Diffamarono l'anestesista Mario
Riccio. Condannati due consiglieri
Si è chiuso con una sentenza di condanna il processo per diffamazione nei confronti dell’ex assessore ai Servizi Sociali del Comune di Casalmaggiore (in carica all’epoca dei fatti) Gianfranco Salvatore e del consigliere di maggioranza Marco Poli ai danni di Mario Riccio, responsabile dell’unità operativa di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale Oglio Po, consigliere generale dell’associazione “Luca Coscioni” e membro della Consulta di Bioetica. Il giudice, accogliendo la richiesta del pm, ha condannato i due imputati, assistiti dai legali Elisa Carpi, Francesca Sinelli e Alberto Fontana, a mille euro di multa ciascuno, pena sospesa e non menzione.
Nel procedimento, Riccio, noto per aver aiutato a morire Piergiorgio Welby e per aver seguito da vicino i casi Englaro, Dj Fabo e Ridolfi, era parte civile attraverso gli avvocati Paolo Antonini e Valeria Bini. I danni saranno da liquidarsi in un separato giudizio civile, ma intanto il giudice ha disposto una provvisionale di 10.000 euro.
I due imputati, dunque, sono stati ritenuti colpevoli di aver diffamato il medico tramite commenti pubblicati su un articolo di stampa online e riferiti ad una dichiarazione resa da Riccio il 24 gennaio del 2019 sulla modifica della legge sul testamento biologico, nel rispetto della volontà dei pazienti liberamente espressa nelle disposizioni di trattamento anticipate. In quell’occasione, Riccio aveva segnalato l’impossibilità di fruire di tali disposizioni poiché la proposta modifica normativa comportava che le dichiarazioni dovessero essere depositate al comune di nascita e non al comune di residenza, preannunciando che lui avrebbe comunque rispettato le volontà dei pazienti contenute in qualsiasi documento ritenuto valido, al di là del suo deposito presso un ufficio di stato civile.
Nella lettera aperta “Obbedienza civile? La morte per compassione stia lontana dall’OglioPo”, i due consiglieri comunali avevano associato le sue dichiarazioni al famoso programma T4, il programma nazista di eutanasia che prevedeva la soppressione di persone affette da malattie genetiche inguaribili e di portatori di handicap. “Ecco che un medico”, è una delle frasi pubblicate, “anzichè farsi prossimo in fedeltà al giuramento di Ippocrate, si offre di diventare carnefice”. Per Riccio, quelle affermazioni avevano paragonato il suo operato a quello di un “pericoloso nazista”, ed era partita la querela per diffamazione aggravata a mezzo stampa.
“Un articolo offensivo”, lo ha definito il pm. Di “offese palesi, percepibili da qualunque lettore medio”, ha parlato a sua volta l’avvocato di parte civile, richiamando la “portata maligna e offensiva” di alcune parole, come “carnefice” e le assonanze con “eutanasia” e “programma nazista”. “Il mio assistito”, ha sottolineato l’avvocato Valeria Bini, “ha fatto delle dichiarazioni su un aspetto meramente burocratico, e si è visto vittima di offese gratuite come professionista e come uomo. Lui, che ha il compito di rianimare le persone, la sua figura è stata messa in discussione, e questo è inaccettabile”. “Un danno personale”, lo ha definito il legale, che ha chiarito che “Riccio non ha agito in spregio delle leggi, tanto che non è mai stato sottoposto ad alcun provvedimento disciplinare. Le sue dichiarazioni sono state travisate e strumentalizzate per screditarlo”.
Ad inizio di udienza, entrambi gli imputati avevano reso dichiarazioni spontanee: “Le affermazioni forti del dottor Riccio ci avevano molto colpito e ci avevano indotti ad esprimere il nostro punto di vista”, ha detto Gianfranco Salvatore. “La missione dei medici è quella di curare, non di effettuare o favorire trattamenti finalizzati a creare la morte. Tutti i malati possono e devono essere curati, e l’appello di Riccio, in forte conflitto con la mia visione di queste cose, mi aveva molto preoccupato”.
“Non era nostra intenzione quella di offendere”, ha rilanciato a sua volta Marco Poli, che ha parlato di “diritto di critica”. “Il nostro attacco non era alla persona, ma al metodo di agire prospettato da Riccio”. “Non ci sono insulti”, hanno insistito i legali della difesa, “nessuno ha dato a Riccio del nazista. Non si tratta di un’offesa personale, ma di una critica fatta per uno spunto di riflessione, richiami forti a fatti storici per sollecitare e scuotere l’opinione pubblica, ma senza attacchi personali”. “D’altra parte”, hanno sottolineato i difensori, “Riccio invitava gli altri medici alla disobbedienza civile. Che cosa è questo, se non andare contro la legge?. In tutte le sue uscite pubbliche, Mario Riccio non ha mai disdegnato di essere stato il medico che ha staccato la spina a Welby. Quello degli imputati era esclusivamente diritto di critica”.
Ma il giudice non è stato del medesimo avviso. La motivazione della sentenza sarà depositata entro 90 giorni.
Il 15 maggio del 2019 la procura di Cremona aveva chiesto l’archiviazione del caso, ma Riccio si era opposto. Il primo ottobre 2020 il gip gli aveva dato ragione, ritenendo “il testo pubblicato palesemente diffamatorio già dall’incipit”: “Abbiamo trovato non casuale e sinistro il fatto che sia stata rilasciata nell’immediata ricorrenza del Giorno della Memoria”, avevano scritto i due assessori. “Come non associare questa dichiarazione con il tristemente famoso programma T4…”. “Di fatto”, aveva osservato il gip, “l’articolo richiama invero alla mente del lettore una pagina drammatica della storia mondiale ed induce il lettore medio a reinterpretare in maniera distorta la dichiarazione di intenti del querelante, attraverso una forma espositiva che appare dunque inadeguata, sovrabbondante e gravemente infamante”.
Sara Pizzorni