Opinioni

Casalmaggiore e i luoghi della
socialità: una riflessione...

Da quanto tempo non si usano più la piazza e altri luoghi pubblici per tenervi assemblee o dibattiti sulle grandi questioni di questi tempi?

Molti pensano che per rendere più viva la piazza, ovvero la città di Casalmaggiore sia necessario tappezzarla di proverbi e di fioriere. Non voglio criticare o contestare questo proposito, ma pormi da un diverso punto di vista. È un fatto che la piazza di Casalmaggiore sia da tempo, e soprattutto in questi ultimi anni, impoverita. Ma di cosa? Di decoro urbano? No, essenzialmente di vita sociale e di sociabilità, se vogliamo dirla alla francese. Tanti piccoli e grandi avvenimenti, quotidiani, settimanali o legati a speciali ricorrenze ed occasioni, che ne animavano lo spazio, arricchendo di esperienze e di relazioni gli abitanti e coloro che anche occasionalmente vi stazionavano, si sono via via ridotti, svuotati di significato ed utilità, o addirittura sono scomparsi. Ne prendo uno ad esempio: la chiusura dell’edicola dei giornali. Certo ci sarà chi subito dirà: beh, ma che importanza ha la cosa per la piazza e per le relazioni sociali? Eppure basterebbe una foto di qualche tempo fa per capire che attorno a quell’edicola, tenuta aperta per diversi decenni dalla signora Contini sfidando, stoicamente, i freddi invernali e le estati sempre più calde e afose, c’era veramente vita, ovvero quel luogo costituiva un naturale e formidabile punto di aggregazione, di incontri casuali ma pure ricorrenti, nell’incrocio dei riti abitudinari di ciascuno, quasi che molte persone si dessero concretamente appuntamento lì davanti. Quante volte mi è capitato di incontrarvi Giorgio Lipreri, sempre con almeno 3-4 quotidiani sottobraccio che lui di sicuro leggeva e confrontava, e di intrattenermi – pur essendo io di natura abbastanza schivo e sfuggente – a discutere, a scambiare informazioni, ad aggiornarci reciprocamente sui nostri studi. Provate a moltiplicare questo minuscolo episodio di socialità per dieci, per cento, per il numero di tutti quelli che andavano a prendere il giornale, contando anche coloro che si limitavano a un semplice saluto o a un gesto di cortesia. Considerate cosa si è perso con la chiusura dell’edicola e moltiplicate questo dato per il numero di esercizi commerciali che hanno cessato la loro attività in questi anni.

Lo so che i giornali li posso comperare ovunque, al bar, nei supermercati o leggere online. Forse è anche a causa di questo curioso cannibalismo che le vere edicole chiudono e non ce la fanno più a riaprire, nonostante i tentativi messi in atto. Non posso tuttavia fare a meno di chiedermi perché un bar, invece di occuparsi solo del lavoro del bar, deve vendere pure dei giornali, con un’offerta che inevitabilmente sarà limitata rispetto a quella di un vero giornalaio. Perché una farmacia deve avere più disponibilità di cosmetici che di farmaci? Perché un ufficio postale deve vendere libri o altri prodotti non pertinenti alla sua finalità principale? E potrei continuare l’elenco. Immagino che siano tutte strategie messe in atto anche per rendere più stabili e competitivi tali esercizi. Peccato che questo avvenga sempre a scapito di altri, come per esempio le cartolerie, le librerie o le edicole di giornali che si trovano così costrette a chiudere. Ma questo minuto e diffuso cannibalismo ben poco può fare per non essere a sua volta cannibalizzato dagli squali dei supermercati che, beninteso, stanti così le cose, sono strutture commerciali utilissime per tutti noi che abbiamo sempre meno tempo da dedicare agli acquisti e che, stritolati nei ritmi serrati della quotidianità, sembriamo non poterne fare a meno. Però se il nostro antico peregrinare fra negozi ci rubava del tempo, per contro ci arricchiva di una molteplicità di scambi che il supermercato ci sottrae o almeno limita fortemente. Si tratta complessivamente di una perdita di umanità, oltre che di naturale controllo sociale. Giustissimo difendere i negozi e il commercio al minuto contro l’invasione di supermercati che ne causano inevitabilmente la chiusura – ma quegli amministratori che non cessano di concedere autorizzazioni all’apertura di centri commerciali, impoverendo sempre più i centri abitati, non hanno un briciolo di pudore a farsi paladini a ”buon mercato” degli interessi dei commercianti.

Ora questi ultimi non avranno più nemmeno occasione di farsi pubblicità su “Casalmaggiore”, il periodico locale della Proloco, inspiegabilmente soppresso, che, tra limiti e pregi, era pur sempre uno strumento culturale capace di informare e concretamente aggregare molti lettori. E che dire della Proloco quasi sempre chiusa dopo la scomparsa del signor Moreschi?

E a poco serviranno quei presidi di umanità e di socialità che sono ancora le scuole, gli ospedali, la biblioteca, i musei, il teatro, se non sappiamo non solo difenderli, ma anche darci una mossa per renderli più vivi, frequentandoli e reclamando il loro funzionamento.

Da quanto tempo non si usano più la piazza e altri luoghi pubblici per tenervi assemblee o dibattiti sulle grandi questioni di questi tempi? Perché si deve sempre andare nei comuni vicini per poter parlare di salute, di crisi climatica, di consumo del suolo, di mafia e di guerra? Per fortuna esiste un quotidiano online attento ai problemi del territorio e aperto alla discussione. Certo ci si può anche incontrare sul web, ma i luoghi fisici d’incontro restano essenziali e insostituibili. E meno male che, in questo vuoto, ci sono a Casalmaggiore le chiese aperte e c’è un oratorio che un sensibile ed illuminato parroco mette generosamente a disposizione dell’intera comunità proponendo iniziative culturali di assoluto rilievo, perché diversamente sarebbe la morte civile. Tuttavia serve molto altro.

Se questa è la china, se non cambia qualcosa, non solo la piazza, ma l’intera città di Casalmaggiore, pur riempendosi di edifici, si svuota lentamente di vita ed umanità, e i fiori e le piante che potrebbero abbellirla rischiano di essere addobbi per il suo funerale. Non sarà un caso che vi accorrano, in questi tempi elettorali, tanti “becchini” che, erodendo e vanificando sempre più i servizi pubblici come i trasporti, la sanità e la scuola, sono i principali artefici della marginalizzazione sociale, economica e territoriale di Casalmaggiore.

Certamente non correrei a stringere loro la mano, né a inondarli di critiche – e a cosa servirebbe? – né a urlargli in faccia la loro falsità o a insultarli – non è nella mia indole – seppur lo meriterebbero, dato che ogni loro azione pubblica è un insulto non solo alla Costituzione e al bene comune, ma anche alla semplice decenza. No, mi limiterei a questo: rivolgerei una supplica al dio della Natura perché inviasse uno stormo di piccioni a stazionare sulla loro testa. Forse, invece di promettere grandi cose che loro stessi sanno di non potere – mi correggo – non volere mantenere, comincerebbero col tentare di risolvere concretamente il piccolo problema che li ha … investiti!

Valter Rosa

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