Cronaca

Franco Rotelli e quell'intervista
del 2011 su "La Cronaca"

Era il 31 luglio 2011 e il quotidiano “La Cronaca” dedicava una pagina intera alla figura di Franco Rotelli, intervistato da Giovanni Gardani. Oggi, a poche ore dalla scomparsa dell’illustre psichiatra, riproponiamo quell’intervista in forma integrale.

Era il 31 luglio 2011 e il quotidiano “La Cronaca” dedicava una pagina intera alla figura di Franco Rotelli, intervistato da Giovanni Gardani. Oggi, a poche ore dalla scomparsa dell’illustre psichiatra, riproponiamo quell’intervista in forma integrale.

 

Forse è stata solo tutta colpa dei romantici, quelli che, a forza di esaltare la follia e lo sturm und drang, hanno finito per fare sentire il “matto” alieno e sideralmente lontano. Dalle pagine della letteratura ottocentesca oggi il “matto” è entrato nella più squallida cronaca, e se in diversi resoconti di nera “l’incapace di intendere e volere” era stato il carnefice, nei scorsi giorni è diventato la vittima.

Franco Rotelli, casalese doc, ha speso una vita nel settore, in giro per il mondo quale erede di Franco Basaglia, ovvero colui che rivoluzionò il mondo della psichiatria con la famosa legge 180, che dal 13 maggio 1978 impose la chisura dei manicomi e regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo i servizi di igiene mentale pubblici. Oggi, da Trieste, stante il curriculum e la perizia in materia, Rotelli non usa giri di parole o perifrasi politically correct. Parla di “matti”, appunto, li chiama per nome, ma lo fa rivestendo il lessico precipuo di nuova dignità. Non è romanticismo, casomai nuovo umanesimo. O nuova umanità. Quella dimenticata dai residui ospedali psichiatrici giudiziari che, come ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano soltanto giovedì scorso, versano in uno stato di “estremo orrore”. Lei nel 1969 all’Ospedale Psichiatrico di Castiglione delle Stiviere avviò, presso la Sezione Criminale, la prima esperienza di manicomio giudiziario aperto, in Italia e in Europa. Avrebbe mai detto che saremmo arrivati in questo buco nero? “La risposta è semplice” ammette Rotelli “. Il problema è che dal 1969 non è cambiato assolutamente nulla. Quella di Castiglione è rimasta, purtroppo, un’esperienza occasionale ed eccezionale al contempo. In questi decenni l’esperienza del manicomio giudiziario ha incontrato il più completo degrado, perchè non si è mai pensato di cambiare la legislazione e perchè le strutture si sono impoverite, senza risorse. In questi istituti abbiamo oggi 1400 persone recluse: lo stesso numero di quaranta anni fa, più o meno, segno che il miglioramento paventato non c’è stato. Anzi, alcune situazioni arrivano sempre più spesso al limite nonostante le cause del degrado siano note”.

Vediamo di focalizzarle. “Da un lato il continuo calpestare i diritti umani, dall’altro, in senso pratico, le negligenze legate ai servizi locali, ai servizi sociali, a quello che ogni città dovrebbe garantire, o sforzarsi di fare, per i suoi cittadini. Perchè il matto, anche se ha commesso un crimine, rimane un cittadino. Due sentenze della Corte Costituzionale specificano che queste persone possono uscire dalle strutture se dimostrano di essere migliorate. Non si è obbligati a farli marcire lì dentro. Peccato che gli stessi enti, le stesse Regioni, spesso preferiscano dimenticarsi di questi cittadini, una volta che escono dal loro territorio di origine per “migrare”, spesso per la vita, in un manicomio criminale. Sono un di più, un problema, meglio abbandonarli a se stessi. E che dire dei magistrati che dispongono perizie psichiatriche e periodi di osservazione per criminali o presunti tali, proprio in questi luoghi, come fossero un centro di raccolta non-umano? Soprattutto, in questi 40 anni, non si sono mai superati due pregiudizi”.

Due autentici cardini, secondo Rotelli. “Il manicomio giudiziario si fondava sulla presunzione di totale incapacità di intendere e di volere. Esisteva in base a quel pre-concetto. Questa massima non è mai stata sostenibile, è sbagliata alla radice: può esservi un reato dettato da un disturbo mentale, ma non potrà mai esservi totale incapacità. Dunque a livello di codice penale, il reato va punito come se lo commettesse una persona normale, senza proscioglimento di comodo basati su quella credenza mal riposta. Secondo pregiudizio da cancellare è la correlazione forzata tra malattia e pericolosità: non vorrete farmi credere che il norvegese della strage di Oslo fosse completamente incapace di intendere e volere? Esistono anche reati abnormi con motivazioni abnormi, che però nulla hanno a che fare con la malattia mentale. In Italia abbiamo 600mila matti: non sono aumentati dopo la chiusura dei manicomi. Il che significa che il caso esiste da sempre. E si fa caso raro se parliamo di matti violenti. La percentuale è davvero bassisima, tale da non giustificare strutture come i manicomi giudizari, specie dopo il quadro medievale emerso”.

