Cronaca

Infarto non diagnosticato: medico
"scagionato" dai consulenti

Il paziente, un uomo di 78 anni, era morto nel febbraio del 2021 all'ospedale Oglio Po stroncato da un infarto. Medico mantovano a processo per omicidio colposo.

Un medico mantovano è a processo accusato di omicidio colposo per la morte di un uomo di 78 anni deceduto il 26 febbraio del 2021 all’ospedale Oglio Po di Casalmaggiore, in piena pandemia da Covid. Secondo la procura, il medico non avrebbe riconosciuto l’infarto che aveva stroncato la vita del paziente, diabetico, già cardiopatico, sottoposto a bypass, e affetto da Covid.

A scagionare il camice bianco, oggi in aula, sono stati i consulenti nominati dal giudice. Il medico legale Andrea Verzeletti e il collega Damiano Rizzoni, ordinario di Medicina Interna all’Università di Brescia, hanno definito l’anziano “un paziente ad altissimo rischio” per le patologie di cui soffriva, non ravvisando inoltre profili di responsabilità in capo all’imputato, ritenendo che non ci fossero stati ritardi nella visita e che l’infarto non sarebbe ancora stato in atto.

Il 24 febbraio del 2021, due giorni prima della morte, il 78enne non stava bene e lamentava un dolore alla spalla. Aveva chiesto l’intervento del medico curante a domicilio, ma il medico non era riuscito ad andare in quanto oberato di lavoro. Era quindi scattato l’intervento delle Usca, le Unità speciali di continuità  assistenziale di cui l’imputato faceva parte.

Il medico si era quindi recato al domicilio dell’anziano e lo aveva visitato. Il 78enne era stato sottoposto ad un test da sforzo e al “walking test”, il test del cammino di 6 minuti che permette di valutare la capacità funzionale dei pazienti con malattie cardiopolmonari. Tutto normale. Dai consulenti del giudice, quel dolore alla spalla è stato definito “inusuale” per un infarto, se non associato a un dolore toracico.

Al termine della visita, l’imputato aveva stilato un referto e consigliato al medico di base l’attivazione del cosiddetto “pacchetto Covid”, cioè un percorso protetto per i pazienti Covid che al pronto soccorso avevano una corsia preferenziale con tempi abbreviati per effettuare gli esami. Due giorni dopo la visita, il 26 febbraio, l’anziano era però peggiorato, e il suo medico di base aveva chiesto il ricovero. “Al pronto soccorso, il paziente era andato verso le 13. “Ha atteso circa quattro ore”, ha spiegato l’avvocato Nicola Turzi, difensore dell’imputato, “per poi essere visitato verso le 17. Nemmeno in pronto soccorso il paziente era stato sottoposto ad elettrocardiogramma, e gli esami che erano stati effettuati erano normali. Non c’era nulla di sospetto”. L’anziano era stato poi ricoverato, ma alla sera era collassato in bagno, stroncato dall’infarto.

“Le prime perizie”, ha detto il legale della difesa, che si è avvalso dei consulenti Massimo Amato, responsabile del pronto soccorso di Mantova, e di Francesco Tiboni, medico legale di Mantova, “davano l’insorgenza dell’infarto da un giorno a tre giorni prima del decesso”.

Per Giancarlo Marenzi, direttore del Centro Cardiologico Monzino di Milano, e per il medico legale di Milano Manuela Margherita, consulenti del pm, vista la storia clinica del paziente, “sarebbe stato più prudente effettuare un elettrocardiogramma“, anche se, come ammesso dagli stessi esperti, “ciò non avrebbe modificato l’esito fatale“. Oggi si è difeso anche l’imputato che ha detto di non aver individuato nulla di sospetto durante la visita.

La sentenza sarà emessa il prossimo 14 febbraio.

Sara Pizzorni

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