Cronaca

Ardola, la festa dell'Anatra e la
storia di San Rocco da riscoprire

Due le giornate di festa in programma. Sia martedì 15 che mercoledì 16 agosto, sul piazzale della chiesa di San Rocco, alle 19, apertura della cucina. Si potranno gustare anatra al forno con patate, lasagne, bucaneve, culatello di Zibello, spalla cotta, salumi misti, torta fritta e dolci

Due giornate all’insegna della buona tavola e della genuinità, ma anche della tradizione, del folclore e della fede, in quelle terre che “profumano” di culatello e di Grande fiume, in un ambiente tranquillo e ricco di storia. Per Ferragosto e per San Rocco tornano, ad Ardola di Polesine Zibello, la festa dell’Anatra e la sagra di san Rocco. Il tutto grazie all’iniziativa dell’associazione Noi per Ardola col patrocinio del Comune di Polesine Zibello e la collaborazione della Parrocchia.

Due le giornate di festa in programma. Sia martedì 15 che mercoledì 16 agosto, sul piazzale della chiesa di San Rocco, alle 19, apertura della cucina. Si potranno gustare anatra al forno con patate, lasagne, bucaneve, culatello di Zibello, spalla cotta, salumi misti, torta fritta e dolci. Entrambe le serate saranno animate dall’intrattenimento musicale. In più, mercoledì 16 agosto, alle 9, in occasione della festività di san Rocco, sarà celebrata la messa nella chiesa dedicata allo stesso san Rocco.

Una storia, quella della chiesa di San Rocco, che coinvolge e interessa anche il cremonese e il casalasco. Il sacro edificio, al centro negli ultimi anni di importanti interventi di restauro e messa in sicurezza che lo hanno letteralmente salvato da quello che sembrava un inesorabile declino (e se il traguardo è stato raggiunto è stato grazie alla tenacia e all’impegno della gente del paese che si è tirata su le maniche ed ha reperito i fondi necessari), rimane a testimoniare gli eventi prodigiosi accaduti nell’anno 1746 in occasione di una terribile epidemia di peste. Il 15 luglio di quell’anno, mentre numerosi fedeli si trovavano davanti al vecchio oratorio di San Rocco (che sorgeva laddove oggi si trova il santuario) per implorare il Santo ed impetrare benedizioni celesti affinché avesse finalmente termine la calamità, improvvisamente, davanti allo sguardo stupito dei presenti, in un piccolo fosso che correva, come corre ancora oggi, poco distante, in fregio alla strada comunale, scaturirono due sorgenti d’acqua, sul principio di colore “rossetto” per assumere poi una colorazione più naturale, come si legge nel prezioso diario lasciato dal parroco don Bartolomeo Zerbini.

L’evento in sé venne ritenuto subito come innaturale e straordinario, attesa l’aridità del suolo, la stagione estiva e la persistente siccità che si stava manifestando lì come altrove. La popolazione, conscia del fatto che si stava verificando un fenomeno soprannaturale, iniziò ad abbeverare gli animali colpiti da pestilenza, i quali immediatamente guarivano in maniera prodigiosa.

Diffusasi ben presto la voce del fatto miracolosa, i fedeli d’ogni parte accorrevano numerosi per pregare, elargire elemosine e celebrare feste in onore del Santo protettore. Giungevano pellegrini anche dalla vicina Lombardia, e dalla provincia di Cremona in particolare, dimostrandosi particolarmente devoti alla popolarissima figura di San Rocco che si venerava in Ardola. In appena pochi giorni venne raccolto tanto denaro da consentire l’edificazione di un nuovo e più ampio oratorio del quale, il giorno 24 settembre di quello stesso anno, si posero le prime pietre della fondamenta.

Nel settembre di tre anni più tardi, il sacro edificio era già terminato ed il giorno otto del susseguente mese di ottobre veniva solennemente benedetto da Monsignor Missini, vescovo di Borgo San Donnino (l’odierna Fidenza). Ancora nelle sue memorie don Zerbini scrive: “L’Oratorio è quello che ora si ammira per la sua elegante costruzione d’ordine Corinto, lavoro senza dubbio di abilissimo architetto di cui non si conosce il nome”.

Della comparsa delle sorgenti di acqua prodigiosa e degli effetti miracolosi per gli animali e per gli uomini, Monsignor Adeodato Volpi, Arciprete e Canonico della vicina parrocchia di Pieveottoville, nella sua qualità di Vicario Foraneo, venne incaricato dal vescovo Monsignor Missini di redigere una relazione. Nella stessa, redatta a stampa e tuttora conservata nell’Archivio Parrocchiale di Zibello, il sacerdote, non solo conferma gli eventi così come si sono manifestati, ma dà puntualmente conto delle guarigioni riportando nome e cognome, oltre l’infermità della quale erano colpite, delle persone delle quali riferisce.

