Femminicidi e narrazione, denuncia
delle associazioni anti-violenza

A distanza di mesi dai femminicidi di Lorena Vezzosi e Maria Campai avvenuti sul territorio casalasco-viadanese, le volontarie del Centro antiviolenza di Casalmaggiore, insieme all’associazione Rete Rosa di Viadana, intervengono sulla situazione.
“Decidiamo di esprimerci ora non perché di fronte a tali avvenimenti abbiamo scelto di restare in silenzio, ma per non cavalcare l’onda della spettacolarizzazione che spesso accompagna questi eventi drammatici, il cui significato merita invece una riflessione responsabile e approfondita”: sottolineano in una nota le operatrici.
“Decidiamo di parlare ora soprattutto perché ci saremmo mosse a prescindere, dal momento che siamo stanche di leggere e di ascoltare argomentazioni banali e superficiali rispetto ad un tema che tocca noi, e tutti, così profondamente”.
“Siamo stanche della narrazione che i media, e spesso anche le istituzioni, fanno della violenza di genere, focalizzando l’attenzione su una presunta responsabilità delle donne o alimentando stereotipi e luoghi comuni volti a colpevolizzare la vittima o a intaccarne la credibilità” si legge ancora nel documento.
“Riprendiamo in questo senso le parole di Antonella Veltri, presidente di D.i.Re – Donne in rete contro la violenza: È necessario un definitivo cambio di paradigma rispetto alla violenza maschile contro le donne, che finalmente individui le vere responsabilità. Si deve di spostare l’attenzione dalle donne che subiscono violenza da parte degli uomini, con cui spesso sono in relazione intima o familiare, per metterla su chi davvero ha la responsabilità di fermarla: gli uomini che la agiscono, la società che la tollera, le istituzioni che non la contrastano”.
Mentre sui social network e nei salotti televisivi – quasi solamente intorno al 25 novembre – ci si interroga circa le cause del femminicidio, arrivano ancora una volta risposte parziali e rassicuranti: gelosia, raptus, troppo amore, addirittura relazione tossica e disagio sociale. Per essere così certi di non mettere in discussione nessun fondamento, accontentandoci solo dell’indignazione”.
“La tendenza, ravvisabile soprattutto in ambito giornalistico, a rappresentare l’aggressore come il bravo ragazzo colto improvvisamente da un raptus o, viceversa, come un potenziale mostro, provoca il rischio di distogliere l’attenzione dalla natura strutturale e sistemica della violenza di genere” prosegue il comunicato.
“È proprio questa modalità di narrare la violenza contro le donne come fenomeno emergenziale che impedisce, o quantomeno rallenta, la costruzione di una coscienza collettiva realistica attorno al fenomeno. Anche l’intervento delle istituzioni risulta ancora oggi inadeguato e parziale: le risposte sono quasi sempre concentrate sul punire i maltrattanti o sul mettere in guardia le donne nel tentativo di “proteggerle”, piuttosto che sull’implementazione di strutturate azioni di prevenzione, che mirino all’autodeterminazione delle donne e ad aumentare il grado di consapevolezza intorno al fenomeno”.
“La violenza sulle donne – spiegano – ha origine da un pensiero patriarcale che vede nel femminile un oggetto e non un soggetto, qualcosa da controllare, su cui esercitare potere. Le donne non sono ancora viste in questo senso come individui in quanto tali e le disparità che le colpiscono – dal mondo del lavoro a quello famigliare, passando per la rappresentazione pubblica – non fanno che creare le premesse per potenziali prevaricazioni e violenze. Purtroppo, tutto questo non è un semplice retaggio del passato, ma è qualcosa di vivo e presente, che non va ricordato soltanto il 25 novembre, poiché quanto accaduto a Viadana e a Casalmaggiore avviene ogni giorno dell’anno e interessa ogni area del mondo, ogni cultura e ogni classe sociale”.
“La violenza è una scelta. – ribadiscono le volontarie -. Ed è una responsabilità di chi la compie. Gli uomini devono decostruire molto di ciò che è stato insegnato loro, perché servono nuovi ideali di maschilità, nuovi immaginari, nuovi comportamenti e nuove credenze. I livelli principali nei quali cercare elementi per comprendere un fenomeno così complesso (e quindi sui quali intervenire) sono certamente quelli delle relazioni di ruolo e dei modelli culturali”.
“Serve che tutti facciano la propria parte – conclude la nota – perché ognuno di noi, nel suo piccolo, è o è stato in qualche modo portatore di stereotipi, opinioni, credenze. Ad iniziare dalle scuole di ogni ordine e grado, si potrebbe rendere obbligatoria l’educazione sentimentale, affettiva, relazionare e sessuale per aiutare questo processo, anche nell’ottica del rispetto all’individualità e alle comunità tutte. La responsabilità diventa quindi di tutti: di chi agisce, di chi giudica, di chi governa. La violenza sulle donne non è un fatto privato, ma una questione collettiva, che ci riguarda tutti” conclude la nota.