Arte

Fustikale, Ω preghiera per una fine
ultimo corto Goth di Mathias Mocci

Fustikale: in sardo significa ortica, pianta dal carattere parecchio deciso, trattala bene, abbine cura e sarà con te benefica, trattala male o con disattenzione e sarà estremamente urticante.

Fustikale è anche un nickname, un nome d’arte dietro al quale sta Mathias Mocci, fotografo, videomaker, cultore della letteratura e dell’arte Goth, esperto di tanatologia, condivide con Lady ϴάνατος un rapporto di profondo dialogo. Il macabro, i colori scuri, l’analisi della simbologia del cadavere nei secoli e nelle varie culture, non sono altro che un mezzo per interrogarsi sul ciclo continuo di vita e morte, sul senso dell’esistenza, che trova la sua ragion d’essere nella scienza, e della morte che pare invece appartenere ad un mondo altro, fatto di paura, mistero e spiritismo.

Ma vita e morte non si possono scindere, sono tasselli dello stesso puzzle, non si vive senza morire e non si muore senza avere vissuto. Ed ecco che la morte, coi suoi aspetti più cupi ed inquietanti diventa il mezzo in assoluto più naturale per esorcizzarne la paura, guardarla a fondo, toccarla, coglierne il lato lugubre, spettrale e spaventoso ci rende consapevoli che la morte non è una realtà indipendente, non è l’opposto della via ma una parte integrante di essa. La vita di qua, la morte di là, se sono da questa parte non posso essere da quell’altra, è ridurre a concetto astratto anche la vita stessa di cui la morte altro non è che fetta, spicchio, frammento, brandello, lembo, sezione, segmento.

La cultura Goth rifiuta l’infinito circolo vizioso del vivere vita e morte come un’antitesi angosciante e accetta quest’ultima come parte di una esistenza da vivere, anche e proprio, in funzione del suo esito finale; non è facile accettare la Nera Signora come un aspetto naturale dell’essere e non come la sua negazione, ma come dice Mathias, Goth si nasce.

Mathias Mocci

Autore di svariate opere grafiche, fotografiche e video Mathias, alias Fustikale, più che dalla morte è angosciato dal male che si manifesta tra, e quasi sempre per mano, dei vivi. Il suo ultimo corto “Ω preghiera per una fine” affronta l’eterna lotta tra bene e male ed è frutto di una lunga gestazione perché non voleva essere qualcosa di scontato che scadesse nella retorica o in quei luoghi comuni triti e ritriti che anche un mediocre fabulatore rifiuterebbe.

A un tratto, l’aggravarsi del quadro mondiale gli è di ispirazione ed ecco tradotta in immagini questa ormai miserrima situazione in cui annaspa un’umanità non più degna del suo nome. L’occidente cammina sul viale del tramonto e dimostra di non essere in grado di fronteggiare le sfide (pandemie, recessioni economiche, politiche bellicose), l’oriente da una parte stretto in guerre e massacri senza fine e dall’altra realtà emergente dalle fauci spalancate e fameliche e infine il mondo intero, privo di qualsivoglia soluzione che guarda immobile e aspetta, quasi si trovasse in una pièce dell’assurdo di Beckett o Ionesco.

Se invece restringiamo il campo e guardiamo appena fuori dal nostro cancello, vediamo passare, come in un super8, immagini di repressioni a fronte di manifestazioni di protesta e di rifiuto di pensieri omologati, a discriminazioni davanti alla diversità, alla messa al bando dei diritti fondamentali, all’alzata di bandiera in nome di miti ormai obsoleti come la razza, la difesa dei confini o la patria.

Sono questi gli spunti che a un tratto dipanano la matassa: “Volevo passare l’inquietudine di un incubo, l’immagine di un’umanità immobile a un passo dall’omega, di un mondo avverso, non più ospitante che sopravvive su strati di cenere e vermi” Il video d’estremo effetto, è un susseguirsi di immagini che si rifanno a una sacralità inquietante e profana, ad altre che richiamano la natura devastata da inquinamento, sporcizia e modernità, l’umanità schiacciata dalle guerre, dal denaro e da un ambiente divenuto tossico e maleodorante.

Mentre una musica ecclesiastica e corale lascia il posto ad un‘altra dal ritmo ancestrale, dai toni crescenti e dai suoni gutturali e tribali, le immagini, via via più angoscianti, vi danzano sopra in un crescendo macabro e ansiogeno fino a che il pathos raggiunge l’apice massimo … e poi stop! Mentre il cuore di guarda sta ancora battendo in gola, i cori riprendono e il video si conclude esattamente come era iniziato.

Mathias non è solo autore ma è anche interprete di un personaggio trino, incapace di muoversi se non a scatti, autolesionista in cui sacrale e demoniaco convivono quasi in una sorta di compiacimento. Preghiera per una fine avvenuta o per scongiurarla? Invito a reagire o fotografia di una rassegnazione collettiva? Il video non dà risposte, è solo una sublime costruzione di come l’autore vede il mondo, è lo specchio impietoso di una realtà alienante e distruttrice di cui siamo genitori ma che non sappiamo guardare o non vogliamo vedere.

Noi, minuscoli esseri ipocriti e incoerenti che gridiamo il nostro SÌ alla vita, altro non siamo che spietati assassini o vili suicidi. Il video non è solo una carrellata di immagini potenti, è un’opera potente artisticamente, costruita con maestria, ricca di allusioni e di metafore figure retoriche che arriva come un pugno, stordisce e scuote La ribellione del dolce animo dark di Mathias Mocci è un invito a guardare attentamente chi siamo, una forte preghiera artistica che ci supplica di fermarci.

Io sono l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il Principio e la Fine

Giovanna Anversa

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