioni.

La prima. Se è vero che le democrazie occidentali si reggono sul principio di tutela della libertà, compresa la libertà di opinione e di manifestazione del pensiero attraverso i mezzi di comunicazione, per cui è inconcepibile qualsivoglia censura, è altrettanto vero che la libertà non può essere un sacco vuoto. Intendo dire che la libertà ha un fine: camminare verso la verità, non verso la menzogna; e ha dei limiti nelle modalità di espressione: il rispetto delle opinioni altrui e la rinuncia ad ogni manifestazione che sia oggettivamente offensiva nei riguardi degli altri. Il settimanale francese Charlie Hebdo si è caratterizzato in questi anni come un giornale fortemente satirico, spregiudicato, tagliente, urticante. La satira, certo, è parte integrante della libertà di espressione: ma fino a quando la satira è satira? Qual è il confine tra satira e rispetto dell’altro? Quando finisce la satira e inizia il reato? Quando poi la satira si presenta come un oltraggio alla religione, a qualsivoglia religione, è evidente che i confini del rispetto altrui vengono abbondantemente oltrepassati e la libertà cessa di essere tale, perché il vilipendio alla religione non può essere tollerato come espressione di libertà in una società che voglia dirsi democratica e liberale. Se le vignette antireligiose del settimanale francese non giustificano in nessuna maniera un atto di ritorsione e di vendetta omicida, va anche detto che la violenza iconica e verbale di certa satira non aiuta certo lo sviluppo di un clima di rispetto reciproco, che è la condizione basilare di una convivenza civile: anzi, può diventare il detonatore di una violenza fisica incontrollabile.

Una seconda considerazione. Questi gesti di odio nei confronti dell’Occidente pongono a tutti noi un interrogativo profondo sulla nostra identità culturale, sul collante del nostro tessuto sociale, sulle radici profonde delle nostre democrazie, che appaiono sempre più vulnerabili perché fondate su quel neutralismo valoriale che viene sempre più spesso esaltato come la condizione necessaria di una società democratica. Il relativismo – denunciato dagli ultimi Papi, compreso Papa Francesco – è la vera questione delle nostre attuali società occidentali, che giustamente si indignano e scendono in piazza contro il terrorismo, la pena di morte, la guerra. Ma queste denunce rischiano di essere ipocrite, se non sono accompagnate dalla messa al bando di ogni forma di violenza che contrasta con la proclamazione della dignità di ogni essere umano, che va rispettato dal suo concepimento nel grembo materno fino al compimento naturale della sua esistenza. Il silenzio dell’Occidente, nel nome di interessi economici e di convenienze politiche, di fronte alle ingiustizie commesse dagli jihadisti o di fronte alle persecuzioni contro i cristiani e contro altre minoranze religiose in varie parti dell’Asia e dell’Africa, finisce per produrre quello sfiancamento culturale, educativo e religioso che costituisce l’ambiente più propizio per lo scatenarsi dell’odio e della violenza.

Di fronte all’ennesimo episodio di follia, che ci ha toccato perché consumato nel cuore della nostra Europa, la strada da intraprendere, insieme a un rafforzamento di tutte quei mezzi preposti alla sicurezza dei cittadini, è quella di un rafforzamento culturale, che può essere generato solo da una ripresa di impegno educativo e morale da parte di tutti i popoli che compongono il nostro Occidente: un impegno che tenga conto delle nostre radici, delle nostre tradizioni, della nostra storia, delle nostre sofferenze e delle nostre conquiste. Diversamente, si può far strada solo un vuoto culturale che produce una malattia pericolosa: quella che, nel linguaggio psichiatrico, viene definita come perdita di autostima”.

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