Oglio Po, una domenica al
Pronto Soccorso e un grazie
Le ambulanze vanno e vengono. Arrivano anziani, soprattutto anziani, ma non solo. E' quasi mezzanotte. E nessuno si è mai fermato un istante...
Domenica sera, e i dolori alla pancia si sono fatti forti. Nonostante le cure, nonostante tutto. Sono le nove di sera ed il pensiero di dover attendere un altro giorno sperando nella provvidenza divina non è una strada percorribile. Non resta che una soluzione, quella estrema. Il Pronto Soccorso di Oglio Po.
Si entra (ancora) soli. A meno che non ci sia una reale emergenza o che il paziente richieda un accompagnatore. E’ una sera di gran movimento. Una sera come tante. Poco personale, poco spazio rispetto a quello che sarebbe utile e necessario ma se il Covid ha insegnato qualcosa è a fare di necessità virtù e dentro Oglio Po è regola.
Al primo step c’è un’infermiera tra le più preparate, Silvia Andreocchi. Bisognerebbe clonarla se fosse possibile. Bisognerebbe averne tante come lei. Dolce, materna, preparata, instancabile. Ha i suoi anni sulle spalle (tanti di servizio) ma la determinazione e l’energia sono quelle di sempre.
Sono un paziente complesso. Diabetico da tanti anni, con qualche altra patologia che mi porto appresso ed ora questi dolori intensissimi alla pancia che non danno tregua. La prima rassicurazione la dà Silvia. Insieme ad una flebo per far scemare i dolori. Il resto è attesa, giusta attesa perché chi è più grave passa davanti. C’è una bambina portata a Cremona in gravi condizioni ed una donna, portata con l’ambulanza, con un braccialetto rosso. E poi ci sono anziani. Sai già che il Pronto Soccorso funziona così.
Il pensiero è a Cremona. Laddove si pensa alla grande cattedrale. Questo è un ospedale di frontiera. Tutt’altra cosa. A mezzanotte l’astanteria è piena, una signora viene sistemata in una stanza. Non ci sono più letti disponibili ma tutti coloro che vanno assistiti lo sono, con determinazione, professionalità e coraggio. Dopo un paio d’ore la donna sul lettino entrata in barella in condizioni di certo (all’apparenza) difficili se ne va sulle sue gambe, con il marito e una coperta sulle spalle. Accende un sorriso in chi ancora nella sala attende.
Le ambulanze vanno e vengono. Arrivano anziani, soprattutto anziani, ma non solo. E’ quasi mezzanotte. E nessuno si è mai fermato un istante. E’ un lavoro davvero intenso quello al Pronto Soccorso. Da fuori l’ospedale sembra semiaddormentato ma dentro nulla dorme tra chi sta male, chi è in attesa, chi dopo essere rimasto dentro se ne va. Chi invece resta.
Rido via messaggio con mia moglie. Sugli scranni della sala d’attesa impossibile addormentarsi senza il rischio di scivolare sul pavimento. Il piano è liscio. Si veglia o a limite ci si alza un poco.
Arriva il mio turno. Ad accogliermi il dottor Ferruccio Sferra. Empatico, professionalmente ineccepibile, capisce subito dove sta il problema e te lo sottopone alla sua maniera, con una sorta di domanda a trabocchetto: “Se lei va nel deserto, porta con se l’insulina o l’acqua?”. Da diabetico mi verrebbe da dire la prima, ma la risposta giusta è la seconda. “Dell’insulina non se ne fa nulla, l’acqua è fondamentale”. Una visita e poi per confermare, una lastra. Alle lastre c’è un tecnico di lungo corso, Alberto Gelati. Nella vita è una sorta di guascone conosciuto per l’innata simpatia e per l’abilità di addestratore di cani. Sul lavoro è un tecnico di quelli preparati. Chiede scusa per l’attesa (era impegnato in una TAC con problemi ben più seri) e poi procede all’esame. Mi mostra le lastre, non c’è nulla di irreparabile, e ci si ride anche un poco su.
Si torna nella sala dell’astanteria. E’ tempo di flebo. “Non ci sono letti”. Starei più comodo, ma non mi serve il letto, ci sono (e ci potrebbero essere) emergenze ben più serie della mia. L’astanteria è piena. Una flebo la si può fare anche su una poltrona reclinabile. A seguirni è un altro infermiere che conosco per la prima volta, tal Danilo Lucchetti, ogni cinque minuti è lì da me per chiedere come va e se ho necessità di qualcosa, il primo flebo è terminato da qualche secondo che arriva con l’altro. Sta seguendo altri pazienti ma la presenza la sento costante e continua. Un altro da clonare (e sono già quattro).
Nei presidi come Oglio Po non ci si sente numeri ma persone. Non ci si sente soli e in attesa di qualcuno, ma ci si sente accompagnati sempre, e sempre seguiti. E’ questo quello a cui nessuno fa caso. Oglio Po, e il suo Pronto Soccorso sono luoghi da tutelare. Insieme allo straordinario personale che vi lavora.
Sono quasi le due, c’è un po’ meno gente ma chi è andato ha lasciato il posto a chi è venuto. Tempo di referto e raccomandazioni dal dottor Sferra che mi spiega quel che dovrò fare una volta a casa e si riparte.
Volevo solo dire grazie a tutti loro, ed ho scritto un romanzo. Mia moglie fa bene a darmi del prolisso, lo sono di natura. Ma un grazie a tutti loro – e a chi non ho incrociato ed ho solo intravisto, e a chi aveva un altro turno, chi andava e veniva con le ambulanze – è d’obbligo. Non sempre tutto va bene, nessuno (noi compresi) è esente da errori. Ma ogni volta che sono entrato in Pronto Soccorso ho incontrato solo gente che ci mette l’anima. Sono stato fortunato? No. Ho solo guardato, come faccio sempre a quel che succede raccontandolo.
Il Pronto Soccorso di Oglio Po è una struttura fondamentale. E’ una struttura speciale. Con persone speciali.
un paziente