Chiesa

Chiesa San Pietro in Mendicate
fiero baluardo di fede e storia

Compie 280 anni l’imponente e bella chiesa di San Pietro in Mendicate, fiero baluardo di fede e di storia che svetta nel cuore della campagna, lungo quell’antica e celebre strada consolare romana che è la via Postumia.

Un luogo di pace e di silenzio dove tracce romane e medioevali, come del resto accade anche altrove, si fondono mirabilmente e portano alla memoria uno dei più grandi imperatori medioevali del Sacro Romano Impero, Federico I di Hohenstaufen, meglio conosciuto come Federico Barbarossa, nonno dello “Stupor Mundi” Federico II di Svevia. Infatti il nucleo originario di San Pietro in Mendicate, e della sua chiesa, risale proprio ai tempi del Barbarossa, e quindi al XII secolo.

Una storia molto antica, contraddistinta dall’esistenza di un antico Ospedale per pellegrini e viandanti, documentato sino al XVI secolo. Era, con ogni probabilità, uno Xenodochio, vale a dire una struttura di appoggio ai viaggi nel Medioevo, adibita ad ospizio gratuito per pellegrini e forestieri. Generalmente questo tipo di strutture, per lo più gestite da monaci, erano poste su una via di pellegrinaggio e la Postumia, strada consolare romana voluta da Postumio Albino, era proprio una di queste.

La Postumia, doveroso ricordarlo, tagliava la Gallia Cisalpina (l’odierna Pianura Padana) ed era stata realizzata a scopi principalmente militari ma anche commerciali. Fu ultimata nel 148 a.C. San Pietro in Mendicate, con il suo xenodochio, era evidentemente un baluardo, o meglio un punto di riferimento per i pellegrini ed è significativo ricordare che i primi “passi”, questo centro agricolo, li ha mossi proprio per iniziativa di Federico Barbarossa.

Poco distante da questo ospedale, o xenodochio appunto, venne eretto in epoca imprecisata un edificio sacro, le cui tracce si possono probabilmente riscontrare nell’affresco ancora esistente su un lato della chiesa, raffigurante la “Beata Vergine in Gloria con i santi Sebastiano e Rocco”, attribuita ad Andrea Mainardi detto il Chiaveghino o a Giulio Calvi detto il Coronaro, opera cinquecentesca di scuola cremonese.

Del passato, almeno a livello di tracce materiali, non resta pressoché nulla. Ma la storia, quella, rimane indelebile e getta le sue radici, appunto, al celebre imperatore Federico Barbarossa. L’assetto definitivo in stile barocco del sacro edificio è del 1744, anno in cui furono anche costruite le volte e in particolare la loro fastosa decorazione, opera del pittore cremonese Domenico Joli, che la eseguì nell’anno 1756.

Parallelamente vennero eretti anche gli altari laterali, dedicati alla Vergine e al santo patrono. L’imponente chiesa di San Pietro fu poi oggetto di un radicale intervento di rinnovamento decorativo svoltosi tra il 1948 ed il 1966, cui furono chiamati ad operare fra i maggiori artisti cremonesi dell’epoca, fra cui Mario Busini, Giuseppe Moroni, Dante Ruffini e Giovanni Misani, che hanno lasciato un significativo esempio artistico di arte sacra del territorio.

L’intervento ha toccato la decorazione delle volte, la realizzazione dei nuovi altari, dell’area battesimale e del nuovo altare maggiore, cancellando quasi completamente il precedente assetto barocco il cui impianto, tuttavia, resta quello di 280 anni fa: un anniversario che non può certo passare inosservato. Da non dimenticare infine la Via Crucis realizzata nell’anno 2005 dal pittore torrigiano Angelo Bertolini.

Oggi San Pietro in Mendicate, dove sono ancora ben visibili, nei locali adiacenti la chiesa, i danni causati dalla tromba d’aria di qualche anno fa, conta un numero decisamente sparuto di abitanti ma il luogo è ricco di fascino, di mistero, e di pace, impreziosito da questa importante chiesa, che da secoli svetta sulla Postumia e sul Delmona, come una “ammiraglia” che in silenzio continua ad accompagnare le vicende quotidiane della gente nata e cresciuta all’ombra del suo campanile.

