Cultura

Dal Po storie particolari: la
vita (e la morte) lungo il fiume

Dal Po storie particolari: la
vita (e la morte) lungo il fiume

Spesso e volentieri non sono semplici i rapporti tra vicini di casa. Si va dai litigi di quartiere o di condominio (questi assai frequenti) ad attriti di ben più vasti e, talvolta, di preoccupanti dimensioni. E’ così oggi, lo sarà senz’altro in futuro, lo era in passato, anche tra le due rive del Grande fiume, quella lombarda e quella emiliana quando, ad affermarsi, erano alcune potenti e nobili Casate dei due territori.

Nella storia dell’area casalasca ci sono stati anche diversi e singolari casi di violazioni delle frontiere con situazioni che talvolta si sono fatte particolarmente complesse. Un tempo i problemi di confine nascevano anche per stabilire nientemeno che la competenza sui cadaveri che venivano trasportati dalla corrente del Grande fiume.

Un caso interessante lasciatoci dalle fonti storiche è quello del 28 marzo 1674 quando venne ritrovato il corpo senza vita di una giovane di Ripa di Motta (l’odierna Motta Baluffi) annegata nel Po e trascinata dalla corrente alla Giarra di Stagno. Un caso che, oltre un secolo prima, aveva avuto un precedente scabroso. Infatti nel dicembre del 1568, dopo il ritrovamento sull’isola del Po presso Solarolo dè Maggi (l’attuale Solarolo Monasterolo) del cadavere di un uomo che presentava numerose ferite da arma da taglio.

A questo riguardo va anche fatto un piccolo richiamo storico. A Solarolo Monasterolo fino alla seconda metà del 1700 la principale famiglia locale era quella dei Maggi. Da qui il precedente nome di Solarolo dè Maggi. Tra l’altro l’importante famiglia è ancora oggi, di fatto, ricordata, da quell’importante complesso colonico settecentesco (con trace tra l’altro di costruzioni precedenti) che è la cascina Maggi – Stanga. Complesso, questo, che fino alla metà del XVIII secolo faceva parte dei vasti possedimenti proprio della famiglia Maggi, per poi passare successivamente ai marchesi Vallardi e, quindi, ai conti Silva di Roccabianca e, nel 1804, ai marchesi Stanga.

Ancora oggi il complesso evidenzia tutto il gusto nobiliare dei proprietari di allora e assolutamente pregevole è il portale di ingresso sormontato da una guglia sulla cui cuspide si trova un avvoltoio in rame che rimanda allo stessa della famiglia Silva.

Chiusa questa piccola, ma necessaria parentesi sulla denominazione di Solarolo dè Maggi, e tornando al rinvenimento del cadavere del 1568, va aggiunto che agli inquirenti non fu possibile stabilire né l’identità del morto né tantomeno quella dell’omicida. Il mese seguente, il conte Giulio Rangoni che, nella lettera inviata al podestà di Cremona si dichiarava “Servitore di S.A. affezionatissimo et l’ho mostrato al tempo delle guerre con i miei fatti e’sto anco al suo servicio”, specificava che il luogo in cui era stato rinvenuto il cadavere era sotto la loro giurisdizione, al contrario di quanto dichiarato dagli agenti del duca Ottavio Farnese.

Il nobile, nel dare la colpa ai ducali della sottrazione del corpo e di averlo portato indebitamente a Roccabianca, denunciava anche le continue violazioni della frontiera fatte dai soldati parmensi “che sempre – scriveva – passano il Po senza averne diritto”.

Un altro episodio molto emblematico riguarda invece un processo per “turbata giurisdizione territoriale” intentato nel 1764 contro il Comune di Motta Baluffi. Tutto era nato dopo che un soldato delle truppe austriache di stanza nella villa di Motta Cremonese aveva tentato di disertare. Di fatto nulla di eccezionale visto che gli stessi atti processuali indicano come frequenti i tentativi di defezione. Tuttavia, in questo caso, il soldato aveva passato il confine per chiedere ai due traghettatori di Stagno di Roccabianca, i fratelli Giuseppe e Battista Pallavicini, di essere portato sull’altra sponda. Dopo il rifiuto motivato dal fatto che i due, come si legge nel fascicolo processuale “erano avvezzi a questo tipo di traffico” e quindi sottoposti a controlli frequenti, l’austriaco si era nascosto in un boschetto emerso dopo una esondazione del Po sotto la giurisdizione di Roccabianca. Senza curarsi del fatto di commettere una violazione territoriale, un gruppo di energici abitanti di Motta Baluffi, con tanto di bastoni e roncole, guidati dal console Bastelli e dal casaro, si erano spinti nell’isolotto, catturando, dopo averlo disarmato del fucile, il soldato che avevano poi ricondotto a Casalmaggiore dove aveva sede il quartier generale del reggimento.

Una vicenda, questa, che senz’altro dimostra i problemi che appunto esistevano nella delimitazione dei confini, ma è anche parecchio interessante sia per i tanti toponimi dei luoghi riportati nella descrizione dei fatti inviata al ministro Du Tillot, che per i cognomi dei personaggi coinvolti nella vicenda (tutti molto frequenti, tuttora, nei luoghi rivieraschi).

Tra i testimoni figuravano infatti: Lodovico Andreoli, Michele Guarenghi, Antonio Maria Rossini detto “Fogliata”, Gianna Zerminesi (moglie di uno ddei barcaioli) ed i coniugi Germinati. Questi ultimi erano negozianti a Roccabianca dove avevano l’appalto del sale, del tabacco e dell’acquavite, e commerciavano olio e sapone, che trasportavano al mercato di Castelponzone. Sempre in sede di processo i due dichiararono “di aver visto il soldato tedesco di statura piuttosto grande, vestito con marsina bianca, calzettoni e calzini alla Prussiana, schioppo e sciabola, che veniva correndo sulla Possessione di Motta Parmigiana verso il Po, e pensammo subito che fosse un disertore”. Tutti i testimoni, in modo unanime, affermarono che i soldati tedeschi erano soliti passare il confine per bere acquavite e per acquistare tabacco in terra parmense. Non si è a conoscenza della condanna inflitta al soldato, ma i due battellieri furono arrestati e rimasero detenuti per oltre due mesi nelle carceri di Roccabianca, accusati di aver rifiutato di traghettare il milite austriaco”.

Eremita del Po, Paolo Panni

© Riproduzione riservata
Caricamento prossimi articoli in corso...