Zibello e la poesia della natura:
spuntano le viole a San Luigi
Sono sbocciate con un paio di mesi di anticipo, regalando un tocco di colore e di grazia. Su un muro non casuale perché si tratta della cinta esterna di quella autentica ammiraglia del Po che è la chiesetta di San Luigi Gonzaga
Bisogna scoprirle in silenzio, ed in cammino, le terre di fiume. Non c’è tempo, orario, né stagione migliore. Ogni momento è buono, perché in ogni istante ed in ogni luogo, sull’una e sull’altra sponda, le terre del Po non finiscono mai di stupire e di meravigliare. Perchè, del resto, è il Creato stesso, nella sua straordinarietà, che non finisce mai di sorprendere e di regalare curiosità.
Occorre silenzio (di questi tempi tanto necessario quanto prezioso) ed occorre osservare, cosa ben diversa dal semplice guardare. Perché osservando e scrutando i particolari si possono scoprire, in ogni dove, piccole grandi meraviglie. Come accade in questi giorni a Zibello dove, a ridosso di una muraglia a due passi dal Grande fiume, in piena golena, sono spuntate le viole, come a voler annunciare una primavera che, in realtà, è ancora distante.
Sono sbocciate con un paio di mesi di anticipo, regalando un tocco di colore e di grazia. Su un muro non casuale perché si tratta della cinta esterna di quella autentica ammiraglia del Po che è la chiesetta di San Luigi Gonzaga, grazioso cenobio che svetta lungo l’argine consortile del Tombone, da decenni posta a vedetta del fiume e della storica Lanca ad Barnòn, nel luogo in cui l’indimenticato Walter Berzioli, da tutti meglio conosciuto appunto come Barnòn, per anni ha costruito le sue straordinarie barche da Po.
La chiesetta in questione, immortalata da un numero incalcolabile di fotografi in miriadi di fotografie, fu fatta erigere nel 1926 da Luigi Bianchi, presidente della congregazione-confraternita Terziaria della parrocchia di Zibello, per celebrarvi le sue terze nozze, non avvenute per una grave malattia che minò la salute del fondatore trascinandolo a prematura morte.
Il piccolo edificio, pur nella modestia della mole e dei dintorni, presenta una architettura pretenziosa ispirata al classicismo. L’ingresso è preceduto da un vestibolo con fronte triangolare sostenuto da due colonne e delimitato da un basso muricciolo con facciata improntata allo stile romanico, falsato tuttavia da pinnacoli delle fiancate e da quello centrale, che è sormontato da una piccola croce.
L’interno è a pianta rettangolare con santuario lievemente più ristretto. Fino a non molti anni fa vi si celebrava, una volta l’anno, in estate, una messa in memoria di coloro che hanno perso la vita in Po (alcuni di loro sono ricordati all’interno della chiesetta). Funzione purtroppo caduta da diversi anni nel dimenticatoio e mai più riproposta (il triste destino toccato a diverse tradizioni).
Chissà che le viole sbocciate in pieno inverno, mentre tutt’attorno si intravedeva una leggera galaverna (che si è disciolta al primo raggio di sole), non siano un piccolo segno (ed i segni sono da cogliere) sbocciato per chiedere il ritorno della celebrazione in memoria delle vittime del Po e per ricordare a tutti che, fra un paio d’anni, ricorrerà il primo centenario della chiesetta.
Appuntamento, anche questo, da ricordare e da celebrare, magari anche col restauro delle lapidi che, sull’esterno della chiesetta, anni fa aveva fatto posizionare l’indimenticato dottor Giuseppe Riccardi, a lungo medico condotto del paese (e medico personale dello scrittore Giovannino Guareschi) che per tutta la vita si è fattivamente e concretamente adoperato sia per la salute della sua gente che per la salvaguardia della storia locale, dando anche vita ai musei locali dedicati alla civiltà contadina e ai reperti bellici che potranno essere presto valorizzati a conclusione dei lavori di sistemazione e restauro dell’ex convento domenicano (dove i musei hanno sede) avviati da poche settimane.
Eremita del Po, Paolo Panni