L’industriale Giuseppe Bini
nel ricordo di Lucia Bruschi
“Una realtà nella quale il capo ancora conosceva di tutti il carattere e le esigenze. Un’azienda in cui, quando ancora non esisteva la tutela delle lavoratrici donne, già si applicava, a richiesta, l’aspettativa di un anno per poter accudire il bambino”

“I me ragass ei a post? èt fat tut quel ca serf perché i posa purtar a cà quel? E ricordati tu per loro ci sarai sempre, aiutali nelle pratiche e fa in modo che non perdano nulla, almeno di quello che possiamo controllare noi.”
Questo il Sig. Bini Giuseppe diceva a me, responsabile del personale composto da 158 persone, la sera del 30 giugno 2011 prima di entrare, per l’ultima volta, nell’ospedale dove sarebbe morto il 12 del mese successivo. Prima di lasciare il mio ufficio si è voltato e ha aggiunto: “Adesso che la mia fabbrica ha bisogno di me, io muoio con lei, mi raccomando non lasciarli soli”. Ho sofferto molto nell’osservare la gente che subito volta le spalle, che subito dimentica la famiglia che ha nutrito un paese per generazioni e nel rendermi conto di come sia facile e spontaneo, purtroppo, fare illazioni circa i tesori nascosti a discapito delle maestranze, eppure tra le ultime sue preoccupazioni c’erano proprio loro: i suoi ragazzi…
Quest’anno con gioia ho dovuto ricredermi, lo “zoccolo duro” ha attivato una chat per organizzare una cena che a dire il vero è solo l’ultima di molte, una cena che quest’anno vede coinvolti altro personale dell’ufficio e anche me, per ricordare i bei tempi alla Bini, dove si lavorava in condizioni pesanti, ma con un forte senso di appartenenza all’azienda, dove nascevano amicizie, amori, screzi, dove si condividevano con la proprietà successi e insuccessi. Una realtà nella quale il capo ancora conosceva di tutti il carattere e le esigenze. Un’azienda in cui, quando ancora non esisteva la tutela delle lavoratrici donne, già si applicava, a richiesta, l’aspettativa di un anno per poter accudire il bambino.
Penso che tra le cause della sua malattia ci sia stato anche il forte stress dovuto alla crisi dei mercati esteri e che, se non avesse dovuto combattere con quel mostro, avrebbe avuto il tempo di mettere in atto il suo piano strategico: dimezzare la capacità produttiva della fabbrica e sfruttare al massimo la ben organizzata rete commerciale così da mantenere in forza almeno un elemento per gruppo familiare perché, si sa, in Bini spesso lavoravano intere famiglie. Avrebbe prodotto di meno, ma con molta probabilità avrebbe comunque mantenuto una buona posizione sul mercato tutelando al contempo e per quanto possibile anche i suoi dipendenti. Mi sento di dire grazie in prima persona e a nome di molti dei suoi ex dipendenti, ancora una volta, con il cuore ancora più gonfio per gli anni trascorsi sotto la mano protettrice della famiglia Bini.
Lucia Bruschi