Cultura

Epifania 2024, 990 anni dalla morte
di Adalberto II degli Obertenghi...

Chissà che, in vista dei mille anni della morte di Adalberto II e dei mille anni di erezione della chiesa/monastero, Parmense e Cremonese non possano unire le forze per andare alla ricerca e alla riscoperta di un pezzo di storia importante della storia delle nostre terre

L’Epifania 2024 segna un anniversario significativo per la storia dei nostri territori, cremonese e casalasco compresi. Ricorre infatti il 990esimo anniversario della morte del marchese Adalberto II degli Obertenghi, marchese di Massa, duca del Lazio e capostipite della famiglia Pallavicino, una delle maggiori e più antiche casate feudali dell’Italia Settentrionale, annoverata anche come uno dei rami più fiorenti (insieme ai Malaspina e agli Estensi) dell’antichissima stirpe obertenga.

Ebbero potere, i Pallavicino, proprio nell’area tra Cremona, Parma e Piacenza, in cui costituirono uno Stato (detto appunto Stato Pallavicino comprendente Busseto, Zibello, Polesine, Cortemaggiore, Monticelli d’Ongina ecc.), che godette di indipendenza per secoli. Gli Obertenghi erano invece una dinastia longobarda che prese avvio da Oberto I, marchese di Milano e di Genova, conte di Luni, di Tortona, Genova e Milano e reggente della Marca che nel X secolo da lui prese nome, la Marca Obertenga.

Il territorio della Marca comprendeva la Lombardia (con la Svizzera Italiana), l’Emilia ad esclusione di Bologna (poi si aggiunse anche Ferrara), parte del Piemonte (Novara, Tortona e l’Oltregiogo con Novi Ligure, Ovada e la val Bormida) e parte della Liguria e della Toscana, dal Genovesato fino alla Lunigiana e alla Garfagnana, e poi indirettamente anche la Corsica e parte della Sardegna.

Gli appartenenti alla famiglia avevano il titolo onorifico di Principi di San Colombano. Tra i cosiddetti rami cadetti degli Obertenghi c’erano anche i Cavalcabò, antica famiglia feudale di parte guelfa e di origine appunto obertenga, che per alcuni decenni del XIV secolo dominò la città di Cremona. La famiglia Cavalcabò, considerata la più antica ed illustre della città, risale a sua volta a Oberto I Obertenghi, conte di Luni.

Secondo la tradizione Adalberto II Obertenghi, nato a Luni nella seconda metà del secolo X morì, pare, a Busseto, il 6 gennaio 1034 (data comunque approssimativa). Era figlio di Oberto III (morto nel 996) e nipote di Adalberto I degli Obertenghi ed ottenne dall’imperatore del Sacro Romano Impero Corrado II il Salico l’investitura della contea di Aucia e di Busseto, dove si stabilì, facendone la capitale del marchesato, ampliando il borgo, fortificandone le mura ed erigendovi il castello.

Ebbe numerosissimi possedimenti in Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia e Toscana con le contee di Milano, Pavia, Como, Bergamo, Brescia, Verona, Tortona, Acqui, Alba, Piacenza, Parma, Reggio, Modena, Luni, Pisa, Volterra e Arezzo. Sposò Adelaide, figlia del conte Bosone di Parma con la quale fondò la chiesa abbaziale e il monastero di Castione Marchesi, frazione di Fidenza. Luogo, quest’ultimo, che può dirsi di fatto la capitale primordiale dello Stato Pallavicino anche se, purtroppo, il titolo di capitale non le è mai stato riconosciuto.

La costruzione del monumentale complesso iniziò nel 983 per finire nel 1020 mentre la consacrazione avvenne nel 1033. Adalberto II morì nel 1034 circa e fu sepolto nel monastero di Castione da lui voluto e nel quale ancora esiste la sua lapide sepolcrale. E’ appunto questa che attesterebbe la morte avvenuta il 6 gennaio 1034. Questa fu rifatta fra il secolo XV ed il XVI ed è murata sul fondo della chiesa abbaziale. Chiesa nella quale, con ogni probabilità, si trova ancora la sepoltura del capostipite dei Pallavicino (Adalberto II Obertenghi, appunto), mai ritrovata.

