Opinioni

Amore: cammino da condividere:
la vita sia rispetto e non violenza

Ci renderemo conto così che non c’è amore dove c’è violenza; non c’è amore dove c’è solitudine; non c’è amore dove c’è oppressione; non c’è amore dove c’è ossessione; non c’è amore dove si vuole possedere l’altro; non c’è amore dove c’è supremazia; non c’è amore dove c’è offesa

Doveva andare tutto bene e dovevamo diventare tutti migliori, così almeno recitavano alcuni slogan solo una manciata di anni fa. Dovevamo essere figli del progresso, di una civiltà super tecnologica, dove tutto insomma doveva essere quasi perfetto e meraviglioso. Slogan, sì, e belle intenzioni ma è giusto far buona memoria di quel vecchio detto popolare che afferma che la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni, mentre quella per il Paradiso è fatta di buone opere.

La realtà oggi evidenzia che siamo in una società insanguinata, falcidiata da femminicidi e guerre, conflitti e crimini efferati. Una società in cui, nonostante le belle parole e le buone intenzioni, dilagano cattiveria e prepotenza, violenza, odio e incapacità di saper distinguere il bene dal male. Una società dalla quale, chi scrive queste righe, cerca di distaccarsi sempre di più. Non certo per una volontà di essere migliore (ci mancherebbe) e nemmeno diverso, ma per la semplice e pura esigenza di voler stare in disparte, di non voler far parte di un triste palcoscenico dove non si dipana altro che miseria umana.

Ecco quindi la scelta di stare sempre di più in mezzo alla natura, tra argini e campagne, spiaggioni e colli. Il Creato, dal fiume ai monti, è un grande maestro nell’insegnare il rispetto per la natura, della quale fanno parte anche le donne e gli uomini. E’ maestro il silenzio che ti porta a ricordare ciò che ti è stato narrato e descritto. Come il matrimonio di Aldo che, da San Daniele Po, per il suo viaggio di nozze decise di portare la moglie a Cremona, trasportandola sulla canna della bicicletta, all’epoca l’unico mezzo possibile. Non erano mai stati in città, nonostante la vicinanza, e per loro quello fu un grande viaggio, alla scoperta di un luogo mai visto prima, tra palazzi austeri e maestose chiese.

Ho pensato a mio nonno, che di nome faceva Armando, e mi raccontava che l’unica sera in cui portava fuori la moglie, durante l’anno, era quella della fiera paesana e, in quell’occasione, le offriva il gelato. Gli altri giorni si stava a casa perché c’era da lavorare la terra e accudire la stalla fino a tarda sera, e non c’erano né sabati né domeniche.

Ho pensato a Gino, un signore ottuagenario conosciuto, qualche anno fa, durante una escursione in montagna alla scoperta di un paesino dove, da più di mezzo secolo, non vive nessuno. Lui, Gino, mi aveva dato le indicazioni per arrivarci; del resto lui vi era nato e mi aveva raccontato che, da ragazzo, poteva avere qualche ora libera solo la domenica pomeriggio quando, di buona lena, a piedi, raggiungeva un altro villaggio, a mezzora di salita, in cui oltre a poche case sorgevano una osteria che faceva anche da scuola e abitavano solo poche decine di persone. Lì, e non avrebbe potuto fare diversamente, aveva conosciuto la ragazza che sarebbe poi diventata sua moglie, compagna di qualcosa come una sessantina di anni insieme, tutti vissuti lì, in quel piccolo grande mondo arroccato tra i colli.

Non si erano mai mossi, non avevano mai visto, in vita loro, cosa sorgeva oltre quella valle e non sapevano nemmeno come fosse fatta una città, se non per averne sentito parlare. Ma non avevano il bisogno di spostarsi perché lì avevano tutto il necessario, e anche di più.

Ho pensato a tutte quelle coppie che si sono conosciute ed hanno mosso i primi passi delle loro relazioni intorno al fiume, durante una scampagnata sugli argini o all’ombra di una vecchia quercia o al riparo di un vetusto fienile. Luoghi in cui hanno anche concepito figli e figlie, coronando il loro legame.

Oggi non si va nemmeno più in camporella, come si dice da queste parti. Sono, quelle citate (ma se ne potrebbero elencare tante altre), storie di vita semplice, vere, genuine e soprattutto pure. Storie di gente che ha saputo e voluto prendersi cura l’uno dell’altra, senza chiedere nulla in cambio, senza pretendere, né imporre e senza prevaricare. Si è spesso detto che andava meglio quando andava peggio, ed anche questo lo dimostra.

Oggi, pur avendo tutto, pur avendo la possibilità di fare il “giro del mondo” pigiando sui tasti di un pezzo di ferro, convinti di poter allargare il raggio delle nostre conoscenze e delle nostre amicizie, si è costruita la civiltà della solitudine. Si rammenti bene che non è solo colui che fisicamente si trova in un luogo in cui non c’è anima viva; spesso è solo chi si trova in mezzo al caos, alla moltitudine delle persone e magari è trincerato, a capo chino, in silenzio, a dare priorità ai pezzi di ferro (leggasi telefonini e affini). Si recuperi la bellezza ed il privilegio di stare a contatto con la natura, si comprenda nei fatti il bene della salvaguardia del creato per far maturare, in ciascuno di noi, il senso del rispetto, di tutto ciò che ci circonda e di coloro che ci stanno intorno.

Ci renderemo conto così che non c’è amore dove c’è violenza; non c’è amore dove c’è solitudine; non c’è amore dove c’è oppressione; non c’è amore dove c’è ossessione; non c’è amore dove si vuole possedere l’altro; non c’è amore dove c’è supremazia; non c’è amore dove c’è offesa; non c’è amore dove c’è il ricatto; non c’è amore dove c’è la minaccia; non c’è amore dove si provocano ferite verbali o fisiche; non c’è amore dove non si comprende; non c’è amore dove si toglie la libertà; non c’è amore dove si pensa a fare del male;

C’è amore dove c’è il rispetto; c’è amore dove c’è la volontà di prendersi cura dell’altro; c’è amore dove c’è la consapevolezza di un cammino da condividere con chi è con noi; c’è amore dove si costruisce anziché distruggere; c’è amore dove si impara ad accettare le sconfitte della vita come occasione per iniziare, ogni giorno, ad essere migliori. C’è amore dove si impara ad usare le mani e le braccia per stringere chi abbiamo al nostro fianco e ad usare la testa per averne la consapevolezza. Così, e non con slogan e frasi fatte e nemmeno con minuti di silenzio o di rumore, e neppure con scarpe e panchine rosse (a cosa servono?) se ognuno di noi farà questo lavoro, nemmeno tanto difficile, costruiremo la società dell’amore, del rispetto reciproco e chissà, forse, finiranno anche le guerre.

Eremita del Po, Paolo Panni

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