Marcaria, ultimo giorno per la
mostra sulla locomotiva affondata
A ottant’anni di distanza Marcaria rivive il suo ricordo, tra le pieghe di un paese povero, con la speranza che i pochi anziani sopravvissuti possano tramandare i valori che la storia ci insegna.
Un paese negli ultimi tempi perlopiù abbandonato dagli autoctoni, ora sta piano piano riprendendo vita. La strada principale vien di nuovo vissuta da nuovi cittadini, con altre culture, con altri stili e ritmi di vita.
Il vociare gioioso trilla agli orari di scuola e nella via si sentono profumi appetitosi. Nel 1944 non c’erano nè soldi nè profumi, i giovani uomini erano in guerra, i bimbi scorrazzavano nella valle per sopravvivere.
Quel giorno del ”29.11.1944” ci fu il bombardamento di Pippo sui vagoni carichi di munizioni e materiale bellico e Marcaria si salvò da una catastrofe, grazie alla temerarietà di quattro ferrovieri (capostazione, macchinista e due manovali: Angelo Bambini e Giovanni Antonietti detto “butiglia”) che trasgredendo agli ordini tedeschi divisero i carri e li allontanarono tra loro, evitando uno scoppio a catena. La pietas popolare riconobbe in Maria Vergine l’ispirazione “La Regina della Pace”… Boati tremendi, fuoco, esplosione di vetri porte e finestre, rotaie, respingenti e lamiere infuocate che volavano nel cielo: Nessun morto!
Oggi, quell’evento storico dello scoppio del treno dovrebbe servirci per promuovere una cultura di pace e infatti venerdì 11 ottobre in oratorio, è stato costituito un gruppo di giovani con l’intenzione di intervistare, descrivere e diffondere la realtà di quel “29.11.1944” che potrebbe realmente ripetersi. E’ stata inoltre allestita una mostra fotografica visitabile fino ad oggi, 8 dicembre, presso l’oratorio di Marcaria, in accordo con il dopolavoro ferroviario di Cremona, con Anspi Marcaria, con il patrocinio del comune di Marcaria e della Provincia di Mantova.
”Ieri siamo usciti per la prima volta con i piccoli ricercatori, abbiamo intervistato alcuni signori che all’epoca dei fatti (nel 1944) erano ragazzini, hanno condiviso con noi ricordi di tradizioni e di educazione dell’epoca e i nostri ragazzi hanno fatto altrettanto: passato e presente del nostro paese (sikh, indù, arabo medio/orientale, laici e cristiani). Un confronto che ci ha unito nel pensiero della pace, come strumento unico di crescita umana e sociale.
Graziella si è commossa nel vedere il sorriso dei ragazzini, ha vissuto con noi flash di tristi immagini e ci ha raccontato della sua quotidianità: il buio della casa illuminata solo con una piccola lucerna che ancora conserva con amore, così come il souvenir (un guscio completo di carapace) portato a casa da suo padre fatto prigioniero in Grecia per cinque anni. lmparò allora che suo padre sopravvisse mangiando tartarughe…”
L’incontro con Felice Broccajoli ci ha portato nel dramma infernale dell’esplosione. ”Abbiamo visto un respingente del treno volato dalla stazione al campo attiguo. Abbiamo cercato di sollevarlo, ma non ci siamo riusciti. Abbiamo visto un pezzetto di carrozza di treno.”
Ci siamo soffermati a pensare che quei pezzi arsi e spaccati dalla temperatura infernale volavano nel cielo come fuochi d’artificio. Un giorno tremendo di paura per gli adulti, che i bambini percepivano invece come fosse un gioco, anche quando furono obbligati a nascondersi in un tunnel tra i fossati, quasi fosse il nascondino quotidiano giocato stavolta anche con mamma e papà. Come racconta Graziella: “Gli agili avevano la meglio, ma c’era sempre qualcuno con il sedere grosso che impediva agli altri di passare”.
Non c’era la luce, ma Broccajoli era fortunato perchè possedeva la radio a pile e i parenti potevano ascoltare le notizie di guerra a casa sua. “Nella grande cascina, durante la guerra la forza lavoro era costituita da adulti braccianti e dal nonno che per ragioni di età era rimasto a casa, mentre i figli e i cugini furono tutti requisiti ed anche loro fatti prigionieri. Le difficoltà erano tante, tuttavia ci si aiutava a sopravvivere nel silenzio. Con i parenti al fronte non ci fu corrispondenza diretta, e passarono cinque lunghi anni perché si ricomponesse la famiglia.”
Abbiamo incontrato anche Alida che ricorda i racconti della nonna ”Quella mattina del 29.11.44 era ricoverata all’ospedale di Asola, all’improvviso il tetto si scosse e crollò.”
Mari invece ci racconta di suo zio, di quando era studente alle elementari. Da qualche giorno c’era l’ordine di non far frequentare la scuola ai bambini, nell’aria c’era qualche presagio di attacco, ma per non soccombere a questa triste profezia, gli insegnanti radunavano in casa propria piccoli gruppi di scolari. Quel giorno lo zio era stato destinato alla signorina maestra Bergomi, alloggiata nella sua casa liberty in piazza e fu lì che sentirono il botto, e la maestra li nascose tutti impauriti sotto il tavolo della cucina finchè l’aria non si placò.
“Una mostra che si nutre di memorie storiche, di dati e fatti accaduti, di poesia, di arte. Una mostra, quella della Madonnina, che merita di essere presa in considerazione non solo dai marcariesi che ebbero salvo il paese per quel treno scoppiato il 29 novembre ’44, ma per i messaggi contemporanei che ancora possono far parlare ed osservare con l’occhio di un intenditore storico, religioso, ambientale ed artistico.”
“Grazie a Fabio Cavaglieri per aver messo in mostra scatti riguardanti i 150 anni di ferrovia immagini di un passato che abbandoneremo presto visto il piano strategico e tecnologico di cambiamento ambientale in atto.”
“Resti di guerra di quel famoso scoppio prestati dall’ Ecomuseo di Bozzolo dipingono di strage l’orrore di quel famoso evento.”
“Un Chizzoni Cesare, afferratissimo storico, volto alla ricerca di quell’affresco che ha fatto parlare di sé i Gonzaga di San Martino e al merito di quella effigie cara a culture religiose quanto agli artisti che sanno trarre spunto per esprimere e trasformare emozioni.”
redazione@oglioponews.it