I Racconti di OglioPoNews

Il Concerto senza senso – di Giampietro Lazzari

… all’ombra (o nella fulgida luce, dipende dai punti di vista e dagli stati d’animo) del Jazz Day 2024 nasce questo racconto. O forse no, questo nasce già prima, sedimento di un animo perennemente in moto, l’animo di un nobil uomo capace di scrivere senza mai rendere pesanti le parole, capace di farci trornare indietro per poi portarci avanti. L’animo é quello di Giampietro Lazzari, Geppa, un evergreen che ha fermato il tempo e riesce ancora a manovrarlo, spalatore di carbone di una vecchia locomotiva, ogni qualvolta si mette a ricordare. Non è un cesellatore, non ha fatto scelte di prolissità. Non ha i nostri vizi insomma, ed é assolutamente un pregio in chi racconta. E lui racconta. Di queste perle ce ne fa a volte dono. Questa volta il dono ce lo siamo presi noi, per non far di tutta l’erba un unico fascio. Per fare in modo che tutti – sia dentro il Jazz Day che a prescindere, ne potessimo fruire. E così faremo. Ma un’altra cosa volevamo aggiungere, già detta in altri tempi: non siamo una rivista letteraria pur amando la letteratura e l’arte in genere ma vorremmo davvero che anche OglioPoNews fosse, seppur in piccola parte e non perdendo le proprie caratteristiche, un luogo anche ameno dove trovare racconti, dove immergersi in quel che scrive il lettore. Racconti, per brevi o medi che siano, che permettano a tutti coloro che ne sono affascinati di godere del piacere delle parole. Siamo aperti ai contributi di chi scrive, siamo aperti alla vostra collaborazione. Basterà inviarcelo, magari corredato di una qualche immagine (basterebbe una foto di chi scrive e una magari a corredo del pezzo). Siamo aperti, e perennemente in moto anche noi. Con la stessa voglia di leggere di sempre, con la voglia di sentirvi. Se la cosa vi piace, ci siamo. La mail è sempre quella, redazione@oglioponews.it – indicate nell’intestazione RACCONTO per facilitarci la vita e poi pubblicheremo. Buona vita a tutti… (NC)

Il concerto senza senso – di Giampietro Lazzari

Se in un pomeriggio d’estate, in paese, doveste imbattervi in note musicali che si spandono dalle finestre aperte di qualche caseggiato e come farfalle, volteggiano e si posano per qualche istante sui vostri sensi, non meravigliatevi: sono studenti che si esercitano e che per un paio di mesi danno vita ad un festival d’eccellenza, insieme a docenti di fama internazionale. Il frutto della loro arte si palesa poi ogni sera, poco prima del tramonto, in forma di concerto.
Le nostre dimore di pregio, i cortili e le sagrestie che nei secoli hanno ospitato altre vite accolgono questi eventi; e anche per chi non è esperto l’assistervi è fonte di piacere, perché la bellezza si alimenta di sé stessa, i luoghi delle esibizioni aumentano il loro fascino, e appare che questa nostra sperduta periferia assuma l’importanza di una metropoli fascinosa, diventi centro di una magia.

Si affluisce in questi luoghi con rispetto, aspettando quelle atmosfere serali, in attesa delle prime note di una sonata di Mozart, o di un notturno di Chopin.
Una sera di qualche anno fa, a uno di questi concerti, mi capitò di intravedere e di osservare una figura di donna di sobria raffinatezza. Accomodata in prima fila spiccava per un particolare portamento e per un altro non so che, tale da renderla degna di attenzione. Di una età vicina alla senilità, questa persona mi era sconosciuta. Le apparteneva un’aura speciale, come se un tratto della sua personalità, normalmente invisibile, emergesse in modo evidente.

E vi confesso che da quella sera, e per tutti i concerti successivi, sceglievo appositamente un posto comodo per l’ascolto, ma ancor più per l’osservazione di quella donna, un paio di file dietro a lei e lateralmente, di modo che potessi esaminare il suo viso e i suoi capelli di un elegante grigio.

