Cronaca

Peppone e il campo largo
(di Giuseppe Caleffi)

L’arrivo di Silvio Berlusconi in Cielo cambiò molto del consueto tran-tran celeste. I funerali erano stati un evento di popolo e i residenti della ZTL milanesi non avevano visto di buon occhio l’arrivo del popolo di Berlusconi. Spesso, però, occorre fare buon viso a cattivo gioco. Lui non aveva potuto assistervi, perché l’anima, come sappiamo, se ne diparte all’istante.

Anche lui quindi, giunse al cospetto di San Pietro e questi s’accorse subito che non era un caso come gli altri. Già il modo come si era presentato, con quel saluto amichevole alla Benigni versione Festival, convinse San Pietro a chiedere lumi direttamente a Dio.

Ho qui una patata bollente, non è che se ne può occupare direttamente Lei?”.

Mandatelo direttamente da me, me ne occuperò Io”. Così Berlusconi arrivò direttamente in Paradiso, ma qui cominciarono i problemi.

Tra una gomitata, una barzelletta e una battuta, quasi lo scalzava dal trono, gli Angeli poi non se li filava proprio, perché, essendo di sesso incerto, li considerava di sinistra. Si trovava bene solo con Maria ed Eva, con cui passeggiava e discorreva in modo galante, ma provocando al contempo l’irritazione di San Giuseppe e di Adamo. Dio doveva prendere una decisione e al più presto.

Nel Paradiso non poteva tenerlo, perché sarebbe stato un venir meno clamoroso ai suoi principi: dei 10 comandamenti uno sicuramente non l’aveva rispettato. Decise allora di permettergli di poter vagare tra Paradiso, Purgatorio e Inferno, privilegio che non aveva concesso nemmeno a Virgilio che alle porte del Paradiso dovette fermarsi.

E il primo giro, saltando a piè pari il noioso Purgatorio, lo fece all’Inferno per incontrare… proprio Peppone. Tra “la sai l’ultima sul PD?”, quella “ci sono sei candidati uomini alle elezioni e una donna, chi vince?”, Peppone era sempre più irritato. Anche il modo in cui si presentava “On. Bottazzi, sono l’On. Berlusconi, mi consenta se…”, gli faceva capire che in Italia era successo qualcosa di grave.

Lui era rimasto alla sua cacciata dal Senato. Gli sguardi mogi dei compagni che arrivavano gettando le braccia in basso gli confermavano la sua impressione. Ciò che però gli fece ribollire il sangue dentro fu la notizia che gli diede un compagno di Roma e cioè che la segretaria del Partito non sarebbe andata al dibattito con colei che aveva vinto le elezioni. Doveva lasciare l’inferno, ma come fare a ritornare sulla terra?

Don Camillo, che lo aveva sempre aiutato, era rimasto in terra e il suo sospetto che dietro la vincita di questa Giorgia Meloni ci fosse il prete non glielo toglieva nessuno. Idea. Lo chiese a Silvio Berlusconi, unico in quel frangente a poter intercedere con l’Altissimo. “Ghe pensi mi!”, gli rispose e in men che non si dica Peppone si ritrovò a Roma.

D’abitudine comprava per prima cosa il giornale. Si fermò alla prima edicola e fu attirato dall’immagine di un generale. In effetti ne aveva sentito parlare da giovani soldati prematuramente dipartiti a causa dell’uranio impoverito, per cui incuriosito avvicinò la mano al libro quando un signore corpulento gli urlò: “Si vergogni è transfobico!”. Lui non conosceva il significato di questo termine, ma dal tono capì che era meglio soprassedere e si limitò a: “lei l’ha letto?”. “No, ma lo dice Repubblica!”.

Già La Repubblica, sapeva che da quando non usciva più L’Unità assieme a La Stampa era il giornale del Partito. La Stampa, però, proprio non riusciva a comprarla. Erano ancora troppo presenti nella sua mente i ricordi degli eroici picchetti a Mirafiori, quando coi compagni sbeffeggiavano “la busiadra”, i cortei contro gli Agnelli, l’occupazione delle Fiat con Enrico Berlinguer!

La Repubblica, però, doveva comprarla, anche se ogni volta, al primo tatto della mano, gli prendeva un formicolio che continuava nel braccio, poi in tutto il corpo, ma alla fine spariva. La stava acquistando quando… gli luccicarono gli occhi, la vide, c’era! “Due copie de L’Unità “ disse al giornalaio. “Due?” rispose quello. “Sì, una per me e una per Berlusconi, che voglio che sappia che il Partito è vivo!” “Quel canchero” pensò “me lo aveva tenuto nascosto”.

L’arrivo al Nazareno

Ormai la strada per la sede nazionale la conosceva bene. Il programma della giornata l’aveva in testa. Riunione del Campo Largo, pranzo di lavoro, incontro con Don Camillo e dibattito con Giorgia Meloni. Arrivò alla sede, salutò il portiere e notò una forte assomiglianza…”Ma tuo padre era Lo Smilzo?” gli chiese “Non faccia il furbo” rispose quello “Io conosco Genitore uno e Genitore due” “e tre!” rispose Peppone che considerò la risposta come una battuta.