Suggestivi i paesaggi dati da tutto l’insieme e ricca di fascino, appunto, la storia che getta le proprie radici a quasi mille anni fa, a quel Federico Barbarossa, appunto, del quale in terra casalasca restano tracce non indifferenti. Una è appunto questa di San Pietro in Mendicate; l’altra è quella della non distante Scandolara Ravara dove sorge la splendida chiesa di Santa Maria della Pace (da tutti più conosciuta come Chiesa vecchia) la cui origine è avvolta dall’ignoto. Il documento più antico riguardante questa chiesa è del 1132 quando si fa riferimento ad una cappella di Santa Maria che passò sotto la giurisdizione del monastero cluniacense di San Gabriele a Cremona.

All’epoca di Federico Barbarossa (1155 – 1190) risale di certo un ampliamento testimoniato, ancora oggi, dall’iscrizione posta all’altezza della cappella dedicata alla Beata Vergine delle Grazie. C’è un po’ di Federico Barbarossa anche a Casalmaggiore. Giusto ricordare infatti il meraviglioso quadro di Giuseppe Diotti, conservato in municipio, ded. L’azione del Giuramento, in questa opera del Diotti, è inscenata in una sala gotica con pareti lapidee e ornati scultorei. Sala che è dominata dalla statua di papa Alessandro III, autore di una bolla pontificia con cui autorizzava l’abate dell’abbazia benedettina di Pontida a convocare nel 1167 i rappresentanti dei Comuni lombardi avversi all’imperatore Federico Barbarossa. Fra questi personaggi che si giurarono mutuo aiuto, convincendosi a deporre le rivalità e a costituirsi in Lega Lombarda, Diotti scelse di sottolineare la concitata gestualità del conte Bongo, ambasciatore bergamasco a cui il Barbarossa aveva violato una figlia che poi si era uccisa per la vergogna: in segno di protesta questo padre alza un coltello. A lui, come all’ambasciatore di Crema, particolarmente sdegnato perché Barbarossa aveva da pochi anni raso al suolo la città al termine dello storico assedio avvenuto tra il luglio del 1159 ed il mese di gennaio del 1160 (con contrapposti l’esercito del Barbarossa e gli alleati italiani delle milizie cremasche e milanesi), un frate fa cenno di calmarsi in nome dei principi cristiani che impongono di bandire le vendette private. Di lì a poco, nel 1176, l’esercito della Lega Lombarda avrebbe sconfitto il Barbarossa nella battaglia di Legnano e nel 1182 si sarebbe giunti alla famosa Pace di Costanza che di fatto riconosceva autonomia ai Comuni italiani, la possibilità di fare leggi entro il proprio territorio e di avere un proprio esercito.

Fra pagine di storia, paesaggi suggestivi tra il Delmona e la Postumia, ecco dunque queste indelebili tracce ultrasecolari che riconducono alla straordinaria figura di Federico Barbarossa, senza dimenticarne il nipote, l’imperatore Federico II di Svevia, universalmente noto come lo “Stupor Mundi” che con Cremona aveva decisamente un rapporto stretto ed era di fatto di casa. A Cremona, infatti, aveva sua corte quando si trovava nel Nord d’Italia, vi celebrava i suoi trionfi e indiva le diete. Tra il 1236 ed il 1250, Cremona e Pavia furono di fatto, a pieno titolo, le capitali imperiali nel Nord Italia per Federico II di Svevia, anche se ad oggi resta un mistero l’edificio cittadino in cui soggiornava, con gli storici e gli studiosi divisi tra la zona di San Lorenzo e quella posta a ridosso della chiesa di Sant’Agata. Un mistero in più che carica di fascino e di interesse le vicende cremonesi, e casa lasche, di questi due indimenticati e leggendari imperatori.

Eremita del Po, Paolo Panni

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