Arte

VajontS, racconto di Marco Paolini
diventa coro: e c'è Casalmaggiore

Al tal fine indice un primo incontro presso la Biblioteca Civica di Casalmaggiore martedì 29 agosto ore 20,30 per intraprendere un percorso che porti teatranti o semplici cittadini a farsi lettori, di un testo preparato da Marco Paolini e Marco Martinelli nella serata del 9 ottobre al Teatro Comunale. GUARDA IL SERVIZIO TG DI CREMONA 1

Trent’anni fa Il racconto del Vajont era la voce e il corpo di Marco Paolini. La sera di lunedì 9 ottobre 2023, nel 60esimo anniversario della caduta della frana del Vajont che costò la vita a 2000 persone, diventerà un racconto corale che coinvolgerà in contemporanea oltre 100 teatri in Italia e in Europa: VajontS per una Orazione Civile Corale. Grandi attori e allievi delle scuole di teatro, teatri stabili e compagnie di teatro di ricerca, musicisti e danzatori, maestranze, personale dei teatri e spettatori arruolati come lettori si riuniranno nei posti più diversi.

L’obiettivo è parlare di oggi del nostro futuro con un’azione di teatro civile che affronti la sfida della crisi climatica. L’acqua e la tragedia del Vajont diventano un punto di partenza per avviare «pratiche di prevenzione civile».

Il Teatro Comunale di Casalmaggiore ha aderirito al Progetto.

Al tal fine indice un primo incontro presso la Biblioteca Civica di Casalmaggiore martedì 29 agosto ore 20,30 per intraprendere un percorso che porti teatranti o semplici cittadini a farsi lettori, di un testo preparato da Marco Paolini e Marco Martinelli nella serata del 9 ottobre al Teatro Comunale.

Quella che pubblichiamo poco sotto è la lettera che Marco Paolini manda ai teatri e agli artisti di tutta Italia. Lettera alla quale Casalmaggiore ha risposto ancora una volta presente.