Fu comunque indirizzato alla sala grande, ma la strada la conosceva. Passò davanti alla porta della direzione e vi trovò la scritta: “Beauty hall”, in quella della segretaria: “armocromista”, poi tutta una serie di asterischi di cui non capì il significato. Si sedette comunque nel salone assieme agli altri membri della direzione. Su uno schermo giganteggiava il bacio fra Fedez e Rosa Chemical e questo lo rincuorò ricordandogli il famoso bacio fra Breznev e Honecker.

I dirigenti c’erano ormai quasi tutti. C’era Bonelli per i Verdi, anche se la sedia a fianco era vuota, perchè la portavoce donna aveva litigato accusandolo di maschilismo e patriarcato, di fianco Fratoianni, che nascose dietro i tendaggi un paio di stivali di gomma ancora infangati, poi Giuseppe Conte, che notò non avere la famosa pochette che lo aveva reso famoso in Tv, ma vestiva sportivamente in jeans e una maglietta United colors of Benetton, naturalmente Elly Schlein e di fianco pure Renzi e Calenda, ma divisi da una lastra in plexiglass.

Atteso ma in notevole ritardo Maurizio Landini. Arrivò tutto trafelato e con il volto e i vestiti macchiati. Mentre si dirigeva alla presidenza, ma questo lo notò solo lui, la Schlein fece il classico gesto scaramantico napoletano! “Compagn” esordì “Sono andato a una mostra d’arte e i compagni di “Ultima generazione”, mi hanno inavvertitamente colpito, ma tranquilli, è tutto biodegradabile!”.

Bonelli premurosamente si avvicinò con un fazzoletto che aveva intinto in acqua e limoni biologici, Conte estrasse dalla tasca la pochette, Elly Schlein chiamò l’armocromista personale che provò con un mascara svizzero, ma le macchie restavano. Niente da fare. Fu allora che Peppone, spazientito, si alzò e urlò : “Pusibil c’al Parti al gabia mia un busten d’acqua ragia?” . Acqua ragia! Evocare un fossile in una riunione del campo largo… Peppone capì che non era giornata e poi il suo orologio biologico gli diceva che era mezzogiorno passato.

La cucina del Campo largo e l’incontro con Don Camillo

Si recò perciò al ristorante interno e cominciò a girare con il cabaret per scegliere. Zuppa di fagioli, lenticchie, vellutata di zucca, hamburgher di soia, insalata con germe di grano e vè, cosa vede? Cappelletti vegani, ma letto che erano senza carne e formaggio proseguì, finchè notò delle bellissime fiorentine. Si avvicinò, erano perfette, tanto che, parafrasando Marx non risparmiò un commento: “Compagno, mi dia quella mi sembra rappresenti l’astrazione della fiorentina”. Si sedette, cominciò a mangiare e…dopo i primi morsi “Mah, la sembra ad plastica…”. “Compagno” chiese sottovoce al vicino di tavolo che sembrava inghiottisse giuramenti, “sa per caso da dove viene questa carne?” “Questa è carne coltivata, è il futuro e viene da Bruxelles”.

Lui Bruxelles lo conosceva solo per i cavoletti che non erano mai stati il suo forte. Decise quindi di uscire anche perché s’avvicinava l’appuntamento con Don Camillo, non prima, naturalmente, di aver ritirato un panettone Balocco che il Partito offriva gentilmente a tutti i partecipanti per le festività. Don Camillo era davanti all’ingresso, in abito talare, con un sorriso più grande della sua faccia. “Compagno Bottazzi” esordì “non vorrei essere impertinente, ma la vedo un po’ confuso e patito, problemi? Lo sai che col tuo Don Camillo puoi sempre confessarti!”.

Mai e poi mai avrebbe criticato il partito con Don Camillo, da una riga ne nasceva un poema. Salì in auto e gli disse di accompagnarlo all’incontro. Il breve tragitto fu come una riedizione de Il Federale: Buca, Pozzanghera. I due si divertirono come ai vecchi tempi.

Arrivati alla festa Peppone, che si era sistemato L’Unità nella tasca della giacca con l’apostrofo rosso in bella vista, rimase meravigliato. Se non fosse stato che le bandiere erano tricolori e non rosse, avrebbe pensato di essere tornato a una festa del suo Partito. “cosa gradisce il nostro compagno?” gli chiese ironicamente Don Camillo. E Peppone, con aplomb unico, ordinò: assaggio di carbonara e matriciana, abbacchio con patate (della Maiella gli fece notare Don Camillo), contorno di carciofi alla Giudea (è vero pensò, gli israeliani sono imperialisti, ma anche là ci sono dei comunisti) e trilogia di dolci.

Non ordinò lambrusco immaginando che quei destroidi il vino delle Riunite non lo tenevano. E per finire caffè e Wodka – russa specificò – a parte. Così rifocillato era pronto per l’atteso dibattito con Giorgia Meloni.

Giuseppe Caleffi – Direttore Casa Museo Antonio Ligabue di Gualtieri

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