Ambiente

Terre del Po, siamo tutti fiume:
la morbida e la poesia del tempo

Le terre di fiume avevano già iniziato a colorarsi del celeste degli occhi della Madonna, del bianco delle margherite, del lilla delle viole e del giallo del tarassaco, i primi annunciatori della primavera, quando il cielo è tornato a farsi plumbeo spegnendo i colori, ma non la bellezza, delle golene, ed il Grande fiume si è di nuovo gonfiato, accarezzando i suoi boschi.

Li aveva lasciati a novembre dopo esservi mancato per oltre due anni. Più di ventiquattro mesi durante i quali tutte le cronache locali, nazionali ed internazionali avevano mostrato, a tutti, una siccità da record. Vi è ritornato in questi giorni e, di fatto, non sarebbe nulla di eccezionale visto che si è in presenza di quella che, tecnicamente, viene definita una morbida, vale a dire una piccola piena di stagione.

Invece, ancora una volta, è un fatto da descrivere e da raccontare, di fronte al quale fermarsi, in silenzio, a riflettere. Ad osservare il lento cammino delle lumache che risalgono lungo i tronchi di pioppi e salici; loro, più di qualsiasi idrometro, sanno dove arriverà il livello delle acque, mettendosi al riparo, ma senza abbandonare la loro terra.

Osservando le poiane che, da spettacolari rapaci quali sono, assistono agli spettacoli del Po, in attesa delle loro prede, appollaiate sulle fronde, ancora spelacchiate degli alberi. Ammirando il volo dei corvi che planano sulle acque limacciose e, aggrappandosi a qualche tronco, si fanno a loro volta portare dalla corrente che, veloce, scende verso il mare.

Cogliendo l’esperienza dei più anziani che, avvolti nel tabarro, raggiungono le rive per piantarvi un fuscello che indicherà, nelle ore a venire, l’andamento del Po. La natura mettere sempre tutto al suo posto; il vecchio Eridano, che è maestro e protagonista nelle terre che attraversa, lo ricorda sempre, in ogni momento, in ogni stagione. Anche quando, come in questi giorni, tre mesi dopo, torna di nuovo ad insinuarsi tra quei boschi che, da sempre, gli fanno corona.

Insegna che è tutt’altro che risolto il problema della siccità, un tema sempre attuale e pronto a ripresentarsi, forse anche prima di quello che si possa pensare; di fronte al quale, purtroppo, si rischierebbe di farsi trovare, ancora una volta, in “mutande” (leggasi impreparati). Ci ricorda il bene prezioso di “sorella acqua” la quale, come scriveva San Francesco d’Assisi “ è multo utile et humile et pretiosa et casta”. Ci richiama al rispetto assoluto, e totale, della natura e di Madre Terra, perché ogni volta che l’uomo ha cercato di alterare le cose, puntualmente, è finito a far danni. Si riconferma protagonista indiscusso, e indiscutibile, delle terre che attraversa: protagonista del tempo, della storia e della quotidianità.

Richiama al senso della vita che è un continuo andare avanti, istante dopo istante, tenendo presente che nulla è scontato né tantomeno dovuto e, soprattutto nelle piccole cose, solo in apparenza scontate, potremo trovare beni inimmaginabili: basterà sapergli cogliere, nel silenzio e nell’essenziale.

Nella sua celebre poesia “Il fiume e l’oceano”, Khalil Gibran scrive :

Dicono che prima di entrare in mare
Il fiume trema di paura.
A guardare indietro
tutto il cammino che ha percorso,
i vertici, le montagne,
il lungo e tortuoso cammino
che ha aperto attraverso giungle e villaggi.
E vede di fronte a sé un oceano così grande
che a entrare in lui può solo
sparire per sempre.
Ma non c’è altro modo.
Il fiume non può tornare indietro.
Nessuno può tornare indietro.
Tornare indietro è impossibile nell’esistenza.
Il fiume deve accettare la sua natura
e entrare nell’oceano.
Solo entrando nell’oceano
la paura diminuirà,
perché solo allora il fiume saprà
che non si tratta di scomparire nell’oceano
ma di diventare oceano

Allora anche nella nostra quotidianità, in ogni passo compiuto, è bene ricordare che anche ognuno di noi, in ogni azione che compie, è parte integrante di un grande oceano che è quello della vita di cui tutti siamo protagonisti: come il fiume all’interno delle sue golene e dei suoi boschi.

Senza guardare con timore alle previsioni che annunciano nuove ed abbondanti piogge perché, e qui è il caso di ricorrere ad un antico detto lombardo “El temp e’l cu fann quell che voeur lù” (il tempo e il sedere fanno quello che vogliono). La primavera, con le sue viole, le sue margherite, i suoi ranuncoli, i suoi colori e i suoi profumi, arriverà e, come sempre, tra i rintocchi di campana dell’una e dell’altra riva, la storia laboriosa delle genti di Po continuerà.

Eremita del Po, Paolo Panni

 

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