Cultura

Fiume Po, 72 anni fa la piena del
1951: la lotta nella bassa di Parma

Settantadue anni dopo è certamente significativo ripercorrere i grandi valori che, anche in quella occasione, gli uomini e le donne del Po, emiliani e lombardi, piemontesi e veneti, avevano saputo, come sempre del resto, mettere in campo fornendo molteplici prove di coraggio, generosità, solidarietà e altruismo

Settantadue anni fa i centri rivieraschi del Parmense, da Polesine a Zibello, da Roccabianca a Sissa, da Colorno a Mezzani, e relative frazioni, vivevano una delle pagine più drammatiche e pesanti della loro storia: quella della grande piena del Po del 1951.

Un evento mai dimenticato, di cui sono rimasti tanti ricordi ed immagini, raccontato all’epoca da storiche firme della Gazzetta di Parma: quelle di Alfonso Madeo, Baldassarre Molossi e Aldo Curti. I giorni più difficili furono quelli compresi tra l’8 e il 21 novembre (con i momenti più critici toccati tra il 13 ed il 14 novembre), con il Grande fiume che allagò ettari ed ettari di golene; provocò centinaia di sfollati e fece una quantità notevolissima di danni.

Tra le pagine più dure, quella della rottura dell’argine maestro a Mezzano Rondani, con l’acqua che arrivò ad allagare parte di Colorno, oltre a Copermio, Sacca e Sacchetta; mentre tra i fatti più memorabili, la straordinaria prova fornita dagli abitanti di Stagno di Roccabianca (che all’epoca era immerso in golena) che, a costo di salvare il loro paese dalla furia del Po finirono nell’acqua fino alla cintola utilizzando tutte le difese possibili, ripetendo che piuttosto che far allagare le loro case l’acqua l’avrebbero bevuta tutta.

Il fiume arrivò a toccare gli 8 metri e mezzo sopra lo zero idrometrico e, il giorno 14, la sua portata arrivò a superare i 12mila metri cubi al secondo. L’ex sindaco di Zibello Gaetano Mistura, al quale si deve sempre dire Grazie per il suo immenso impegno nella tutela, nella valorizzazione e nella promozione della storica locale, rendendo pubbliche le memorie del padre Fausto, raccolte nel diario inedito “1951: la Grande Alluvione, ovvero quello che a memoria d’uomo non si era mai visto” in cui, tra le altre cose, si legge che il 10 novembre “Il Po ha cominciato la sua fase terrorizzante e spaventevole, la crescita continua con una media di 4/5 centimetri orari e così di seguito fino alla sera di domenica undici. A sera tardi e per quasi tutta la notte un impetuosissimo vento, torrenziali piogge, tuoni e lampi, han fatto sì da rendere la situazione assai allarmante, tanto è vero che il giorno seguente (12 novembre) il Genio Civile ha dato ordine alle famiglie di Zibello, Pieve, Ragazzola, Polesine, Roccabianca, Stagno abitanti fra l’argine di Comprensorio e l’argine Maestro di evacuare, perché il pericolo poteva essere imminente. Infatti la crescita continua, senza interruzioni, dai cinque ai sei centimetri orari. Le famiglie sfollano premurosamente oltre l’argine Maestro. In qualche modo i proprietari di bestiame collocano i loro animali presso parenti e amici, in capannoni o barchesse e così le loro principali sostanze. Ma gli interessati tentano ugualmente con ogni sacrificio di evitare una sciagura e con sacchi di terra, creste fatte con badili e motori si riesce a tenere l’invasione delle acque in questo territorio e così si lavora intensamente tutta la notte”.

I momenti più drammatici vennero vissuti fra il 13 ed il 14 novembre, con campagne, casolari, edifici totalmente allagati, persone evacuate, altre radunate sugli argini con le loro masserizie; le campane a martello per tener vivo l’allarme. A Pieveottoville, nella chiesetta della “Madonnina del Po” (conosciuta anche come Santa Lucia) si registrarono 80 centimetri d’acqua.

Furono ore drammatiche – scriveva ancora Misturada varie parti si udivano grida; erano persone che chiedevano pietosamente aiuto, da alberi a cui stentatamente avevano potuto giungere ed aggrapparsi; altri a nuoto raggiunsero le più vicine case; altri poterono trarsi in salvo sfidando il pericolo e attraversando l’impetuosa ondata e raggiungere l’argine. Un ottimo giovane, incurante del pericolo, dà mano ad una barca, voga accanitamente, raggiunge i disgraziati e li porta in salvo”.

