Giuseppe, l'ultimo cartellino da
dipendente di un indipendente
buona contnuazione: è questa l'unica cosa che si ha da dire ad un uomo come lui. Buon lavoro, Giuseppe...
Ci sono persone che conosci, e conosci da tanti anni. Non puoi dirti propriamente amico in senso stretto, ma puoi dire di averne incrociato i passi mille volte sulla strada. In momenti buoni, e in altri meno, sia per te stesso che per la persona che hai di fronte. Il primo ricordo che mi viene in mente pensando a Giuseppe Romanetti (che il 31 ottobre ha timbrato l’ultimo cartellino da dipendente comunale) è dei tempi in cui sindaco era Massimo Araldi.
A quei tempi ero un quasi giovane consigliere comunale di una Lista Civica e lui già quello di adesso. Ironico, istrionico sempre. Pronto a darti una mano quando serviva, e a farti una battuta quando lo avevi divertito per qualcosa. Un animo estremamente colto e sensibile. Ricordo alcuni momenti e le conversazioni che i due (Araldi e Romanetti) – non so se per vera e propria sfida o per una sorta di gioco – intavolavano tra citazioni e dialetto. Tra giochi di parole e latino. Era davvero intressante stare ad ascoltare, anche quando magari le parole duravano pochi minuti. Non so chi dei due fosse spalla ed altro prima voce, ma quel che mi resta in mente era di due prime stelle, entrambi attori di una commedia che poi commedia tanto non era. Spesso c’era sostanza, c’era la vita e qualche volta la si poteva narare anche così, che poi era anche più divertente.
Hanno (sono entrambi al mondo per cui guai a parlare al passato) entrambi la stessa tempra. Conversazioni divertenti, auliche, dotte e leggere al contempo così poi non ne ho più udite. Una cosa però mi sento di dirla. Giuseppe Romanetti solo formalmente è stato direttore di teatro perché nominato da qualcuno: Giuseppe Romanetti era già teatro – in qualunque forma – a prescindere dalle nomine e dai nominatori.
Il secondo ricordo è di un tempo triste, quello delle chiusure del Covid e ancor di più quello del lunghissimo tempo in cui i teatri sono restati chiusi (al pubblico e alle compagnie teatrali). Anche lì, su un palco, ricordo una strenua difesa del teatro, una sorta di monologo intenso (lo potete trovare con un po’ di ricerca). Eravamo lì, come cronisti, a seguirlo. Non era un momento bello ma fu un momento di estrema lucidità. Fu un momento di riflessione profonda, e di profonda intensità. Recitava la vita, la stava mettendo in scena, così come sempre in ogni incontro pubblico ed in ogni conversazione privata.
Perchè questo caratterizza l’elemento in questione, tal Giuseppe Romanetti che dal 31 è in pensione. Ironia, passione, cultura. E qui, alla fine, ci fermiamo. Andar più avanti parrebbe il discorso per chi è trapassato. E Romanetti non solo è vivo e vegeto, ma resterà per anni, ed anni ancora, un punto di riferimento ed una parentesi aperta nella cultura del casalasco. E (ne ho l’impressione ma non ho chiesto nulla) lo vedremo operativo ed attivo per molto tempo ancora (e per fortuna). Il modo lo deciderà lui: è uno dei pochi che può farlo con cognizione di causa. Sia sua, sia di chi si affiderà alla sua competenza.
Per cui buona contnuazione: è questa l’unica cosa che si ha da dire ad un uomo come lui. Buon lavoro, Giuseppe…
Na.Co.