Cultura

Merula, Provesi e Verdi: la musica
che viaggia sulle rive del fiume

Un legame storico, dunque, tra musica e cultura che tocca anche la buona tavola e vede al centro tre grandi musicisti, Tarquinio Merula Ferdinando Provesi e Giuseppe Verdi

Da sinistra Tarquinio Merula, Ferdinando Provesi e Giuseppe Verdi

Ricorre quest’anno il 190esimo anniversario della morte del maestro Ferdinando Provesi, musicista che ebbe tra i suoi allievi nientemeno che il celeberrimo maestro Giuseppe Verdi. Provesi, celebrato solo pochi mesi fa nel “cuore” del Casalasco, a Torricella del Pizzo, grazie all’iniziativa dell’associazione Amarcord e del suo presidente Ernesto Marchetti, uno che per la promozione culturale e turistica della sua terra ha dato e sta dando il massimo, è uno dei simboli più significativi e concreti di quel legame nel segno della musica e della cultura, che unisce, passando per il Grande fiume, il Parmense, il Cremonese ed il Casalasco. Il 190esimo della sua morte, in attesa di celebrare il bicentenario tra dieci anni, può decisamente essere l’occasione per compiere un importante passo in più, unendo le due rive, partendo da quel denominatore comune che è la musica, e quindi la cultura, dando vita a progetti unitari, a manifestazioni allargate ai due territori, a percorsi condivisi che darebbero nuovo slancio e una rinnovata promozione alle nostre terre, accarezzate e baciate dal fiume.

Entrando nel merito della figura di Ferdinando Provesi, va sottolineato come in questo caso il legame emiliano-lombardo sia nato in modo quasi fortuito, si potrebbe dire rocambolesco. La sua figura è stata, in questi anni, al centro di importanti studi effettuati dal maestro Dino Rizzo, insigne musicologo e musicista bussetano, autore anche di preziosi studi dedicati alla figura del maestro Giuseppe Verdi e di importanti ricerche sugli organi dei nostri territori.

Come scrive il maestro Rizzo sul Dizionario Biografico degli Italiani (volume 85 – 2016) e per la Treccani, Ferdinando Provesi “Nacque a Parma il 20 aprile 1770 da Davide, di professione servitore, e da Brigida Faraia; di due fratelli e due sorelle si hanno scarsissime notizie. Lo zio Noè Provesi (Parma 1730-1810 circa) era incisore e ritrattista. Della formazione di Provesi non si hanno notizie certe. Sposatosi a Parma con Rosa Fornelli il 16 aprile 1791, divenne padre di Pietro Giovanni Raimondo il 30 agosto 1792 (forse morto ancora infante) e di Caterina Teresa Maria Cecilia il 25 settembre 1795. Trasferitosi con la moglie e la figlia a Sissa (nella Bassa parmense) come organista nella parrocchiale, alla fine del 1799 fu incarcerato, posto in isolamento e incatenato, in attesa di processo con l’accusa di furto sacrilego: ignota l’entità e la modalità del reato. Nei componimenti che indirizzò come suppliche a Ferdinando I di Parma (Parma, Biblioteca Palatina, Mss., Pezzana, 570: Elegia; Misto, A.21: Alcune poesie […] scritte in tempo di sua carcerazione in Sissa) Provesi vantò origini nobili e un’accurata formazione letteraria e musicale e lamentò un’infanzia condizionata dalla malattia. Il 14 agosto 1801 fu condannato al confino perpetuo in Compiano in Val di Taro (nell’Appennino parmense), dove venivano isolati gli oppositori politici, ma già il 15 settembre 1801 Provesi fu dichiarato evaso dal domicilio coatto. Attraversato il Po, (1804) si rifugiò nella confinante seconda Repubblica Cisalpina. Continuò l’attività nella Bassa cremonese: nel 1804 a Torricella del Pizzo, Scandolara Ravara, San Martino del Lago, Soresina, indi a Cremona.