Monsignor Volpi conclude il suo resoconto riconoscendo la veridicità dei miracoli operati da Dio per intercessione di San Rocco. Va anche sottolineato che, in seguito agli eventi prodigiosi, la statua di San Rocco, che già si venerava nel vecchio oratorio, fu fatta oggetto di nuovi segni di gratitudine. I pronipoti di quel Matteo Boselli che la donò, la fecero impreziosire con ornamenti in argento e posero sulla sua base una targa, pure in argento, con una iscrizione che ne riassume la storia e le intenzioni. La statua, per ragioni di sicurezza, da alcuni anni è conservata nella parrocchiale di Zibello.

La costruzione della nuova chiesa, inoltre, non impedì di conservare le due fonti prodigiose ivi scoperte. Già all’indomani della comparsa delle due polle si era provveduto a trattenere l’acqua in due tini per evitare che si disperdesse nel terreno circostante. In seguito furono costruiti i due pozzi in muratura, tuttora esistenti. Per lungo tempo, almeno fino a metà Ottocento, la gente continuò ad attingervi acqua, specie in occasione di epidemie del bestiame ma anche di malattie sulle persone.

Nel 1858, don Bartolomeo Zerbini fece controllare i pozzi, sia nella loro parte interna che in quella esterna e destò meraviglia il fatto che le pareti interne risultavano ricoperte da un nerume, una sorta di fuliggine di cui non si sapeva spiegare l’origine. Don Zerbini aggiungeva anche che l’acqua prelevata sul fondo aveva un odore “come d’ova fracide, odore simile a quella di Tabiano”.

Il sacerdote iniziò quindi a pensare che tale acqua potesse contenere qualche elemento minerale o salubre, da cui far derivare le guarigioni avvenute un secolo prima. Fece anche analizzare un campione d’acqua a persone esperte in chimica e, a riguardo, scriveva “mi hanno assicurato che non può dubitarsi che contenga del solfo. Ho fatto purgare i pozzi, e ciò non ostante l’acqua conserva il medesimo odore.

Se tale era quest’acqua quando scaturì nel 1746, le guarigioni che le si attribuirono, senza cessare d’esser vere grazie concesse ai devoti per l’intercessione di San Rocco, non sarebbero però miracoli nel senso rigoroso di questa parola”. Queste le conclusioni, obiettive e serene, cui giunse don Zerbini in ordine agli eventi del 1746. Come dire: se l’acqua possedeva principi curativi in grado di debellare la malattia non si può certo gridare al miracolo. Tuttavia, molte delle coincidenze che si verificarono in quel fatidico 15 luglio 1746, hanno ancora oggi dell’inspiegabile.

La stagione estiva e siccitosa, la comparsa improvvisa in superficie di acqua nel luogo e nel momento in cui più fervente saliva la preghiera al Santo protettore per il perdurare di una epidemia che stava annientando il bestiame, l’affiorare di acqua che in seguito si sarebbe presentata di natura solforosa e quindi probabilmente munita di proprietà terapeutiche e taumaturgiche, del tutto anomale rispetto alle falde acquifere della zona, sono circostanze che risulta difficile attribuire soltanto al caso.

Nel gennaio 2006, fra l’altro, uno dei due pozzi fu di nuovo oggetto di una ulteriore ispezione e, nuovamente, chi eseguì il lavoro fu sorpreso dall’odore acre, di uova marce, che improvvisamente si sprigionò. E le successive analisi dell’acqua della prima falda freatica, eseguite da un laboratorio chimico di Fidenza, non evidenziarono la presenza di alcun elemento chimico particolare, se non una certa ferruginosità: caratteristica che contraddistingue un po’ tutte le falde della zona.

Da evidenziare infine che, dopo un lungo periodo di declino, il Santuario, che anche al suo interno presenta numerosi “richiami” alle pestilenze, sta andando incontro ad una lenta ma significativa opera di valorizzazione e di restauro (in larga parte completato) ed ancora oggi sono numerose le persone che si recano alle sue fonti per ottenere grazie. Dei fatti accaduti non ci si è mai dimenticati perchè, pur nei periodi di declino e abbandono, la gente ha sempre tramandato la memoria di quanto accaduto indicando sempre come i due pozzi davanti alla chiesa, celino qualcosa di straordinario e di speciale. Una storia che, in occasione dei festeggiamenti del 15 e 16 agosto, potrà essere riscoperta ed approfondita.

Eremita del Po, Paolo Panni

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