Si circondava di una particolare solitudine: non la vidi mai parlare né rapportarsi con alcuno. E una volta iniziato il concerto l’attenzione della donna diventava massima e non vi era momento che il suo sguardo abbandonasse, nemmeno per un istante, i gesti degli esecutori.

Leggeri ma percettibili movimenti del suo capo accompagnavano le melodie, quasi come solfeggiasse a mente la partitura. Come in estasi, accompagnava i movimenti dei violinisti, il rincorrersi delle dita del pianista e nulla, nulla davvero turbava il suo stato di rapimento, come respirasse all’unisono con gli artisti.

Nelle pause di intermezzo, cessata la musica, ritornava ad una dimensione distaccata, limitandosi a fissare il vuoto, oltre il palco. Alla fine del concerto, dopo aver concesso un sorriso a chi le era seduto a fianco, si allontanava austera, con passo deciso, senza indulgere all’intrattenimento con alcuno, cosa che accadeva invece a gran parte degli altri spettatori, che gradivano rimanere a commentare o a pettegolare delle cose di paese.

Una di quelle sere, incamminandomi subito verso casa per l’ora tarda nella quale era finito il concerto, intravidi, nell’oscurità rischiarata da un lampione, quella figura signorile che si allontanava spedita avanti a me, precedendomi di qualche passo.

Dalla piccola pochette che teneva in una mano traboccava un oggetto, forse un’agenda o un libretto d’opera, che sobbalzando precariamente all’ondeggiare del suo incedere sui tacchi, finì per cadere a terra.

La signora non se ne avvertì per cui, nell’intenzione di avvisarla della perdita cercai di richiamare la sua attenzione: – Signora… signora, la prego si fermi, guardi che ha perso una cosa – dissi a voce alta. Non ebbi risposta. Allora alzai il tono, ripetendo le mie parole, ma nulla. La donna procedeva svelta senza curarsi del mio richiamo.

Accelerai con forza, accorciando lo spazio tra lei e me, raccolsi a metà strada l’oggetto caduto e dopo averla finalmente raggiunta le appoggiai la mia mano sulla spalla per riconsegnarle ciò che aveva perduto.

Ella si fermò e si voltò, spaventata per quella improvvisa intrusione. Io le sorrisi mostrandole l’agenda e dicendole: questa è sua, signora, le è caduta poco dietro!
I suoi occhi azzurri vivissimi incrociarono i miei ma la donna non proferì parola. Rimanemmo per qualche istante immobili, viso a viso. Poi la signora alzò una mano verso il suo orecchio e con un gesto inequivocabile mi fece capire che non era in grado di udire.

Rimasi basito. Quella signora mi palesava la propria sordità. La cosa aveva dell’inconcepibile! Una persona che avevo per sere intere osservato ascoltare tutti quei concerti come poteva trovarsi in quella situazione di mancanza del senso necessario?

Eppure il suo guardarmi, con la bocca chiusa e senza batter ciglio, non faceva che confermarmi quanto mi aveva esposto, col suo gesto, appena un istante prima.

La signora rilassò il viso, capì il mio stupore, prese l’agenda dalle mie mani e appoggiandosi al tetto di un’auto parcheggiata a lato della via, dopo aver estratto una biro dalla borsetta, vi scrisse alcune parole; poi alzò la pagina aperta e me la mise poco sotto il naso, invitandomi, con un cenno del viso, affinché io leggessi quanto aveva scritto: Caro signore, la ringrazio; non si stupisca; io non sento, ma vedo; e ciò è per me sufficiente per sentire la bellezza della musica che, nel passato, ebbi modo di conoscere.
Poi mi sorrise, fece un gesto del capo per congedarsi, si voltò e riprese il suo cammino.

Retrocessi sui miei passi, stupito di quell’inusitato frangente. Poi riflettei che, tutto sommato, anche il buon Beethoven in sordità totale aveva composto la nona sinfonia e che in verità… in verità, non c’è bisogno di possedere tutti i sensi per percepire la bellezza.

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