Il 13 febbraio 1810 fu nominato organista a Soresina, cittadina in cui esercitò anche l’insegnamento delle belle lettere. Nel settembre del 1816 era a Casalmaggiore, dove invano supplicò il posto di organista del Duomo. Nel novembre del 1818 da Cremona si trasferì ad Asola, nel Mantovano, avendo accettato la nomina triennale di maestro di cappella e organista nella cattedrale, con annessa la docenza di musica vocale e strumentale nella scuola comunale. Contro la nomina di Provesi presentò ricorso il precedente organista, Nicola Cestana: l’incarico, sospeso in attesa del giudizio, fu confermato a Provesi nella primavera del 1820. Ma intanto, l’8 novembre 1819, Provesi aveva inviato a don Giovanni Bernardo Ballarini, parroco nella collegiata di S. Bartolomeo a Busseto (nella Bassa parmense), la richiesta per divenire suo maestro di cappella e organista.

A Busseto, antica capitale dello Stato Pallavicino, proclamata città nel 1533 da Carlo V, vi erano un teatro di corte nella Rocca Pallavicina (vi si davano opere e farse) e una Società filarmonica di strumenti a fiato fondata nel 1816 da vari dilettanti di musica, tra cui i fratelli Orlando e Antonio Barezzi e Giuseppe Demaldè, cognato di Antonio Barezzi, alunni di Pietro Ferrari, il maestro di cappella e organista della collegiata morto nel 1817. Proprio nel 1820 Busseto conobbe la ripresa d’importanti attività culturali. Il 15 febbraio furono riaperte le scuole di grammatica inferiore e superiore, di umanità e retorica, soppresse nel 1806; il Monte di Pietà riaprì la biblioteca, chiusa nel 1811, e tornò a finanziare la scuola di musica vocale e strumentale interrotta nel 1817 con la morte di Ferrari. Il 12 giugno 1820, ottenuta la nomina in Collegiata, Provesi e la moglie risultano rientrati nel restaurato Ducato di Parma, retto da Maria Luigia d’Austria, residenti in affitto in una casa del filarmonico Demaldè. Il musicista non aveva tuttavia comunicato alle autorità comunali di Asola la rinuncia all’insegnamento, anzi proseguì la corrispondenza come se continuasse a esercitare l’incarico, ma una segnalazione anonima e la conseguente verifica misero in luce le sue assenze e inadempienze. Non potendo obbligare Provesi al rispetto del contratto triennale, in quanto residente in altro Stato, nel gennaio del 1821 le autorità asolane accettarono le sue tardive dimissioni.

Dall’attività svolta a Busseto e dalle lettere superstiti (Busseto, Biblioteca della Fondazione Cariparma) emergono le idee anticlericali e liberaleggianti professate da Provesi, in sintonia con la maggioranza dei Filarmonici, nonché l’indole energica e poco incline alla mediazione. Immediati furono gli scontri con il clero e i suoi fautori. Al parroco Ballarini, impegnato a difendere l’immagine della Chiesa e a incrementare il prestigio della Collegiata in seno alla diocesi di Borgo San Donnino (l’odierna Fidenza) mediante liturgie arricchite dal canto gregoriano in alternanza con brani polifonici, Provesi fornì musiche di conio melodrammatico sia nella struttura sia negli organici: vi si avvertono i tratti distintivi di Haydn e di Rossini. Gli stessi autori riecheggiano nei drammi e nelle farse che, presumibilmente librettista di sé stesso, Provesi allestì nel teatro di corte della Rocca.

La cultura letteraria di Provesi lo portò a contrapporsi al clero anche nell’insegnamento: dall’ottobre 1823 all’aprile 1824 insegnò umanità e retorica nel ginnasio, ma fu infine rimpiazzato con uno studente del seminario di Piacenza. Proseguì con l’insegnamento della filosofia nella propria abitazione, attività lodata pubblicamente dalle autorità comunali. Impegnato nella diffusione della poesia greca e latina, tentò senza successo il riordino dell’Emonia, l’accademia poetica costituita nel Settecento da sacerdoti e nobili bussetani. Soddisfazioni, invece, provennero dalla gestione della Scuola di musica, che Provesi aprì anche alle ragazze, e dalla direzione della Filarmonica, che in pochi anni egli trasformò in un’orchestra completa degli archi e del controfagotto. Nel novembre del 1823 il decenne Giuseppe Verdi, giunto a Busseto per frequentare il ginnasio dalla vicina Roncole, dove già svolgeva l’incarico di organista nella chiesa di S. Michele, conobbe Provesi. Come tutti gli alunni, con Provesi il ragazzo perfezionò la lettura musicale, l’orecchio e la memoria tramite il canto corale nel coro della Collegiata. Dopo due anni di attività (1823-25) Provesi ammise Verdi al corso quadriennale di composizione (1825-29). In quel periodo si instaurò fra loro il rapporto tipico da maestro ad apprendista. Verdi aiutò Provesi nello svolgere gli obblighi contrattuali in Collegiata: realizzò il basso continuo all’organo; come copista produsse le parti staccate per il coro e l’orchestra; completò brani che l’insegnante abbozzava nel ‘partimento’; adattò agli organici vocali e strumentali disponibili brani di musicisti attivi nel Ducato, come Ferdinando Paer, Nicola Aliani, Paolo Bonfichi, Alfonso Savi, Giuseppe Nicolini e Giuseppe Alinovi; compose musiche originali da eseguire in Collegiata in vece dei numerosi brani che ogni anno Provesi doveva scrivere per contratto.

