16 marzo 1974, si spegne a 11
anni Cristina Dadone: un ricordo
Sabato 16 marzo 1974 era iniziato col sole, un sole che si offuscò nel pomeriggio lasciando posto alle nuvole quasi in segno di mestizia; noi bambini siamo ancora là con un gran vuoto nel cuore
Sabato 16 marzo 1974. La primavera alle porte, finalmente posso provare i pattini che mi hanno regalato a gennaio, per il mio compleanno. I pattini sono quelli a rotelle, non con lo scarponcino ma coi cinturini e quella brugolina magica che permetteva di allungarli e goderli per un paio di anni o tre anche se il piede si allungava. Smaniosa di andare sull’argine a sfoggiarli mi trovo costretta ad aspettare fino alle ore 16.00, la mamma non vuole farmi uscire prima. Finalmente arriva l’ora, pattini in spalla, scendo le scale di corsa e sempre di corsa mi dirigo da via Baldesio verso l’argine.
Prima di varcare l’arco che porta al lido scorgo subito, sopra la scaletta, un capannello di persone, mi avvicino: un lenzuolo copre un corpo disteso a terra, sangue, tanto sangue scuro, maleodorante e acre forma uno strato spesso sull’asfalto che fuoriesce dal lenzuolo. Un incidente, la gente, come uno sciame di insetti, propaga un ronzio fastidioso di parole che non comprendo, qualcuno si è fatto male, qualcuno è morto, ma chi? E come? Immobile, coi miei pattini ancora in mano, non so più dove sono, capisco che qualcosa di grave è successo, ho 10 anni.
A un tratto un uomo arriva trafelato, si fa spazio tra la gente ed alza il lenzuolo, la persona a terra è la sua bambina, è la mia amica. Corro via verso casa in lacrime, vomitando tutto ciò che ho nello stomaco. La mamma vedendomi così si agita a sua volta e mi chiede cosa sia accaduto, io tra i singhiozzi racconto: “vedi – mi dice – che non ho sempre torto ad avere paura quando esci?”.
Non era certo ciò che avrei voluto sentirmi dire in quel momento, ma col tempo avrei capito. Lei la conoscevo, lei era mia amica, vicina di casa dei miei compagni di scuola Francesco e Laura, alleata di scorribande e risate, come poteva essere lì stesa a terra senza più il suo sorriso? Quel giorno ancora oggi rimane uno dei più brutti, ed assolutamente il più traumatico della mia vita. Della morte fino ad allora avevo solo sentito parlare, non la conoscevo, per questo forse volli vederla, non per darle l’ultimo saluto, ancora non avevo realizzato che non l’avrei più vista, ma per verificare se davvero non si muoveva più, se davvero non respirava e non rideva più. La mamma non era d’accordo ma fu tale la mia determinazione che papà mi ci accompagnò; vedo ancora la stanza vuota e in penombra, lei adagiata vicino alla finestra con gli scuri socchiusi, vedo chiaro e nitido il completo che indossava, casacca e pantalone a zampa, fondo panna con una fantasia sull’azzurro, fin troppo elegante, pensai, per un tipo casual e sportivo come lei. Non dormii per notti e notti, tante, tantissime notti con quell’immagine fissa di lei…. immobile. Papà dormì con me parecchie volte in quel periodo e fu balsamo.
Cristina Dadone aveva 11 anni, simpatica, allegra, piena di vita come ogni bambina a quell’età. Si giocava in strada a quei tempi, si usciva correndo o in bici e si andava a citofonare agli amici: “scendi?, sì, arrivo!!!” e via di corsa. Oppure ci si recava direttamente in uno di soliti posti, piazza, argine, lido, oratorio dove sapevi che qualcuno con cui passare il pomeriggio lo avresti trovato di sicuro. Le auto erano poche, conseguentemente il traffico, e pure i pericoli non erano molti, al massimo cadevi sbucciandoti il naso o le ginocchia. Spensieratezza a mille, entusiasmo per ogni cosa, foss’anche un semplice cono gelato, il primo della stagione… che meraviglia! Nessun cellulare, solo poche ma categoriche regole: dove vai, con chi e orario tassativo di rientro da rispettare. Quel giorno per Cristina era uno come tanti, l’aria di primavera e una bella pattinata sull’argine con l’amica di sempre Maria l’aspettavano. Maria fece appena in tempo a dirle atten… e una moto già se l’era portata via. Fu un giorno greve per tanti di noi, per Maria in particolare, un giorno che ancora oggi ci porta sulla sua tomba, ci spinge a una preghiera, a un pensiero a tentare di curare una ferita mai rimarginata. Sabato 16 marzo 1974 era iniziato col sole, un sole che si offuscò nel pomeriggio lasciando posto alle nuvole quasi in segno di mestizia; noi bambini siamo ancora là con un gran vuoto nel cuore.
Giovanna Anversa