Ai Teatri e agli Artisti
Che insieme faranno il Racconto del 9 ottobre 2023
Quando a dicembre 2022 abbiamo concepito questo progetto, quando da gennaio 2023 abbiamo iniziato a parlare ai Teatri, quando abbiamo cominciato a cercare le risorse e i partners istituzionali per realizzarlo non era solo la necessità di tener viva la memoria della tragedia del Vajont a 60 anni di distanza a muoverci. Non era nemmeno l’urgenza della cronaca.
Era fresca l’emozione per la frana di novembre a Casamicciola allora. Ma benché meno presente e meno urgente era evidente la crisi idrica delle regioni del Nord, dove nei mesi invernali in molti comuni si doveva ricorrere alle autobotti e al razionamento idrico per supplire all’inaridimento delle falde acquifere.
Oggi mentre scriviamo per raccogliere e mettere in rete le informazioni pratiche che servono a realizzare il progetto viviamo con le immagini di un’alluvione fuoriscala che ha cambiato il volto e la vita di un’intera popolosa regione. Mentre si spala fango non c’è posto per il teatro, ma solo per i cronisti; il lavoro dei giornalisti avviene in diretta insieme a quello dei soccorritori, dei volontari che si mettono a fianco a coloro che hanno perso molto, moltissimo, e dal poco che resta provano a rimettersi in piedi.
Non ha senso cercare parole da dire a teatro mentre le cose accadono: meglio agire, spalare, sostenere, aiutare. Non ha senso distinguersi, meglio fondersi insieme al corpo sociale. Ogni popolo ha il suo carattere, il suo modo di rispondere ai colpi della vita. Si è detto che questa alluvione è come un terremoto, se è vero lo si vedrà nelle prossime settimane e lo si potrà raccontare perché sia utile e non inutile.
I terremoti non sono prevedibili ancora, le alluvioni lo sono di più, così come la siccità. Il territorio italiano è denso, antropicamente denso come un formicaio operoso e insaziabile. Mangiamo terra, consumiamo suolo e buona parte di quel suolo è a rischio idrogeologico. A ogni catastrofe sentiamo ripetere parole che non servono a impedirne altre. A ogni catastrofe vediamo e ascoltiamo il meglio e il peggio del nostro carattere, del nostro modo di rispondere ai colpi della vita.
Noi non siamo scienziati, ne ingegneri, ne giudici. Non raccontiamo per giudicare ma perché sappiamo che il racconto muove, attiva un algoritmo potente della nostra specie: i sentimenti, le emozioni.
Non c’è Ragione senza Sentimento.
Le emozioni sono leve che lasciano segni durevoli, avvicinano chi è lontano, le emozioni sono la colla di un corpo sociale. Il Vajont appartiene alla storia d’Italia anche grazie al teatro, dobbiamo usarlo e cercare di far entrare altri racconti nella nostra storia. Perché? Perché ci servono per affrontare quel che ci aspetta. Non per far le Cassandre, ma non è difficile immaginare le prossime emergenze, e dovremo limitare l’uso della parola emergenza. Allora non è difficile immaginare che serva una Prevenzione Civile e non solo una Protezione Civile.
Un evento corale come immaginato mesi fa, raccontando in simultanea la storia del Vajont in 100 teatri contemporaneamente ci appariva un obbiettivo affascinante e difficile, significativo e importante, certo, ma oggettivamente ambizioso e affrontato con pochi mezzi e da un manipolo di persone che ne dovevano convincere molte altre per realizzarlo.
In questi giorni la sua necessità appare certo più attuale, mirata, forte, ma sappiamo che questa è un’illusione ottica. La cronaca sostituirà presto con un’altra attualità l’alluvione dell’Emilia Romagna, così come è successo alla frana di Casamicciola, e non possiamo sapere quale fatto dominerà l’agenda setting dei media il 9 ottobre 2023.
Ma il Teatro è anacronistico per vocazione, non può inseguire i media perché arriverà sempre in ritardo sulle notizie. Non siamo cronisti, ma narratori. Un evento corale, che racconti storie diverse, raccolte in territori che fanno parte di questo paese, che hanno lasciato ferite e cambiato la vita di valli, quartieri, costoni, golfi, rive e paesi…un evento corale così, può dare sentimento al coraggio di affrontare la sfida delle conseguenze del riscaldamento climatico. Può dare sentimento alla ragione e alla saggezza di scegliere gli interventi da fare in base a un principio di tutela della vita, della salute, del bene comune, di riduzione del rischio.
Sono cose più grandi di noi. Serve un ruolo pubblico che crei una cerniera tra decisori e cittadini, tra chi guida e chi è guidato. Non è compito di nessuno di noi, nel senso che nessuno di noi ha studiato per farlo, nessuno di noi ha scelto di fare questo mestiere per esercitare un ruolo simile. Eppure tocca a noi provare a inventare una funzione del Teatro Civile di cui ci sarà bisogno. Avremo bisogno di buoni narratori, di buone storie perché avremo bisogno di elaborare con le parole cose inaudite e non viste prima.
La storia del Vajojnt ci serve perché insegna cos’è la sottovalutazione di un rischio affrontato confidando sul calcolo dell’ipotesi meno pericolosa tra tante. Tra tante scartate perché inconcepibili, non perché impossibili.
Non essere capaci di concepire nasce dal non saper vedere un disegno, dal non riuscire a immaginare. Un difetto d’immaginazione, insomma. A noi non viene chiesto di indicare soluzioni: ma di immaginare, raccontare e disegnare. C’è un accumulo di storie che se raccontate bene, in modo etico, possono aiutarci a immaginare l’ignoto per affrontarlo.
Ai Teatri chiediamo di organizzarsi a far sì che la serata del 9 ottobre non sia una serata di routine, ma una produzione ad hoc, un pezzo importante di un puzzle dove l’insieme sarà più forte delle singole parti.
Agli Artisti chiediamo se, oltre allo sforzo di partecipare a una pur importante lettura corale, non siano anche capaci di scegliere e narrare una storia da affiancare alle altre per dare senso al titolo VajontS, con la S finale. Come? La sfida è difficile, ma è la sfida artistica da affrontare: ciascuno scoprirà il proprio modo di farlo.
Dieci, venti storie italiane da innestare su quella del Vajont che resterà presente, in un montaggio di testi o in un’alternanza di voci. Mantenendo un filo che tiene insieme le storie: non per farne un fascio, ma per fare un disegno.
Perché non è vero che una storia è uguale all’altra. Perché la siccità non è facile da raccontare rispetto a un’alluvione. Perché un disastro provocherà solidarietà ma la crisi idrica solo rivalità.
Perché non è sopportabile che un disastro industriale venga associato a una catastrofe naturale (e come tale, senza colpevoli…) come ha fatto di recente un giornalista (Sallusti n.d.r.) citando il Vajont come un’alluvione naturale, una fatale disgrazia tra altre, per dire che purtroppo se la Natura vuole per noi non c’è scampo. Ma era quello che scriveva Giorgia Bocca, che scriveva Dino Buzzati trenta, quaranta, cinquanta, sessant’anni fa! Siamo a quello? No.
Noi non useremo il Vajont per puntare il dito, se non contro noi stessi. Non cercheremo alibi e giustificazioni nella storia politica o in un modello di sviluppo insostenibile.
Cercheremo invece di far sì che i disegni sul da farsi, che le scelte dei decisori vengano discusse e condivise da più persone di quante oggi lo facciano.
Partiamo da quello che c’è, da quello che oggi siamo. E raccontando con il Teatro, costruiremo il sentimento che deve essere comune, deve diventare il senso comune, la base della vita sociale di un paese fragile e prezioso come il nostro. Grazie“. (MARCO PAOLINI)

Giovanna Anversa

 

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