Ancora nel diario di Mistura si legge che “Purtroppo arriva la tragica sera del 14, quando già si viveva tranquilli e si pensava che ormai il pericolo fosse scongiurato. Appena scoccate le 20.30 si udì dai campanili di Roccabianca, Ragazzola, Pieve suonare campane a martello; le competenti autorità invitavano insistentemente la popolazione ad evacuare, in special modo si raccomandavano le donne, i bambini e vecchi. Nessuno ancora sapeva donde venisse il pericolo, non si sapeva quale via pigliare sembravano tutti istupiditi dallo spavento. La stretta necessità scosse gli animi e si decise sul daffarsi. Si seppe in questo momento che la chiavica di Stagno detta dei “Rami” in località Tolarolo si era ormai resa pericolosissima, anche l’argine ebbe un piccolo cedimento; i tecnici gridarono alla gente di allontanarsi immediatamente. La volta della chiavica aveva ceduto; nel mezzo dell’argine, subito una grossa fontana si era sviluppata e metteva acqua torbida, potevano bastare ancora pochi minuti perché tutto fosse spinto via, non valse l’aiuto dei tecnici del Genio né quelli privati, neppure l’opera degli accorsi dei paesi circostanti, tutto sembrava ormai inevitabile; il pericolo era ormai imminente, tanto è vero che anche il Genio abbandonò l’impresa. Fu in questo momento che bravi giovani di Stagno si accollarono la responsabilità. In brevi istanti procurarono da privati teloni impermeabili e ad uno ad uno li poterono porre davanti alla falla. Questi subito tolsero la pressione di quella bocca d’acqua Chiavica dei Rami demolita nel giugno 1952 che sgorgava nel centro dell’argine. Fatto questo fu maggiormente facile buttare in questa breccia un gran numero di sacchi e l’aiuto di una seconda frana tamponò la falla, salvando così dall’allagamento Roccabianca e i paesi viciniori. Solo a tarda notte verso le due del 15 si poterono avere le prime confortanti notizie”.

Ma quando il peggio sembrava ormai passato, a causa di nuove perturbazioni, tra il 21 ed il 22 novembre io fiume tornò ad allagare le zone già colpite, causando ancora l’evacuazione di persone ed allevamenti, ma fermandosi ad una quota inferiore di circa 80 centimetri rispetto a quella toccata precedentemente. “Passarono almeno otto giorni – scriveva ancora Fausto Mistura – prima di vedere quasi totalmente il terreno. Con grande desolazione potemmo vedere quale disastro ci lasciarono le acque”.

La storica piena del Po del 1951 non va ricordata solo per la devastazione, la desolazione e la morte che seminò ma anche per le immense prove di solidarietà, generosità e coraggio che la gente seppe realizzare. Fatti ancora vivi nella mente di coloro che la piena l’hanno vissuta sulla loro pelle, nelle loro case, nelle loro campagne. Eventi fissati nelle memorie degli uomini e delle donne del Po, abituati a conoscere il fiume, fonte di vita, ispiratore di mille tradizioni, ma anche motivo di una lotta antica, e spesso impari, con la sua furia. L’ira di un fiume che sa sfogarsi, sa essere dirompente e devastante, sa coprire di limo ciò che invade, per poi tornare in silenzio, nel suo letto, proseguendo il suo costante viaggio verso il mare.

Settantadue anni dopo è certamente significativo ripercorrere i grandi valori che, anche in quella occasione, gli uomini e le donne del Po, emiliani e lombardi, piemontesi e veneti, avevano saputo, come sempre del resto, mettere in campo fornendo molteplici prove di coraggio, generosità, solidarietà e altruismo, tirandosi su le maniche per salvare il salvabile, aiutare (prima, durante e dopo) chi aveva bisogno, rispondendo presente ai rintocchi dei campanili e agli appelli delle autorità.

Non erano affatto tempi facili, molti di loro portavano ancora nelle mente e nel corpo i segni della guerra finita solo pochi anni prima. Molti erano stati protagonisti della Resistenza; altri ancora avevano tirato avanti la “baracca” tra mille difficoltà e crescente povertà; altri avevano pianto la scomparsa, tragica e improvvisa, di figli e nipoti, genitori e fratelli. Ma, nonostante le frustrazioni e i dolori, si erano di nuovo messi in trincea, per la pesante disputa contro il fiume. Una nuova e dura prova, che la gente aveva appunto affrontato, e superato, tra prove di coraggio, solidarietà e generosità. Anche le più piccole comunità si erano mobilitate.

Soltanto a Santa Croce, frazione di Polesine Parmense, come si evince dalle memorie, inedite, dell’allora parroco don Adamo Cicognini si era fatta una raccolta “bussando a tutte le porte” scriveva don Adamo aggiungendo che “il generoso contributo di ognuno ha fatto sì che siano raccolte 220mila e 200lire; quintali 15,62 di viveri, indumenti vari ed in buono stato”.

All’epoca era tanta roba e parecchie altre, ovunque, su entrambe le rive, erano state le prove di solidarietà, altruismo e generosità realizzate dalle genti, tutte, del Po. Gente dal carattere sanguigno e tenace, ma con un cuore sempre estremamente grande, capace di gesti di generosità e di altruismo del tutto speciali, in ogni tempo e in ogni stagione.

Eremita del Po, Paolo Panni

CON UN GRANDE GRAZIE, PER LE IMMAGINI DELL’EPOCA AGLI AMICI GAETANO MISTURA, PAOLO CAPELLI E ALL’INDIMENTICATA EBE BOTTAZZI.

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