Ciao Nazza, amico nostro
Da oggi siamo più soli!
Le regole del giornalismo anglosassone impongono di dare subito la notizia, per prima cosa. E allora: Nazzareno Condina, classe 1970 residente a Martignana di Po, non c’è più.
A volte però le regole auree di questa nostra professione bellissima e infame (mai infame come oggi) sono l’ultima cosa che conta: e Nazza lo sapeva bene, abituato ad infarcire spesso i suoi articoli con incipit lunghi, appassionati, che erano un grande preambolo alla notizia.
E del resto, probabilmente, il giornalismo anglosassone non prevede nemmeno che si debba scrivere con le lacrime agli occhi: perché Nazzareno Condina è stato un compagno di viaggio, un collega, ma prima di tutto un amico.
Non si dovrebbe nemmeno scrivere in prima persona, in un articolo: ma anche qui se cambieremo il modo di porci rispetto alle “regole”, nessuno se ne avrà a male. Perché chi scrive, con Nazzareno Condina, ha condiviso una carriera lavorativa lunga 19 anni, di fatto poco meno di mezza vita, anagraficamente parlando, almeno per il sottoscritto. Un rapporto iniziato con Sportfoglio, proseguito con Oglio Po News, giornale per il quale Nazzareno ha continuato a scrivere fino a due giorni fa, in ospedale, “perché così tengo la testa impegnata”.
Un testone pieno di sentimenti, fatto a suo modo, diversissimo da me ma per certi versi complementare, anche quando non ce ne accorgevamo. Laureato in Scienze Politiche, Nazzareno amava scrivere di tutto, come del resto impone la professione oggigiorno. Lo conobbi in via Romani, quando ero da poco maggiorenne e mi affacciavo a questo mestiere. “Perché non vieni a lavorare alla Voce di Cremona?”, mi chiese.
Andai a “Cronaca”, alla concorrenza, ma il destino voleva che, evidentemente e senza rancore (non me ne ha mai serbato!), tornassimo a lavorare insieme poco dopo, a Sportfoglio appunto, creando un connubio andato avanti fino adesso. Tanto che quando si creò l’opportunità di un nome (e di un posto) per Oglio Po News, il nome di Nazza fu il primo che proposi.
La sua coerenza è stata quella di una scelta, magari non da tutti capita o gradita, ma coerente, appunto: raccontare la sua malattia fino all’ultimo, portando avanti – perché le parole non restassero un suono vacuo o una predica ridondante – un progetto come “Andom”, che ha dato (e darà) speranza ad altri malati.
Nazzareno Condina si è ammalato un anno e mezzo fa: ricordo benissimo, era il giorno delle elezioni regionali, un giorno di lavoro tosto e di rincorse per noi giornalisti. Quel giorno non riuscì a dare una mano, non scrisse nulla. Riemerse dopo un giorno e mezzo spiegando di essere stato male. Era febbraio. Gli accertamenti portarono in una direzione che nessuno immaginava: tumore al pancreas. Stando a Nazza, e non ho motivo per non credergli, sono stato la terza persona a saperlo, dopo la moglie Cristina e il fratello Stefano. Non è una classifica, lo vidi solo come un attestato di stima, nonostante quel colpo al cuore. Ma l’unico attestato di stima del quale avrei fatto a meno…
Con un fisico debilitato e affetto già dal diabete, nessuno pensava che Nazza potesse combattere a lungo: il tumore al pancreas aveva stroncato un fisico atletico e allenato come quello di Gianluca Vialli dopo cinque anni, ma Nazzareno non era così forte, si pensava. E invece “a volta la vita ci sorprende” scrisse Nazza dopo essere riemerso da alcuni giorni durissimi di cure disperate.
E iniziò lì, il suo ultimo tratto: una seconda vita fatta di racconto del dolore e della malattia, di lucidità quando si poteva, di infinito amore, disinteressato.
Quando Nazza, dopo la metà di agosto, è entrato all’Hospice a Cremona, sapevamo che la notizia era vicina. L’unica notizia, in 19 anni di carriera assieme, che non sgorga pulita dalla tastiere perché fermata da un singhiozzo o un ricordo. I caffè freddi bevuti a Sportfoglio nella notte per restare svegli e chiudere il giornale, le brioche tenute in serbo da Vito del Bar Italia, quella redazione divenuta un porto di mare. E anche le litigate e i confronti, i momenti in cui due testoni si scontravano e si scornavano, finendo però col volersi bene. Eppure le idee mica cambiavano: uno un po’ diavolo, l’altro un po’ acqua santa. E viceversa. Mille aneddoti affolleranno la mente e forse la tastiere, ma per adesso fermiamoci qui.
Nazzareno Condina, convintamente ateo ma profondamente certo che oltre la vita c’è sempre qualcosa, soleva dire che il suo nome era di Qualcuno che, due millenni fa, faceva miracoli. Ma che lui per i miracoli ancora doveva attrezzarsi. L’ultimo miracolo lo abbiamo atteso tutti, invano.
La mamma e il papà, la moglie, il fratello, la cognata, l’adorato nipote Lollo, tutti i parenti hanno sperato come e più di noi. Oggi siamo più soli, oggi piangiamo il collega e l’amico.
Poi da domani ripartiamo: perché Nazzareno, nei tanti messaggi testamento che ha lasciato a ciascuno, non ha mai dimenticato di sottolineare quanto sia bello il quotidiano. L’inno alla vita di un condannato a morte. L’ultima lezione di un amico che non scorderemo.
Ciao Nazza, un “Andom” nel più alto dei cieli!
Giovanni Gardani