La permanenza di Provesi a Busseto fu contrassegnata da difficoltà economiche. Tra le cause, fu la malattia della moglie Rosa Fornelli che una delibera del 26 agosto 1828 del consiglio del Monte di pietà indicò come «malattia d’utero», forse la stessa che il 26 settembre 1816 un medico di Casalmaggiore aveva certificato come «colica isterica». La moglie morì nel 1828, dopo un intero anno trascorso a letto. Provesi convolò successivamente a nozze con Caterina Crippo, proveniente da Parma (non ebbero figli). Morì a Busseto il 26 luglio 1833, lasciando alla vedova numerosi debiti.

Giuseppe Demaldè barattò l’affitto arretrato con l’archivio musicale di Provesi, che in seguito venne poi rimesso a disposizione dei Filarmonici. Alla morte di Demaldè le 240 composizioni di Provesi, ossia i brani sacri per soli, coro e orchestra (Messe, Requiem, salmi, inni, mottetti), compresi quelli realizzati con il giovane Verdi per la Collegiata, alcune sinfonie e adagi strumentali, i frammenti del dramma serio La clemenza di Cesare, il melodramma semiserio in due atti Euriso e Camilla ossia La costanza alla prova, la farsa in due atti Una difficile persuasione, le due farse in un atto Le nozze campestri e L’ebreo di Livonia, il melologo Pigmalione tratto da Rousseau (declamazione alternata a interventi strumentali), oltre alle copie realizzate da Provesi dell’opera seria in due atti Eduardo e Cristina di Rossini e dell’Adagio introduttivo dell’oratorio Cristo sul monte degli ulivi di Beethoven, furono affidate al Monte di pietà di Busseto (Biblioteca della Fondazione Cariparma, Fondo della Società filarmonica).

Altre composizioni sacre manoscritte sono custodite a Casalmaggiore, Archivio del duomo di S. Stefano; una composizione è a Parma, Biblioteca Palatina, Sezione musicale; un’altra a Monchio, Archivio parrocchiale. Manoscritti organistici sono conservati nelle biblioteche dei Conservatori di Firenze e di Brescia e nella biblioteca privata di Luigi Ferdinando Tagliavini a Bologna; cfr. anche Sonate, Adagi e Sinfonie per organo, ed. critica a cura di D. Rizzo, Bergamo 2002. Ferdinando Provesi fu anche autore di versi d’occasione (Archivio di Stato di Parma, Raccolta Manoscritti, b. 74bis/I.2a, doc. 5)”. Le musiche organistiche di Provesi sono state registrate, tra l’altro, in disco da Dino Rizzo (Provesi & Lavigna, maestri di Giuseppe Verdi: sinfonie, sonate, adagi e fughe per organo, Milano 1999, Multimedia San Paolo MCD113); i brani abbozzati da Provesi e completati da Verdi sono stati registrati dall’Orchestra e coro G. Verdi di Milano, direttori Riccardo Chailly e Romano Gandoli (G. Verdi, Messa solenne, Libera me, sacred works, London 2001, Decca CD 467 280-2). Infine Provesi è ricordato in particolare per essere stato “il più importante” tra i primi insegnanti di musica di Giuseppe Verdi. Ebbe tra i suoi allievi anche Margherita Barezzi, la prima moglie di Verdi.