Dopo i sequestri di alcune aree delle strutture di Montelupo Fiorentino e Barcellona Pozzo di Gotto, Ignazio Marino, presidente della Commissione d’Inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale, ha parlato di “nuovi sopralluoghi a sorpresa”. Basterà? “Certo che no, semplicemente il manicomio giudiziario andrebbe abolito: è superato concettualmente, per i due dati appena specificati, e pure nella pratica. Esistono infatti anche esempi di comuni virtuosi che sono andati a riprendersi questi cittadini, insisto su questa definizione, riuscendo poi a curarseli in casa propria, togliendo senso a questi impianti desueti. Peccato non costituiscano la regola”.

Il decadimento disumano è anche figlio di mancate risorse, dato che dal 1999 tali strutture non sono più finanziate? “Non è affatto questo il problema. Prendiamo il caso di Cremona: in tutta la provincia sono 5-6 i matti che hanno commesso reato. Toglierli da un manicomio giudiziario e curarli in Provincia, con gli enti e i servizi che spettano loro, non farebbe certo saltare il bilancio di un’azienda sanitaria. Rispondendo invece in modo più diretto alla domanda, credo che non si debba investire sui manicomi giudiziari, quanto piuttosto su servizi e budget di cura personalizzati. Mettiamo al centro la persona, non la struttura che la ospita, e quest’ultima diventerà inutile”.

Di certo l’ospedale psichiatrico-giudiziario, per la sua stessa necessità di recludere, sembra negare la legge Basaglia. “Proprio così, quando invece il reato dovrebbe semplicemente aggiungere un surplus di attenzione. Ho visto anche matti rinchiusi per anni nei manicomi giudiziari per avere rubato una bici o insultato un ufficiale. Un’assurdità”.

E se sul banco mettessimo l’omicidio, il reato più pesante? “So che non è semplice da spiegare e forse da accettare, ma l’omicidio è, in molti casi, per queste persone una sorta di scarica affettiva, che porta all’abnormità dell’atto, ma poi lì si esaurisce. Spesso riguarda la cerchia famigliare e da quella non esce. Pensateci: un serial killer è lucidissimo, non è mai un folle. Non dico che il matto non sia pericoloso, ma basta un controllo con altri sistemi più umani, perchè quasi mai va in giro ad ammazzare una seconda volta. Va punito, se sbaglia, ma non recluso a vita. A Trieste da anni non abbiamo nessuno nei manicomi: eppure i reati ci sono, semplicemente li trattiamo in modo diverso”.

Nel numero di “Aut Aut” di aprile-giugno 2009, dedicato a “Basaglia a Colorno”, lei scrive che “via via che la democrazia diviene povera cosa, senza speranza, lo ritorna a essere anche la psichiatria”. Parole profetiche, vogliamo approfondirle? “Fino alla legge 180 in Italia avevamo 100mila persone senza diritti civili. Quella legge ha migliorato le cose a livello formale, ma non ha portato, in automatico, alla democrazia piena: questa andava perseguita, riconoscendo le idee, la soggettività, i diritti sociali anche al cosiddetto diverso. Invece il matto è rimasto, non essendo cambiata la legislazione nonostante la rivoluzione portata dalla legge Basaglia, escluso dal “contratto sociale”. Un pensiero che, stanti i problemi anche di comprensione e di intelligibilità che emergono con l’età, non riguarda soltanto i matti veri e propri, ma anche gli anziani, per esempio. Sono problemi, insomma, non così estranei al vivere comune”.

Anche se non tutti i media hanno riportato i risultati delle inchieste emersi nei giorni scorsi. “A pochi interessa il soggetto debole: una società inquieta, angosciata ed egoista, si sente necessariamente preoccupata soltanto di se stessa. L’egoismo diffuso ha portato a ignorare volutamente l’estrema debolezza, specie con l’acuirsi di una crisi economica, che con il tempo si è fatta morale”.

Trieste è senza dubbio un osservatorio privilegiato, essendo storicamente un luogo di incontro tra culture. Pensiero ancora più efficace accettando il fatto che “ogni testa è un mondo”. “ Non mi fermo a Trieste, parlo della situazione generale delle psichiatrica giudiziaria che può essere sviluppata sotto certi aspetti e in tante situazioni. Non siamo per fortuna ai livelli di Leros, in Grecia (il “peggiore carcere giudiziario” mostrato negli scatti nudi, crudi e raccapriccianti della casalasca Antonella Pizzamiglio, nella mostra “Leros – Il nulla ha un nome”, nel 2009 a Martignana), ma siamo ancora molto indietro dal punto di vista della dignità. Esistono ancora fior di manicomi in Germania e in Francia, li hanno chiusi in Inghilterra, ma resistono nello zoccolo duro di centro Europa. In Brasile, invece, è stata approvata da poco una riforma convincente, così come in Argentina con una legge simile alla nostra 180”.

E in Italia? “I manicomi civili li hanno chiusi, come sappiamo. Esiste questo residuo di manicomi giudiziari da non sottovalutare. Senza dimenticare le case di cura private. E i servizi da rivolgere veramente a tutti”.

Perchè il matto sia davvero cittadino. Altro che romanticismo. Questo è illuminismo puro: basterà ad aprire un varco tra le tenebre e la nebbia di Leros e dintorni?

Giovanni Gardani

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