Tra l’altro la tradizione suggerisce la possibilità che il marchese avesse attuato il progetto per pietà cristiana ma anche per acquistare meriti dinnanzi a Dio in previsione della fine del mondo che, secondo la credenza popolare, sarebbe dovuta avvenire allo scoccare del millesimo anno del’Era di Cristo. Il complesso monastico fu inizialmente donato ai benedettini ai quali il fondatore, come ricorda anche Germano Meletti, da anni studioso ed appassionato di storia locale che, alla sua terra (Castione Marchesi) ha dedicato (tra le altre cose) un corposo e soprattutto prezioso studio, destinò “il compito di ribonificare quei territori e renderli nuovamente coltivabili, correva il X secolo.

Proprio Castione Marchesi – ribadisce Meletti – è stato il primo punto toccato dai Pallavicino, praticamente la prima capitale, anche se mai dichiarata, di quello stato che con il tempo doveva dipendere da capitali come Busseto e nella fase terminale del suo splendore, Cortemaggiore”.

Successivamente il complesso monastico passò agli olivetani (dei quali restano ancora i simboli evidenti nel chiostro). Il 990esimo anniversario della morte del capostipite dei Pallavicino, visti i legami di questi ultimi con il Cremonese e, considerato soprattutto il fatto che dagli Obertenghi è nata anche la dinastia dei Cavalcabò, è certamente una ricorrenza che non può passare inosservata e non si può che auspicare che, soprattutto in previsione dei mille anni della morte, siano avviate verifiche ed eventuali scavi volti a ritrovare il sepolcro del fondatore. A riguardo, di nuovo Germano Meletti, nel suo lungo scritto ricorda che “alcune decine di anni fa, durante scavi nei sotterranei del complesso chiesa-monastero, vennero alla luce fondamenta, risalenti certamente all’epoca bizantina, di un edificio ben più piccolo di quello esistente, tale basamento era inclinato di 45° rispetto all’attuale costruzione voluta da Adalberto II degli Obertenghi, niente di più probabile che appartenessero a quel vecchio piccolo tempio.

Per la nuova costruzione venne scelta una specie di collinetta, che altro non era che il cumulo di sedimenti rimasti da quasi 1.500 anni di permanenza del villaggio palafitticolo risalente all’età del bronzo. Tale costruzione iniziò nel 983 ed era composta dall’attuale complesso chiesa-monastero, con la bellissima chiesa in puro stile romanico, ad essa era collegato il convento che ospitava i Monaci Benedettini, proprio essi ricevettero da Adalberto II la consegna per la costruzione del grosso complesso. La parte retrostante era dotata di un bellissimo chiostro a forma di quadrilatero, di cui oggi restano solo il lato nord e quello ovest”.

Sempre Meletti, attingendo alle sue personali memorie, ricorda che “quando facevo il chierichetto, nei primi anni ’60, notai la presenza di assi di legno appoggiate davanti all’altare, apparentemente a coprire un buco, praticamente come le assi messe a coprire la buca di un meccanico. Io, con la normale curiosità di un bambino, chiesi a Don Enrico Sagliani il perché della presenza di quelle assi, lui mi rispose: “Perché così il sacerdote non sente freddo ai piedi mentre celebra la messa”.

Era chiaro che quella risposta nascondesse altro e ricordando la frase dell’epigrafe “…. in questo luogo è sepolto” ricercai per anni motivi per la presenza di buchi, assi a coprirli e risposta del parroco. Giunsi a conclusione che lì sotto si celava il sepolcreto che conteneva, sempre con ragionevole certezza seppur non assoluta, la salma imbalsamata di Adalberto II Degli Obertenghi al centro ed intorno tre Monaci Benedettini su altrettanti troni disposti intorno, anch’essi imbalsamati”.

A detta dello storico locale gli archi semicoperti che si trovano all’esterno della chiesa, all’altezza dell’abside, dovrebbero e potrebbero portare al sepolcreto. Chissà che, in vista dei mille anni della morte di Adalberto II e dei mille anni di erezione della chiesa/monastero, Parmense e Cremonese non possano unire le forze per andare alla ricerca e alla riscoperta di un pezzo di storia importante della storia delle nostre terre.

Eremita del Po, Paolo Panni

© Riproduzione riservata
Caricamento prossimi articoli in corso...