Torricella del Pizzo, terra che a suo tempo lo accolse come cittadino e organista, di recente lo ha valorizzato in modo significativo dando vita, su idea di Ernesto Marchetti, al primo Concorso internazionale di canto lirico “Ferdinando Provesi Prize 2022”. Concorso nato dopo importanti e preziose ricerche che Marchetti ha compiuto, attingendo anche ad archivi comunali e parrocchiali, sulla figura di Provesi e sulla sua presenza a Torricella del Pizzo, dove dimorò e dove fu organista.

A Torricella del Pizzo gli è stato reso onore tra fine settembre e inizio ottobre grazie all’iniziativa dell’associazione Amarcord che ha trovato la collaborazione ed il sostegno di Comune, Comitato Fiera, Auser, associazione I Solisti Laudensi e Parma OperArt.

Il 190esimo della morte (ed il bicentenario che già si vede “all’orizzonte”) può essere l’occasione per “rilanciare” e per dare vita a manifestazioni e progetti ancora più corposi.

Può anche essere l’occasione per andare alla scoperta di quei musicisti che “legano”, in modo chiaro e indissolubile le due sponde del fiume. Tra questi, senz’altro, Tarquinio Merula, vissuto molto tempo prima di Provesi, anche lui attivo tra Busseto e il Cremonese. Nacque a Busseto (che allora faceva parte della diocesi di Cremona) il 24 novembre del 1595 da Giovanni Merula e Ortensia Rinaldi. Non era il solo dei figli Merula, infatti oltre a lui c’erano Pellegrino, di 25 anni più vecchio, Pietro Martire e Ottavio, nati rispettivamente nel 1578 e nel 1598. Vista la notevole differenza d’età è da presumere che i fratelli Merula non fossero tutti figli della stessa madre. Alla morte del padre, Tarquinio andò forse ospite del fratello sacerdote Pellegrino, parroco della chiesa di San Nicolò in Cremona, un personaggio ormai di spicco nell’ambito culturale dell’epoca che, nel 1627, pubblicò un volume dal titolo “Santuario di Cremona” descrivendo le bellezze di tutti gli edifici sacri della città. Proprio nella chiesa di San Nicolò Tarquinio venne cresimato il 25 aprile 1607 dal vescovo Cesare Speciano, e, successivamente, nel 1614 a 19 anni, si sposò,nella chiesa di San Vincenzo, con Valeria Bordigallo insieme alla quale comprò una casa in contrada Borghetto nella parrocchia di San Sepolcro a Cremona. Nel 1616 lasciò l’incarico di organista presso la chiesa di San Bartolomeo dei Carmelitani per trasferirsi con la moglie a Lodi ove divenne fino al gennaio 1621 organista della chiesa di Santa Maria Incoronata. Nel frattempo la famiglia era aumentata, come risulta dagli atti di battesimo della parrocchia dei Santi Siro e Sepolcro in Cremona: nel 1615 nacque Giovanni Pellegrino, nel 1616 Clara Ortensia, nel 1619 un altro maschio cui fu imposto il nome del primo che doveva, a quel punto, essere morto. Agli inizi del 1621 i Merula fecero rientro a Cremona, dove nel giugno nacque la figlia Camilla Isabella che divenne poi monaca col nome di suor Francesca Valeria. Tarquinio rimase poco in patria perché già nel 1622-23 si era probabilmente trasferito in Polonia (ove non lo seguì la famiglia) in qualità di musico da camera del principe ereditario Vladislao e organista di chiesa e camera del re Sigismondo III. Al 1626 risale il rientro a Cremona dove, nel 1627, i Fabbriceri della Cattedrale gli conferirono l’incarico di maestro di Cappella delle Laudi. In questi anni sono testimoniate le nascite di altri tre figli: Claudio Nicolò (1627), Giovanni Tarquinio (1629) e Giovanni Battista (1630) e la morte della moglie, avvenuta il giorno successivo alla nascita di Giovanni Battista. Quello fu un anno durissimo per la vita del compositore perché l’ondata di peste causò la morte di molti dei suoi figli e del fratello Pellegrino. Poco dopo la perdita della prima moglie Tarquinio sposò con una certa Lucia di cui nulla si sa di preciso. Da lei, nel 1631, ebbe due gemelle Margherita e Francesca Valeria morte poco dopo il parto. Il nuovo lutto colpì il musicista mentre si trovava già a Bergamo in qualità di maestro di Cappella della Basilica di Santa Maria Maggiore gestita dal Consiglio della Misericordia con il quale nel ’32-’33 ebbe motivi di discordia piuttosto pesanti che andarono anche per vie legali, questioni che gli fecero optare per un rientro a Cremona dove ritornò a essere maestro di Cappella delle Laudi. Negli stati d’anime degli anni ’36-’37 la casa di contrada Borghetto risulta, al contrario che negli anni precedenti, “vota” e questo fa pensare a una partenza del compositore. Nel 1638 era maestro di Cappella del Duomo di Bergamo e a quegli stessi anni risalgono le nascite di altre due figlie avute da Lucia, Clara (1638) e Teresa (1641)[6]. Al 1643 risale invece la partenza da Bergamo alla volta di Padova dove fu nominato maestro della Cappella privata del vescovo Giorgio Cornaro. Nel 1646 il musicista fece definitivo ritorno a Cremona restandovi per il resto della vita ricoprendo gli incarichi di maestro di Cappella e maestro di Cappella delle Laudi e componendo parallelamente musica per l’Accademia degli Animosi. Il 27 novembre 1646, a seguito certo della morte di Lucia, contrasse in Duomo un nuovo matrimonio con Caterina Quinzani. Merula morì a Cremona il 10 dicembre 1665 all’età di 70 anni e l’8 dicembre dell’anno successivo morì anche la moglie Caterina e fu sepolto nella chiesa di Santa Lucia all’altare del Crocefisso.

