Casalmaggiore, si è spenta
Carla Lombardi Fortunati
"La mi 'Arla", così la chiamavano tutti per quel suo accento fiorentino mai perso, per quel suo essere toscana che sapeva star bene anche qui, era una mamma spontanea come la mia e come tutte le altre
Un altro tassello della mia infanzia che se ne va, un’altra mamma, amica della mia, con cui noi bambini siamo cresciuti e dai cui occhi vigili siam stati “tirati su” come gli asparagi, con regole categoriche, giuste o no, e senza tante “fole”. Carla Lombardi per me era “la mi ‘Arla” con la C aspirata perché era di Firenze; galeotta fu la naja che portò nella città del giglio un giovanissimo soldato casalese, Ernestino Fortunati, per tutti Tino, che la fece innamorare al punto da farle lasciare uno splendore di città per un’altra non male ma non paragonabile.
‘Arla’ era una donna allegra e gioviale, amava la compagnia, amava ridere e dava immenso valore all’amicizia. Erano anni in cui le compagnie erano numerose e unite, coppie di amici che hanno iniziato a frequentarsi da ragazzi con le loro fidanzate e che sono rimaste insieme tutta la vita.
Il venerdì era serata uomini tassativa, il sabato si usciva con le mogli e, se non c’erano nonne disponibili, con noi bambini appresso. Ricordo la festa, le loro risa, i loro balli, il quadrato che veniva fatto attorno alla coppia che magari quella sera litigava, nell’arco di poco era già pace, ricordo i loro baci, la loro ironia, la fratellanza che li univa, il bicchiere bevuto volentieri, il piacere di fare tardi tant’è che capitava che noi bimbi si finisse a dormire in auto nel parcheggio del ristorante, momento stupendo per noi, quasi avventuroso e che oggi sarebbe motivo di denuncia.
Siamo cresciuti così io e suoi adorati ragazzi Daniele e Massimo, con tanto amore e qualche ciabattata, spettatori allora inconsapevoli di valori grandi e forti che possiamo vantare di portarci ancora dentro.
Periodicamente noi figli, e non siamo pochi, ci troviamo per una cena insieme e i nostri cuori si riempiono dell’allegria e della capacità di stare assieme che dai nostri vecchi abbiamo ereditato mentre gli occhi non fanno fatica a colmarsi di lacrime al ricordare. Di quei genitori abbiamo respirato l’onestà, la dedizione al lavoro, alla famiglia, l’amicizia, la giovialità, l’ironia, il prendersi in giro, il senso di appartenenza al paese, al fiume ma anche le fragilità, le debolezze, il dolore davanti alle perdite importanti fossero famigliari o i primi di loro che se ne erano andati.
“La mi ‘Arla”, così la chiamavano tutti per quel suo accento fiorentino mai perso, per quel suo essere toscana che sapeva star bene anche qui, era una mamma spontanea come la mia e come tutte le altre, amiche strette di cui tutti eravamo figli, col cuore buono e il polso fermo, con la parola dolce e se serviva la ciabatta in mano. La posso immaginare ora assieme a Tino e a tutti loro, accolta a braccia aperte come lo fu quando venne da Firenze, ancora insieme, finalmente a ridere senza più alcun dolore. Fai buon viaggio cara mamma Carla e salutaceli tutti.
Giovanna Anversa