Infine altro importante legame musicale e culturale tra Cremona e Busseto è quello dato dallo stesso maestro Giuseppe Verdi (allievo di Provesi), di cui ricorrono i 210 anni della nascita, che spesso raggiungeva Cremona per motivi legati ai suoi interessi economici. Cremona, per lui, era in sostanza la città degli affari e ne frequentava spesso il mercato. Ma si recava anche nel Casalasco, in particolare a San Daniele Po, per gustare i Taiarèn dell’allora perpetua come emerge anche nel volume Giuseppe Verdi un goloso raffinato, una raccolta di saggi uscita nel 2001, a cura di Andrea Grignaffini, Giampaolo Minardi, Corrado Mingardi, Mariangela Rinaldi Cianti, Raimonda Rocchetta Valesi. E’ qui che lo chef bussetano Ivo Gavazzi, esperto cultore verdiano, insignito nel 1967 del titolo prestigioso di Cuoco d’oro con le celebri Chicche del nonno da lui inventate (e da tempo pluri imitate) ricorda che quando Verdi si trovava nella sua residenza di Sant’Agata si recava spesso, in calesse, lungo l’argine del Po.

Uno dei suoi percorsi preferiti era quello che lo conduceva a San Daniele Po, dove andava a trovare l’allora parroco don Aroldo. Al maestro, raffinato buongustaio ed esperto di cucina, piaceva la cucina della Pèpa, la perpetua di don Aroldo. Così, ogni volta che Verdi era ospite in canonica, la Pèpa gli preparava uno dei suoi piatti preferiti, i Taiarèn, vale a dire dei tagliolini né piccoli né grandi, tagliati in modo irregolare. Gavazzi, autore per altro del recente libro Il Maestro è servito. Ventotto menu ispirati alla tavola e alla musica di Giuseppe Verdi (lo chef è stato anche il primo a riportare a tavola il Maestro, facendo rivivere le ricette trovate nell’antico libro della cuoca di casa Verdi, Ermelinda Berni, e inventandone di nuove), già nel volume Giuseppe Verdi un goloso raffinato evidenzia che, per preparare questa pasta si utilizzano solo farina e uova ben mescolati insieme ed impastati fino a che si formano le vescichette. Poi si tira col mattarello e si cuoce al dente. Si scola la pasta e si fa saltare in padella con un sugo di frattaglie.

Un legame storico, dunque, tra musica e cultura che tocca anche la buona tavola e vede al centro tre grandi musicisti, Tarquinio Merula Ferdinando Provesi e Giuseppe Verdi con l’idea, come già anticipato, di creare manifestazioni, percorsi e progetti legati a questi tre grandi della musica, a beneficio dei nostri territori, di qua e di là dal Po.

Eremita del Po, Paolo Panni

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